Bibbia
Bibbia e scienza
Il problema dei
rapporti tra Sacra Scrittura e scienza, considerato ormai risolto
(per i cattolici e per molti protestanti) è tuttora un
problema assai vivo per i fondamentalisti. Va quindi sottoposto a
un breve esame. Dopo una rapidissima storia del problema, saranno
prese in considerazione alcune obiezioni alla Bibbia - falsamente
opposte in nome della scienza - per giungere poi alla conclusione
che non vi può essere opposizione tra Bibbia e scienza
giacché esse sono su due piani diversi che non si possono
né armonizzare, né contraddire.
Breve
storia del problema
SINO A GALILEO
Nei
primi secoli della chiesa predominò il sistema
aristotelico-tolemaico, che si raffigurava l'universo come
un insieme di sfere (i sette pianeti con il sole, la luna e le
stelle) rotanti secondo orbite fisse intorno alla terra immobile.
Il sistema tolemaico, suggerito da Aristotele, era stato
perfezionato dall'astronomo egizio Tolomeo (90-168 E. V.) che tra
il 142 e il 146 scrisse il suo libro Mégiste suntaxis; fu
noto con il nome di Almagesto, datogli dagli arabi. Esso ci
presenta la descrizione dell'universo, quale era ammesso, non solo
da Dante, ma anche da Shakespeare.
Al di sopra di questi
elementi mobili dominava – secondo quello che si pensava
allora - il cielo empireo, immobile al pari della terra e ritenuto
sede di Dio. Gli scrittori ecclesiastici e i teologi del periodo
scolastico interpretarono la Bibbia secondo tale sistema, ritenuto
un dato scientifico indiscusso e indiscutibile. Da qui le
opposizioni create dai teologi e dai filosofi al tentativo di
altri studiosi desiderosi di sostituire al tolemaico il sistema
copernicano, secondo il quale sarebbe stata la terra a roteare
attorno al sole, anziché il sole attorno alla terra.
In
questo periodo solo Agostino ebbe delle idee veramente geniali,
che però non furono sfruttate né da lui (si veda il
suo De Genesi ad litteram) né dai suoi successori, almeno
per lungo tempo: “Va detto che . . . lo Spirito Santo, non
intendeva insegnare agli uomini la costituzione intima delle cose
. . . la quale del resto non aveva alcuna utilità per la
salvezza” (Agostino, De Genesi ad Litteram 2,9 20 PL 34,270;
“Noluisse ista docere homines nulli saluti profectura”).
“Non si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: Mando
il Paracleto per insegnarvi il corso del sole o della luna. Il
Signore voleva fare dei cristiani non degli scienziati
[mathematicos]” (Agostino, De actis cum Felice Manich. 1,10
PL 42,525; ”Christianos facere volebat non mathematicos”).
“È cosa brutta e dannosa e da evitarsi con ogni cura
che un infedele, sentendo un cristiano parlare di queste cose con
la pretesa di sostenerle con le Sacre Lettere, possa credere che
egli vaneggi, a tal punto da non riuscire a trattenere il riso.
Peggio ancora sarebbe se non si ridesse di uno che vaneggia, ma
che coloro i quali sono al di fuori credessero che i nostri autori
abbiano avuto simili idee e vengano così tacciati di
ignoranti e respinti proprio da coloro che noi ci preoccupiamo di
salvare”. - Agostino, De Genesi ad Litteram 1,39.
La
Scrittura non fa altro che esprimersi al modo con cui i nostri
sensi vedono le cose. Forse che anche noi non diciamo che il sole
sorge e tramonta? Astronomi e meteorologi usano lo stesso
linguaggio. “Perché la Scrittura dovrebbe parlare in
modo diverso dal nostro?”. - Agostino, Contra Faustum 13,7
PL 42,5.6.
Nei secoli 11° e 12°, in nome della fede
e della teologia si oppose la religione alla filosofia e alle
scienze profane. Michele di Corbeil, tra il 1100 e il 1110
dichiarava inutile l'applicarsi alla filosofia: “Inutilis
inquisitio studium philosophiae”. Questo atteggiamento
oscurantista riaffiora anche oggi, nel 21° secolo, presso
molte correnti religiose. Ad esempio, in una pubblicazione dei
Testimoni di Geova si legge: “Molti giovani cristiani hanno
deciso di non andare all’università. Molti
riscontrano che l’addestramento offerto nelle congregazioni
dei testimoni di Geova — in particolare la settimanale
Scuola di Ministero Teocratico — li pone in netto vantaggio
quando si tratta di trovar lavoro. Pur non possedendo una laurea,
questi giovani imparano ad essere equilibrati, esperti nell’arte
di esprimersi, e abbastanza capaci di assolvere responsabilità”
(I giovani chiedono… Risposte pratiche alle loro domande,
pagg. 178-179, sottotitolo “Alternative all’istruzione
universitaria”. Qui si usa una sottile psicologia: “Molti
giovani cristiani hanno deciso di non andare all’università”
(Ibidem), ma in verità non è una libera decisione ma
un condizionamento (cfr. il sottotitolo); l’alternativa,
poi, all’università sarebbe un’adunanza
settimanale di meno di un’ora in cui tutti (scolarizzati o
no) si cimentano in prove di “oratoria”. Ritenere tale
adunanza una valida alternativa agli studi universitari è
inqualificabile.
Per Bonaventura, scienze profane e
filosofiche valevano solo perché stavano al servizio della
teologia. Persino Ruggero Bacone – cultore di scienze
profane – diceva che la filosofia per se stessa non ha
alcuna utilità.
Nelle Costituzioni Domenicane,
risalenti al 1228, fu proibito ai frati di leggere i libri dei
gentili e dei filosofi, pur essendo talora lecito sfogliarli. “Non
imparino le scienze profane e neppure le arti liberali, se non ne
ottengono licenza dal Maestro Generale”. Dal capitolo
generale di Montpellier risulta che tali norme erano ancora in
vigore nel 1277.
Tommaso d'Aquino (secolo 13°) volle
separare la fede dalla scienza e dalla filosofia. Secondo lui le
opinioni filosofiche non vanno né asserite né negate
per ragioni di fede (Tommaso d'Aquino, Opusc. 10, qu 18), perché
fede e filosofia valutano le realtà cosmiche sotto due
aspetti diversi: “Il filosofo studia quel che conviene ad
esse secondo la loro natura, come nel fuoco il salire in alto, il
teologo invece ne studia il loro rapporto con Dio, come l'essere
creato da Dio, l'essere a lui sottoposto e simili altri
aspetti. Non si può dunque attribuire all'imperfezione
dell'insegnamento di fede la trascuratezza di molte proprietà
degli esseri, come la conformazione del cielo e la quantità
del moto”. - Tommaso d'Aquino, Contra gentes 2,4.
Puramente
casuale, nella Bibbia, è l'esistenza di passi che
interessano la scienza. Qualcuno leggendo nella Genesi che Dio
separò le acque dalle acque potrebbe vedervi l'opinione di
Talete (filosofo greco di Mileto, capo della scuola ionica, morto
nel 548 a. E. V.) secondo cui all'origine degli esseri sta
l'acqua; ma questa sarebbe una valutazione “superficiale”,
perché Mosè “esprime solo ciò che
appare ai sensi” e che è l'unico modo con cui si può
parlare ai semplici. - Tommaso d'Aquino, Summa Theologica 1,9.68 a
3; cf. anche qu. 70, a. 1 ad 3; in Iob 26, q. 65-74; Contra gentes
2,15-38.
La valutazione tolemaica del cielo empireo
immobile, delle stelle e del sole che si muovono, della terra
immobile, centro dell'universo, dominò per tutto il Medio
Evo. Tutto si cercava di spiegare in tal modo: anche
l'accelerazione di gravità si attribuiva al piacere sempre
più vivo che provavano le cose nell'accostarsi al centro
dell'universo dove si trovava il loro riposo. Fu soltanto con
Galileo che questa concezione cominciò a cambiare.
IL
PROCESSO A GALILEO
Nel 15° secolo il cardinale Cusano
(morto nel 1464) avanzò per la prima volta l'opinione che
anche la terra si muovesse, non essendovi nell'universo alcun
epicentro, sicché tutti i pianeti roteano attorno a una
propria sfera. Le teorie del cardinale Cusano (cosi detto perché
oriundo da Cuse, Treviri) – il cui vero nome era Nicola
Griffi – furono sostenute in varie opere, tra cui il De
docta ignoranzia, Idiota.
Dopo di lui il canonico Copernico
(1473-1543) precisò questa idea in un'opera postuma, dove
propose come ipotesi una soluzione assai più semplice del
sistema cosmico: la terra rotea su se stessa in un giorno e si
sposta attorno al sole durante un anno; anche i pianeti circolano
attorno allo stesso astro in un tempo più o meno lungo
(Copernico, De revolutionibus orbium cielistium, Norimberga, 1543,
con il nome dell'autore e la dedica a Paolo III). Vi si diceva
anche che la terra è solo centro di gravitazione e di
rotazione della luna. Come per un’esercitazione matematica,
dimostrò che tale ipotesi era ben più semplice della
complicata teoria tolemaica. I papi all'inizio non vi trovarono
nulla di riprensibile, poiché le nuove idee erano
presentate come semplici "ipotesi" e non come fatti
assolutamente veri. Ancora oggi molte idee hanno libera
cittadinanza nel cattolicesimo per la semplice ragione che si
danno per pura ipotesi, anziché essere presentate come una
realtà indiscussa.
Toccava a Galileo, circa un secolo
dopo, rimettere il problema sul tappeto. Era questi un illustre
matematico, nato a Pisa nel 1564, che dal 1592 insegnò alla
cattedra universitaria di Padova. Convertitosi verso il 1604 alla
teoria copernicana, ne trovò conferma esaminando il cielo
con il cannocchiale da lui inventato nel 1609. Le fasi del pianeta
Venere erano chiaramente spiegabili con il suo spostamento attorno
al sole; anche Giove e i suoi satelliti erano guidati da un
identico movimento. Per analogia lo stesso doveva accadere per la
terra e il suo satellite lunare (accanto ad argomenti così
solidi e decisivi, Galileo ne aggiunse altri poco efficaci, come
le maree ch'egli attribuiva a perturbazioni dovute al movimento
della terra, mentre provengono dall’attrazione lunare). Nel
1611, quando si recò a Roma, Galileo provocò una
commozione generale: prelati e principi andavano a gara per
esaminare personalmente il telescopio da lui creato e osservare le
strane macchie solari che vi si percepivano. L'invidia suscitata
dai suoi onori, l'acredine dei filosofi e degli scienziati che
vedevano combattute con grande superiorità le loro idee,
provocarono aspre polemiche e contese. Galileo ebbe il difetto di
presentare le sue tesi non come semplici ipotesi, bensì
come una realtà scientificamente acquisita. La fama molto
popolare del Galileo rendeva i risultati del suo studio assai più
accolti che non la semplice ipotesi di un Copernico, noto solo nel
campo scientifico. L'opposizione più fondamentale, prima
ancora che dai teologi, derivava dalla scienza del tempo che
pensava potersi fondare sull'immediata evidenza dei sensi,
argomento che aveva un enorme influsso su quanti non erano in
grado di afferrare le ragioni di Copernico e di Galileo.
Anche
il cardinale Bellarmino nella conclusione alla sua lettera al P.
Foscarini scriveva: “Quanto al sole e alla terra, nessun
savio è che abbia bisogno di correggere l'errore, perché
chiaramente sperimenta che la terra sta ferma e che l'occhio non
si inganna quando giudica che la luna e le stelle si muovono. E
questo basti per hora [= ora]” (Ibidem pag. 116). Si deve
pure aggiungere che la connessione tra questa dottrina con la
filosofia aristotelica, divenuta serva della teologia, rendeva
assai pericolosa l'opposizione alle idee scientifiche soggiacenti,
giacché si temeva in tal modo che per colpa sua l'intera
dottrina cattolica (poggiante su Aristotele) dovesse cadere come
contraccolpo. Si trattava quindi di una collusione tra il metodo
aristotelico, assai empirico, e il metodo scientifico
sperimentale.
Galileo fu quindi accusato di essere in
contrasto con la Bibbia sostenitrice, secondo gli avversari, la
teoria tolemaica. Al che Galileo rispondeva con una valutazione
biblica precorritrice dei tempi e che ora è ammessa come
dottrina comune e che presentò in due lettere inviate una a
O. Benedetto Castelli (1613), che lo aveva accusato di contraddire
la Bibbia, e l'altra alla granduchessa Cristina di Lorena (1615).
Nella prima diceva che la Scrittura in materia scientifica si
esprime secondo le apparenze; nella seconda osservava: “Dal
Verbo divino procede di pari non solo la Scrittura, ma anche la
natura”. Tuttavia la Scrittura – sosteneva Galileo -
non ha scopo scientifico, bensì spirituale: non vuole
insegnarci il corso delle stelle, ma ciò che riguarda “il
culto di Dio e la salute delle anime”. A tale proposito
citava un detto di Baronio, e cioè “che è
intenzione dello Spirito Santo d'insegnarci (nella Scrittura) come
si vadia [= vada] al cielo, non come vadia il cielo”.
Galileo
osserva pure che “gli agiografi si accomodano alla capacità
del volgo, che è assai rozzo e indisciplinato”.
Raccomanda perciò di prendere le espressioni scientifiche
in senso figurato, altrimenti ne verrebbero fuori “non solo
contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e
bestemmie ancora”. Nella Scrittura – continua Galileo
- “si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo
senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma sono poste
in cotal guisa per accomodarsi all'incapacità del volgo”
. - A. Favaro, Le opere di Galileo Galilei V, Firenze, 1895, pagg.
307,348; la lettera si legge in Galileo, Opera, ed. Nazionale, vol
V, Firenze, pag. 307; quella al Castelli a pag. 279.
Galileo
afferma che nei rapporti tra uomini con uomini e di Dio con gli
uomini esistono “due linguaggi fra loro radicalmente
diversi: quello ordinario, con tutte le imprecisioni e
incongruenze, e quello scientifico rigoroso ed esattissimo.
L'infinita sapienza di Dio, pur conoscendo perfettamente entrambi,
sapeva molto bene – quando dettò le Sacre Scritture –
che, per farsi comprendere dall'uditorio cui si rivolgeva, avrebbe
dovuto usare il linguaggio ordinario che è l'unico inteso
dall'uomo comune. Perciò essa suggerì di scrivere
che il sole gira intorno alla terra. Nella scienza, invece, noi
abbiamo il dovere di fare uso del secondo tipo di linguaggio –
quello rigoroso ed esattissimo – che è caratteristico
del discorso scientifico. Quindi non possiamo più
accogliere come valida l'anzidetta affermazione, malgrado che sia
contenuta nella Bibbia”. - L. Geymonat, nel suo magistrale
libro su Galileo, Torino, pagg. 125 e sgg.; su Galileo cfr. Enrico
Genovesi , Processi contro Galileo, Ceschina, Milano.
La
condanna del 1616. Il Santo Uffizio, proprio per l'opposizione al
metodo sperimentale che sembrava minare tutto il sapere filosofico
e teologico medioevale poggiato su Aristotele, nel decreto del 24
febbraio 1616, asserì che non si poteva affatto sostenere
l'eliocentrismo (il sole al centro) o mettere in dubbio che la
terra, priva di ogni movimento sia di rotazione che di
rivoluzione, sia il centro dell'universo. Ciò era, infatti,
asserito (secondo loro) dalla Bibbia, che tra l'altro fa parlare
Giosuè dicendo: “Fèrmati, o sole!”, il
che significherebbe che è appunto il sole a roteare attorno
alla terra e non la terra attorno al sole. Papa Paolo V fece
perciò promettere allo scienziato di abbandonare le sue
opinioni e di non difenderle in alcun modo con scritti o con
discorsi.
Il processo del 1633. Galileo tornò a
Firenze, dove s'era frattanto stabilito. Seguirono sedici anni di
relativa tranquillità e di feconde ricerche scientifiche,
interrotte solo dalla polemica con il gesuita Grassi che, per aver
acremente confutata la teoria copernicana (Orazio Grassi pubblicò
il suo Libra Astronomica a Perugia nel 1623 sotto lo pseudonimo
Sarsi Sigensano), si vide attaccato da Galileo nel suo
volume Il Saggiatore, dedicato a Urbano VIII e stampato con tanto
di approvazione ecclesiastica (Il Saggiatore, volume in 54
capitoli, apparso con tanto di imprimatur, fu dedicato a Papa
Urbano VIII, appena elevato al soglio pontificio e con il quale
anni prima il Galileo era stato in ottimi rapporti di cordialità).
Tuttavia un suo viaggio a Roma gli mostrò che anche il
nuovo Papa, pur promettendogli benefìci ecclesiali, non era
favorevole alle idee copernicane.
Incoraggiato dal silenzio
della Chiesa, Galileo si dedicò per anni a una nuova opera
(Il Dialogo), in cui nei congressi di quattro giornate si discorre
sopra i massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano,
proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e naturali,
tanto per l'una quanto per l'altra parte. Tale opera apparve a
Firenze nell'anno 1632 con l'imprimatur del Papa, dietro giudizio
del domenicano Riccardi (l'opera di Galileo, Il Dialogo, doveva
apparire a Roma, ma date le titubanze del Maestro del Sacro
Palazzo Niccolò Riccardi, fu pubblicato a Firenze con
dedica al granduca e con l'imprimatur del vicereggente di Roma,
del Maestro dei SS. Palazzi, dell'Inquisitore di Firenze, del
Vicario generale di Firenze e del governo granducale). L'opera
provocò a Roma una reazione violenta e Galileo fu subito
accusato di quattro colpe fondamentali:
1. Diffusione di idee
eretiche, perché contrarie alla Bibbia.
2. Violazione
del decreto del 1616 che gli imponeva di non toccare più
tale argomento.
3. L'approvazione ecclesiastica era stata
carpita fraudolentemente. Il Riccardi era infatti ignaro della
proibizione personale rivolta a Galileo e per di più aveva
suggerito alcune correzioni per meglio sottolineare che le
affermazioni in favore dell'eliocentrismo erano solo un'ipotesi
non ancora scientificamente dimostrata. Tale suggerimento non era
stato accolto nella pubblicazione che si era attuata senza tenere
conto degli emendamenti proposti.
4. Galileo metteva in bocca
a Simplicio, il più goffo degli interlocutori, proprio le
parole con cui l'allora regnante papa Barberini difendeva il
sistema tolemaico.
La Congregazione del Santo Uffizio nel
1633 fece venire nuovamente a Roma Galileo. Padre Maculano,
commissario del Santo Uffizio lo consigliò di dichiararsi
colpevole di trasgressione del decreto del 1616 e di aver dato
troppo peso alle tesi copernicane, della qual cosa ora intimamente
si rammaricava. Lo scienziato seguì invece una tattica
sbagliata, dicendo di non aver mai ritenuto certo in cuor suo il
sistema di Copernico e d'aver anzi scritto Il Dialogo proprio per
difendere la tradizionale teoria di Tolomeo. I giudici non si
lasciarono convincere, lo minacciarono di ricorrere alla tortura
per indagare meglio la verità del suo pensiero (pare
tuttavia che essa non sia mai stata eseguita sullo scienziato
ormai troppo vecchio e ammalato) e poi ne esigettero l'abiura e,
data l'età e l'infermità, lo condannarono al carcere
perpetuo anziché alla morte sul rogo.
L'abiura ebbe
luogo il 22 giugno 1633 nella grande aula del convegno domenicano
alla Minerva, e il carcere venne dallo stesso Papa Urbano VIII
commutato in confino, prima nella villa dei Medici al Pincio e poi
nella sede arcivescovile di Siena, e da ultimo nella Villa del
Gioiello, proprietà dello stesso Galileo, presso S. Matteo
di Arcetri, dove lo scienziato si spense nel 1642.
Gli
errori del Magistero ecclesiastico. Vari sono i torti che si
possono attribuire ai teologi nel loro comportamento con Galileo
Galilei. Eccone i principali:
A. Agire contro la coscienza.
Si deve anzitutto biasimare il fatto che la Chiesa obbligò
Galileo ad andare contro coscienza. Il Santo Uffizio lo costrinse
a sottoscrivere un'abiura in cui egli condannò una teoria
che intimamente riteneva vera. Lo obbligò quindi al
controsenso di biasimare all'esterno un’idea che nel suo
intimo considerava scientificamente dimostrata. Dice la leggenda
che il Galileo, subito dopo aver abiurata la dottrina copernicana,
asserisse della terra: “Eppur si muove!”. Si tratta di
pura leggenda, ma ha il merito di mettere a fuoco il dissidio
interiore di questo scienziato costretto a condannare come erronea
una teoria che per lui era vera. Si tratta quindi di uno dei molti
casi di violazione di coscienza e di costrizione mentale, propria
dei governi assoluti (solo con il Concilio Vaticano II si
ristabilì il diritto alla propria libertà anche su
questo punto). Questo tipo di grave colpa è tuttora
presente presso diverse sette “cristiane” che, più
di tutto, temono e puniscono severamente le libertà di
pensiero, da esse definite “apostasia”.
B.
Intralcio al progresso scientifico. Si deve biasimare anche
il fatto che la condanna di Galileo fu per lungo tempo un
intralcio al progresso scientifico. I teologi forse
risponderebbero che il Galileo e gli altri scienziati furono pur
sempre liberi di dedicarsi ad altri problemi scientifici. Ma è
pur vero che la decisione romana pesò a lungo sulle
ricerche dei dotti nel campo specifico del movimento della
terra.
C. Un laico ha ragione sui dotti del tempo. A rigor di
logica va ammesso che la cosiddetta infallibilità della
Chiesa e del Papa oggi non è in questione. Si trattava in
realtà di una condanna compiuta dal Santo Uffizio, la
quale, pur essendo approvata dal Papa, non è mai
infallibile. Il Papa nel caso specifico non intervenne ex
cathedra, ossia con tutto il peso della sua autorità quale
capo della Chiesa intera. Gli interventi personali dei papi Paolo
V e Urbano VIII furono solo dei decreti disciplinari e non
dogmatici: nel 1616 fu imposto a Galileo di tacere e nel 1633 di
subire una pena e di abiurare ritirando dalla circolazione la sua
opera, Il Dialogo. Non è quindi il caso di parlare di
decisioni infallibili. È tuttavia insostenibile la scusa
cattolica che si trattasse di un problema scientifico e non
teologico. La condanna non verteva tanto sul fatto scientifico se
sia il sole o la terra a muoversi, ma sul dato teologico, in altre
parole se tale questione fosse “in armonia o in contrasto
con la Bibbia”. La dottrina copernicana era quindi
considerata eretica, perché combattuta dalla Bibbia. Si
pensava quindi che la Bibbia dovesse intendersi in senso
tolemaico. Pur ammettendo che la scienza non aveva ancora
dimostrato il movimento della terra, si deve tuttavia riconoscere
che l'uomo di scienza (Galileo) ne seppe più degli
specialisti di teologia nel campo specifico dell'interpretazione
biblica. Ciò anche se Keplero, contemporaneo del Galileo,
aveva già trovato nel 1604 e nel 1618 le sue note leggi.
Infatti, occorreva attendere la loro maturazione da parte di
Newton, nella seconda metà del 17° secolo, perché
la nuova astronomia copernicana apparisse una sintesi coerente e
decisiva della realtà. Fu nel 1687 che Newton pubblicò
i suoi Principi matematici e filosofici, nei quali diede la
dimostrazione più completa ed esauriente del sistema
copernicano.
Quei teologi cattolici erano di fronte ad un
problema esegetico e non scientifico: La Bibbia difende il sistema
tolemaico oppure no? La Bibbia si può accordare anche con
il movimento della terra? La Bibbia proibisce di sostenere che il
sole si muove oppure no? I teologi, in base alla loro
interpretazione Bibbia, sostenevano l'obbligo di aderire al
sistema tolemaico (il sistema copernicano nel 24 febbraio 1616 fu
dichiarato dai teologi romani “assurdo, falso in filosofia,
formalmente eretico perché contraddicente espressamente più
testi della Sacra Scrittura secondo il loro senso proprio e la
interpretazione dei Padri e dei Dottori”). Galileo al
contrario propugnava il sistema copernicano. I teologi asserivano
che nel caso presente la Bibbia andava intesa alla lettera, mentre
Galileo diceva che nel campo scientifico la parola di Dio si
adegua alle apparenze e parla secondo il modo con cui le cose
esteriori appaiono agli occhi del comune uomo della strada, senza
affatto insegnare la realtà scientifica. Galileo aveva
ragione, i teologi al contrario sbagliarono, papa compreso.
Non
è forse tale fatto una dimostrazione convincente che anche
un semplice fedele può capire la Bibbia meglio di teologi
qualificati? Per quale motivo ciò che si è attuato
nel caso di Galileo non potrebbe avverarsi anche oggi? Perché
dei semplici credenti e studiosi della parola di Dio non
potrebbero avere ragione contro forzate interpretazioni, spesso
dovute al desiderio di difendere posizioni dottrinali acquisite
dalla classe religiosa dirigente? Ecco perché, allora,
molte religioni “cristiane” incoraggiano a studiare la
Bibbia, purché ci si lasci guidare dalle spiegazioni di un
comitato o corpo direttivo ritenuto l’unico canale divino
capace di interpretare la Bibbia.
DOPO GALILEO
Il metodo
sperimentale fece sorgere quattro correnti di pensiero che
meritano di essere ricordate:
1. Opposizione alla scienza:
era propria di chi voleva chiudere gli occhi di fronte alla verità
asserita dalla scienza.
2. Opposizione alla Bibbia con
l'entusiastica accettazione di ogni novità. La Bibbia viene
ridotta ad un semplice racconto mitico pieno di errori
scientifici, e quindi non ispirato.
3. Illusione di coloro
che pretesero di concordare Bibbia e scienza.
4.
Sganciamento della Bibbia (opera teologica) dalla scienza: questa
studia solo le cause seconde visibili e le leggi della natura,
mentre la Bibbia presenta in Dio la loro causa prima.
Gli
epigoni del sistema tolemaico. Il sistema tolemaico continuò
a conservare a lungo il predominio presso i teologi, cosicché
le nuove idee furono riprovate anche da Lutero e da Melantone. Il
primo, ad esempio, così diceva di Copernico: “Quel
pazzo vuole capovolgere l'arte dell'astronomia; ma come dice la
Sacra Scrittura, Giosuè ha fermato il sole e non la terra”.
Nonostante le idee di Galileo si andassero sempre più
imponendo, alcuni teologi continuarono ad opporvisi accanitamente.
L'università di Tubinga perseguitò il protestante
Johannes Keplero (1571-1630), le cui scoperte riguardanti i
movimenti dei pianeti confutavano la visione tolemaica del mondo.
Costretto a praticare l'astrologia per campare, dovette assistere
al processo di stregoneria al quale fu sottoposta anche la sua
stessa vecchia madre. Anche Suarez, teologo di valore, con
argomenti che oggi sono ridicoli, si applicò a condannare
il sistema copernicano: “Il cielo, sede dei beati,
dev'essere immobile; quivi sta pure il Cristo che 'siede alla
destra di Dio Padre'. Ora come potrebbe ‘sedere’ se
fosse trascinato da moto perpetuo? Non avrebbe i piedi fissi in
una parte del cielo determinata, ma sotto di essi il cielo
scorrerebbe senza posa; oppure Cristo sarebbe di continuo
trasportato insieme con il cielo” (il suo commento alla
Genesi - che dura per ben 170 pagine - si trova nel vol. III
dell'edizione di Parigi, Opera Omnia, 1856; vi è anche lo
sbaglio di localizzare il cielo in una regione dell'universo, e di
metterlo in connessione con la terra). Questa stupidità
sostenuta dal teologo Suarez oggi fa sorridere, ma le sciocchezze
sono proferite anche in oggi, nel 21° secolo. Ad esempio, si
può leggere: “Il corpo delle persone spirituali (Dio,
Cristo, gli angeli) è glorioso” (Perspicacia nella
Studio delle Scritture Vol. 1, pag. 576, voce “Corpo”).
E fin qui si afferma una verità parziale: non c’è
dubbio alcuno che esistano corpi spirituali e che questi siano
gloriosi (1Cor 15:40,42-44,47-50), ma Dio è Dio. Attribuire
a Dio un corpo è, oltre che blasfemo, insensato. “Chi
ha costruito tutte le cose è Dio” (Eb 3:4, TNM).
“Tutte le cose” include tutto, ogni creazione e ogni
creatura. Sia Yeshùa che gli angeli fanno parte della
creazione di Dio. Tutto il reame spirituale, il mondo invisibile,
fa parte della sua creazione. Dio non può essere parte di
questa creazione: ne è il creatore. “I cieli, sì,
il cielo dei cieli, essi stessi non ti possono contenere”
(1Re 8:27, TNM). Come potrebbe mai Dio avere un “corpo
spirituale” all’interno dei cieli? “A Geova tuo
Dio appartengono i cieli, sì, i cieli dei cieli” (Dt
10:14, TNM); “Tu solo sei Geova; tu stesso hai fatto i
cieli, [sì], il cielo dei cieli, e tutto il loro esercito“.
- Nee 9:6, TNM.
Secondo il
francese Victor de Bonald (secolo 19°), che razza di
supremazia avrebbe l'uomo, qualora gli angeli del cielo vedessero
“colui che ne è il capolavoro e il re non
nell'atteggiamento maestoso e grave di un principe in mezzo ai
suoi sudditi, ma preso in un vortice, intento a far capriole e
piroette senza fine davanti al sole e alle stelle immobili?”;
“Noi che possediamo dei dogmi che ci offrono tutte le
spiegazioni, avremo facoltà di non consultare (questi
volumi dei geologi). Rileggiamo il racconto di Mosè,
opponiamolo con fiducia a tutte le teorie moderne. Così la
rivelazione sarà il nostro punto di partenza, la base della
discussione geologica, confesseremo essere persino inconcepibile
il presentarne un'altra . . . I libri sacri saranno il crogiuolo
con il quale si saggeranno con severità i sistemi
geologici”. - Victor de Bonald, Moïse et les géologues
modernes ou Le recit de la Génèse comparé aux
théories nouvelles des savants, Seguin, Avignon, 1835.
Siamo al tempo di Cesare Cremonina (collega del Galileo
all'Università di Padova, celebre filosofo che riceveva uno
stipendio doppio rispetto a Galilei e che morì nel 1631),
che si rifiutava di usare il cannocchiale per paura di dovere
rinunciare alle proprie teorie. E siamo al tempo di J. de Maistre
(pensatore originale e profondo della Savoia, esiliato; prima
aderente alla rivoluzione, poi contrario; visse a San Pietroburgo
e morì a Torino nel 1821), che biasimava il programma
scientifico russo perché ammetteva l'esposizione di diverse
teorie sull'origine del mondo. “Qui vi è” –
diceva – “del superfluo e del pericoloso. Basta la
Genesi per conoscere com'è cominciato il mondo”.
Le
leggi di Keplero, l'attrazione di Newton “sono cose che non
meritano la minima attenzione” – diceva Filippo
Anfossi – “a fronte di tante e così chiare
espressioni delle Scritture, che asseriscono costantemente il moto
del sole e l'immobilità della terra, senza asserire mai il
contrario una volta sola”. - Così nel 1822 Filippo
Anfossi, citato da L. Geymonat, Galileo Galilei, Torino, pag. 85,
n. 1.
L'unico posto dove si ammise il libero accesso delle
nuove teorie e dove il cambiamento scientifico avvenne senza
traumi visibili, fu l'Inghilterra: quivi il nuovo pensiero godette
l'alto patronato sia della Chiesa che dello stato. I. Newton, i
cui Principia Mathematica (1687) raccoglievano in un sistema
organico tutte le scoperte fino allora fatte, fu ricompensato con
la nomina a Master of the Mint (Direttore della Zecca). Per
lui le scoperte del secolo erano una conferma del Salmo 19:1: “I
cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera
delle sue mani”. Ma altrove, nella Germania occidentale,
sino ad alcuni anni fa (e tuttora presso alcuni gruppi
fondamentalisti americani) si discusse assai vivacemente il
problema della creazione: “I fondamentalisti difesero il
racconto biblico della creazione dal punto di vista scientifico.
Non è difficile immaginare quale ne sia stato il risultato.
Non si poteva offrire allo stato ateo migliori argomenti contro la
chiesa e la fede. Forse nessuno gli ha reso facile la lotta contro
la chiesa e la Bibbia quanto questa gente che, per di più,
si riteneva fedelissima alla Bibbia”. - Willi Marxen.
Altri smisero di credere alla Bibbia, ritenuta parto
di pura fantasia e d’ignoranza. È più o meno
quanto affermò il prof. Adriano Buzzati Traverso, scrivendo
che vi sono opposizioni tra il racconto biblico e le conoscenze
scientifiche moderne. Conseguentemente s’imporrebbe la
scelta tra la verità dogmatica immutabile presentata dalla
Bibbia e quella scientifica, mutevole e progressiva. Ecco –
secondo questi “modernisti” - la semplicistica e
arcaica cosmologia biblica: la terra immobile (sulla base del mal
compreso passo di 1Cron 16:30), giace come un disco sulle acque
del grande oceano (l’abisso di Gn 49:25; Sl 24:2; Es 20:30),
fissato su colonne (1Sam 2:8) senza che ne possa venire smossa (Sl
104:5). Sopra il suo firmamento starebbe un'enorme distesa d'acqua
che scende sulla terra in forma di pioggia attraverso delle grate
(cateratte) che si aprono e si chiudono al volere di Dio (Gn
7:11;8:2; Sl 148:4; Gb 37:18). Come la terra sarebbe il centro
dell'universo, così la Palestina sarebbe l'ombelico della
terra (Ez 5:5;38:12; cfr. Gdc 9:37). Era abitudine degli antichi
considerare la loro città il centro della terra, così
Delfi per i greci e Roma per i latini; secondo la Mishnà,
trattato Jomâ 546, nel Tempio di Gerusalemme vi era una
pietra detta "fondamentale" perché attorno ad
essa sarebbe stato creato il mondo (sic); secondo le leggente
medievali Yeshùa sul palo sarebbe al centro dell'universo,
e il sangue che scendeva avrebbe bagnato il cranio di Adamo, il
primo uomo.
La cosmologia biblica
Quale
cosmologia presenta la Bibbia? Occorre essere onesti. Se usiamo
l’argomentazione (del tutto giusta) che la Bibbia non è
un libro di scienze, dobbiamo usarla fino in fondo. Questo
comporta che non dobbiamo pretendere (secondo la moderna visione
occidentale delle cose) che tutto quanto scritto nella Bibbia sia
assolutamente in armonia con la scienza attuale. La Scrittura non
ha per nulla bisogno di questa difesa da parte nostra. Voler
forzare il testo biblico per dimostrare che la Bibbia sia
“moderna” e che sostenga la vera scienza è un
sintomo che caratterizza una fede malaticcia, afflitta da quella
malattia (che, se non curata, tende a diventare cronica) che è
il credo religioso. La fede non è un credo dottrinale. Il
vero intendimento della Scrittura deve partire dal presupposto che
– proprio perché la Bibbia non è né un
trattato di scienza né un libro di storia – Dio parla
all’umanità, e lo fa impiegando esseri umani che,
ispirati, mantengono pur sempre non solo la loro mente, ma anche
la loro mentalità.
Così, quando leggiamo nella
Scrittura che Giosuè ordinò al sole: “Sole,
fèrmati!” e che “il sole si fermò in
mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare per quasi un
giorno intero” (Gs 10:12,13), non occorre che il nostro
animo si ponga domande fuori luogo. Solo la mente religiosa di un
appartenente a un credo religioso può vacillare di fronte
alla reazione scandalizzata di qualcuno che, scuotendo per
commiserazione la testa, pensa all’ingenuità del
poveretto che ci crede. Ma il sole si fermò o no? Quel
giorno fu più lungo degli altri o no? Questa domanda non ha
senso. E il porla denota, per l’ennesima volta, che della
Bibbia non si è compreso molto se si continua a leggerla
con mente occidentale. Le domande corrette – di fronte ad un
testo che ci crea difficoltà - sono sempre due:
1.
Siamo sicuri di intendere il testo come lo intendevano gli ebrei
nella loro mentalità semitica? Cosa significavano per loro
quelle parole?
2. Siamo sicuri della traduzione che è
stata fatta del testo originale?
Cosa accadde, allora?
Accadde che il popolo di Israele fu soccorso da Dio. Questo
accadde. E il sole? E la durata di quel giorno? Non ci interessa
indagarlo astronomicamente. Non è quello il messaggio di Gs
10. Il messaggio è: “Il Signore combatteva per
Israele” (v. 14). È da sciocchi cercare le
spiegazioni fisiche del fenomeno. Significherebbe solo ostinarsi a
voler leggere aridamente la Bibbia in modo letterale anziché
commuoversi intimamente per la grandezza di Dio: “Il Signore
combatteva per Israele”. E, invece, ecco un misero tentativo
di difendere – non la Scrittura – ma la propria
opinione su de essa: “Lo stesso effetto [il sole che non
tramonta] si sarebbe potuto ottenere con altri mezzi, ad esempio
con una particolare rifrazione dei raggi della luce solare e
lunare” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2,
pag. 624, sottotitolo “Sole e luna immobili”). Eppure,
si va anche oltre, cercando di dare addirittura una parvenza
scientifica al proprio convincimento: “Giacché vi
sono ‘enormi lacune nella nostra comprensione del
comportamento della materia nella massa’, perché
dovrebbero gli uomini dubitare di ciò che la Bibbia dice su
certi avvenimenti astronomici? […] Ma in base a che cosa si
può definire ‘impossibile’ il comportamento del
sole? […] Come abbiamo visto, oggi gli uomini non capiscono
i misteriosi avvenimenti astronomici che si verificano proprio
ora. Ma chi può negare che hanno effettivamente luogo?
Nessuno. Dio, come Creatore, poté, se lo voleva, fermare i
movimenti dell’intero sistema solare. Oppure, poté
fermare il movimento solo della terra così che parve che il
sole e la luna restassero nella stessa posizione visti dalla
terra. D’altra parte, è possibile che il sole, la
luna e la terra continuassero tutti i loro regolari movimenti, ma
che la luce del sole e della luna risplendesse incessantemente per
mezzo di qualche forma di rifrazione che ora non comprendiamo”
(Svegliatevi! del 22 giugno 1974, pag. 15, “La Bibbia e
l’astronomia”). E poi, dopo tutto questo darsi da fare
intorno a forzature che cercano di armonizzare la propria
comprensione del testo biblico con la scienza - senza,
peraltro, riuscirci, ma riuscendo a ridicolizzare la Bibbia -,
come si rimarrebbe se si scoprisse che si ha a che fare con un
passo tradotto male dal testo originale? È il caso proprio
del “fèrmati, sole!”. Già. Lo
esamineremo.
Occorre però semplicemente capire che gli
scrittori della Bibbia si esprimono secondo la mentalità
del tempo. Questo fatto non tocca minimamente il messaggio
biblico. Con questo in mente, si può esaminare serenamente
la cosmologia della Bibbia. Questa cosmologia non è per
niente un trattato astronomico in linea con le più recenti
scoperte scientifiche né, tanto meno, le anticipa. Non è
neppure una negazione dell’astronomia che possa essere presa
a dimostrazione che la Bibbia sbagli. Niente affatto. È
solamente un’indicazione di ciò che la gente del
tempo credeva. Esaminiamo.
Il mare, attorniante la terra,
incuteva un certo timore agli ebrei:
“Quelli che
scendono al mare nelle navi,
facendo commercio su vaste
acque, sono quelli che hanno visto le opere di Geova e le sue
meravigliose opere
nelle profondità; come egli dice
[la parola] e fa sorgere un vento tempestoso, così che fa
levare
le sue onde. Salgono ai cieli, scendono alle
profondità.
A causa della calamità la loro
medesima anima si strugge.
Vacillano e si muovono in maniera
instabile come un ubriaco,
e anche tutta la loro sapienza è
confusa”. - Sl 107:23-27, TNM.
Gli ebrei pensavano che
all’estremità del mare vi fossero “le isole
delle nazioni”:
“La popolazione delle isole delle
nazioni si sparse nei loro paesi,
ciascuno secondo la sua
lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni”. - Gn
10:5, TNM.
“Non sobbalzeranno le isole?”. - Ez
26:15, TNM.
Più oltre, gli ebrei pensavano ci fossero
le “montagne eterne”:
“Colli di durata
indefinita”. - Dt 33:15, TNM.
“I monti eterni
furono frantumati; i colli di durata indefinita si inchinarono”.
- Ab 3:6, TNM.
Queste “montagne eterne” erano
dette anche “colonne del cielo”:
“Le
medesime colonne del cielo si scuotono”. - Gb 26:11,
TNM.
Nella concezione dell’epoca, queste “colonne
del cielo” sostenevano la solida volta del firmamento. Entro
la volta celeste vagano gli astri tra cui anche il sole che gira
attorno alla terra:
“È come lo sposo [il sole]
quando esce dalla sua camera nuziale;
esulta come un uomo
potente per correre nel sentiero.
Da un’estremità
dei cieli è la sua uscita,
e il suo giro [completo] è
fino alle loro [altre] estremità;
e non c’è
nulla di nascosto al suo calore”. - Sl 19:5,6, TNM.
“Anche
il sole ha rifulso, e il sole è tramontato, e viene
ansimando al suo luogo da dove rifulgerà”. - Ec 1:5,
TNM.
Sotto la terra si trova una specie di carcere
sotterraneo (Shèol) destinato ad accogliere i
trapassati:
“Le vie dello Sceol sono la sua casa;
scendono alle stanze interne della morte”. - Pr 7:27, TNM;
cfr. Ez 26:19,20; Is 14:9.
Questa cosmologia non è
però sempre consistente: talora la pioggia viene fatta
scendere dalle nubi esistenti in cielo. - Dt 33:26; Gb 36:27 e
sgg..
I cieli sono tre, oppure, nel giudaismo più
tardivo, sette (Testamento di Levi 3). A quale idea aderisce
Paolo? In 2Cor 12:2 egli dice di essere stato rapito in estasi “al
terzo cielo”. Forse aderiva alla seconda idea; egli,
infatti, identifica il “terzo cielo” con il "paradiso"
(v. 4), che era diverso dal cielo divino.
Talora la terra,
anziché essere presentata come disco, è ritenuta un
quadrilatero con quattro angoli:
“Certamente alzerà
un segnale per le nazioni e raccoglierà i dispersi
d’Israele;
e radunerà gli sparsi di Giuda dalle
quattro estremità della terra”, “Dall’estremità
del paese”. - Is 11:12;24:16, TNM.
Anziché farla
poggiare su colonne, a volte si è anche pensato che fosse
sospesa nel vuoto:
“Fa scuotere la terra dal suo luogo,
così che le sue medesime colonne vacillano”. - Gb
9:6, TNM.
“Egli distende il nord sullo spazio
vuoto,
sospende la terra sul nulla”. - Gb 26:7, TNM.
Si
vede quindi come la presentazione biblica del cosmo sia ben
diversa dall'attuale, meglio conosciuta oggi grazie alla
cosmonautica e alla ricerca spaziale. Tuttavia le scoperte più
recenti non possono servire per denigrare la Bibbia, la quale
aveva qualcosa di ben più importante da insegnarci.
Dovrebbe anzi farci riflettere il fatto che nella Bibbia vi sono
varie presentazioni cosmologiche, anche presso il medesimo autore.
A meno di tacciarlo d’incongruenza e di controsenso, occorre
concludere che egli non dava eccessiva importanza alle sue
affermazioni cosmologiche, che spesso erano solo dei dati poetici
per meglio sottolineare il suo insegnamento spirituale. Di esse si
serviva secondo le concezioni del tempo, quale mezzo espressivo
per formulare verità spirituali riguardanti Dio, la sua
potenza e il suo intervento nella storia umana.
Il
concordismo
Le continue scoperte di questi ultimi
secoli crearono in altri esegeti entusiasmo e fiducia indiscussa
nella scienza. Costoro cercarono perciò di accordare la
Bibbia con le nuove scoperte scientifiche e pretesero di
affermarne l'ispirazione con la pretesa che essa avrebbe precorso,
perché ispirata, le scoperte della scienza moderna.
L'apogeo di questo metodo concordistico si ebbe alla fine del 19°
secolo e all'inizio del 20°, quando pullularono moltissime
opere del genere. – Cfr. M.de Serres, De la cosmogonie de
Moïse, Paris, 1831.1841.1860; F. Moigno, Les splendeurs de la
foi, Paris, 1877; F. Vigouroux, Les lives saintes et la critique
rationaliste, Paris, 1886.1890; Belot, Ensignements de la
cosmogonie moderne, Bloud, 1832, pagg. 117-126, riguardo
all’accordo tra Genesi e scienza; A Stoppani, Sulla
cosmogonia mosaica, Milano, 1887, opera anticoncordista; P.
Hamard, Cosmogonie mosaique, in Doctionnaire de la Bible II, pagg.
1034-1054; F. Vigouroux, Les lives saintes et la critique
rationaliste Vol III, Paris, 1901, pagg. 235-265.
La
Bibbia precorse gli scienziati. Riguardo a questa non scritturale
teoria basti qualche esempio che si può leggere nei libri
del 19° secolo o, perfino, in corsi biblici anche
contemporanei (di informazione superata). Mattheo Fontaine Maury,
fondatore dell'oceanografia, si trova raffigurato in un monumento
con la Bibbia in una mano e le carte dell'oceano nell'altra,
mentre dietro di lui sta un gigantesco globo terrestre. Ecco come
sorse la sua vocazione: stando a letto ammalato si faceva leggere
la Bibbia dal figlio, quando udì nel Salmo 8 queste parole:
“Tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai
coronato di gloria e d'onore. […] Hai posto ogni cosa sotto
i suoi piedi: […] i pesci del mare, tutto quel che percorre
i sentieri dei mari” (vv. 5,6,8). Maury allora disse:
“Leggilo di nuovo; se la parola di Dio dice che nel mare
esistono dei sentieri, essi ci devono essere e io li voglio
trovare”. In pochi anni egli stabilì le principali
linee o sentieri del mare che sono tuttora seguite nelle loro
rotte dalle navi odierne perché più sicure. Tuttavia
va notato che i sentieri di cui parla il Salmo riguardano i pesci
e non le navi e vogliono solo indicare che quelli vi guizzano per
la loro strada, così come gli uomini seguono la loro.
“Sei
entrato nei depositi della neve”?, domanda Dio a Giobbe (Gb
38:22, TNM), e l'autore sacro pensava ai “serbatoi”
posti sotto la volta del cielo dai quali la neve usciva come
l'acqua posta sotto il cielo vi scende attraverso delle apposite
grate. Ma il Dr. Frank T. Schutt del dipartimento canadese
dell'agricoltura ha dimostrato che nel loro movimento centrifugo i
nitrati esistenti nell'aria si raccolgono con l'ammoniaca libera e
l'albuminoide per formare la neve. Essi ne sarebbero quindi i
serbatoi. Siamo ai soliti tentativi di volere ad ogni costo
dimostrare una scientificità della Bibbia che alla
Scrittura per prima non interessava affatto.
Le stelle erano
meno di 3000 per Ippareo; poco più di 3000 per Tolomeo (150
E. V.); ma lo scrittore sacro disse che sono innumerevoli come la
sabbia (Gn 13:16;15:5; Ger 33:22), il che è stato rivelato
dai moderni telescopi assai potenti. In realtà questa
interpretazione dimentica lo stile iperbolico degli orientali, che
si applica, non solo alle stelle, ma anche al popolo ebraico, il
quale si può calcolare.
Parlando di un vuoto a
settentrione e di terra sospesa nel vuoto (Gb 26:7), Giobbe
avrebbe previsto il vuoto che i moderni telescopi trovano verso il
nord, e la legge della gravità. Quando gli altri popoli
parlavano della terra come di un piatto galleggiante, la Bibbia
già lo presentava come “un globo”, il che solo
ai nostri giorni è stato rivelato dalla scienza (Is 40:22;
Pr 8:27). I soliti lettori occidentali che leggono alla lettera e
pretendono di difendere la loro idea della Scrittura prendono la
cosa al volo: “Armonia della Bibbia con la scienza. La
Bibbia, in Giobbe 26:7, dice che Dio ‘sospende la terra sul
nulla’. La scienza dice che la terra rimane nella sua orbita
nello spazio principalmente grazie all’interazione tra
gravità e forza centrifuga”. - Perspicacia nello
studio delle Scritture Vol. 2, pag. 1097.
In realtà la
Bibbia parla della “volta” celeste rotonda posta al di
sopra della terra dalla quale Dio vede gli uomini muoversi come
locuste (Is 40:22 ne è parallelo):
“Egli
distende il nord sullo spazio vuoto, sospende la terra sul nulla”.
- Gb 26:7, TNM.
“C’è Uno che dimora sul
circolo della terra, i cui abitanti sono come cavallette, colui
che distende i cieli proprio come un fine velo, che li spiega come
una tenda in cui dimorare”. - Is 40:22, TNM.
Si volle
trovare l'anticipo delle dottrine di Pasteur sulla prescrizione
per il lebbroso di scostarsi dai sani gridando: “Impuro,
impuro”, onde evitare il pericolo del contagio (Lv 13:45).
Ma ora si sa che la lebbra non è di per sé
contagiosa (salvo rari casi particolari).
Si è pure
voluto vedere l'anticipazione della diversa struttura cellulare
dei vari animali nell'affermazione paolina che diversa è
“la carne dell'uomo, delle bestie, degli uccelli e dei
pesci” (1Cor 15:39). Ma Paolo, senza scendere a particolari
così sottili, vuole solo presentare l'esperienza dei sensi
che nota le diversità delle singole bestie nella loro
costituzione differente. “Carne” nella Bibbia indica
tutto l'essere visibile, perituro, destinato alla morte, e non la
semplice parte carnale (ora, al contrario, i laboratori di
Berkeley in California hanno mostrato le affinità cellulari
tra l'uomo e alcuni primati).
Secondo lo Schmidt, l'accordo
tra la preistoria e il racconto biblico di Caino e Abele starebbe
nel fatto che l’iniziale cultura della "raccolta"
si sarebbe suddivisa in pastorizia (Abele) e agricoltura (Caino).
Ma ciò è ora posto in discussione da altri etnologi
(cfr. Pettazzoni), che non ammettono tale divisione contemporanea
nelle due classi.
Si volle vedere la prova geologica del
diluvio nelle varie conchiglie depositate entro le montagne alte,
dimenticando che un'alluvione durata solo 40 giorni non poteva
lasciare tracce così diffuse e profonde. Si è
cercato (cfr. Ibero) di rendere più verosimile il racconto
dell'arca supponendo che Noè vi abbia raccolto in gran
quantità piccoli animali che sarebbero poi stati nutriti
dal latte dei loro animali più adulti. Si farneticò
poi di residui dell'arca sul monte Ararat, che di tanto in tanto
tornano di moda e provocano diverse spedizioni, che però
non li trovano mai. A ragione il Parrot in un suo studio
archeologico sul diluvio edito dall’editrice Delachause (Le
Deluge, Neuchâtel) dice che le spedizioni sull'Ararat
rientrano nel dominio dell'alpinismo, ma non nel regno
dell'archeologia.
Si dimenticò pure di dire che la
massa d'acqua necessaria per ricoprire le più alte montagne
terrestri, non si potrebbe trovare sulla terra, per cui Dio
avrebbe dovuto crearla appositamente e poi disintegrarla nel nulla
per por fine al diluvio. Nonostante questo, i Testimoni di Geova
insistono nel voler leggere alla lettera la Scrittura: “Poiché,
come dice Genesi, ‘tutti gli alti monti’ furono
coperti d’acqua, dov’è ora tutta quell’acqua?
Evidentemente proprio qui sulla terra. Si ritiene che un tempo gli
oceani fossero più piccoli e i continenti più grandi
di quanto non siano adesso, com’è reso evidente da
alvei di fiumi che si prolungano sotto gli oceani. Va pure notato
che secondo alcuni scienziati in passato i monti erano molto meno
alti di ora, e alcune montagne sono persino emerse dal mare. In
quanto alla situazione attuale, si dice che ‘il volume
dell’acqua marina è dieci volte superiore a quello
delle terre emerse. Scaricate in modo uniforme tutta questa terra
nel mare, e due chilometri e mezzo d’acqua coprirebbero
tutto il globo’. (National Geographic, gennaio 1945, p. 105)
Quindi, dopo che le acque del Diluvio erano cadute, ma prima che
le montagne si alzassero e il letto del mare si abbassasse, e
prima che si formassero ai poli le calotte glaciali, c’era
acqua più che sufficiente per coprire ‘tutti gli alti
monti’, come dice la testimonianza ispirata”
(Perspicacia nelle studio delle Scritture Vol 1, pag. 694, alla
voce “Diluvio”, sottotitolo “Le acque del
diluvio”). È incredibile. Qui si confonde la
situazione attuale con quella primordiale. E si mistificano le
cose. I 2,5 km d’acqua che coprirebbero il nostro pianeta lo
farebbero se la terra fosse appiattita scaricando le montagne
negli oceani. Far credere che durante il diluvio avvenissero
sconvolgimenti tali da far emergere le montagne, questo sì
che è antiscientifico. Ciò avvenne, sì, ma
chissà quanti milioni o miliardi di anni fa. Se fosse
avvenuto al diluvio, probabilmente non saremmo qui, dato lo
spostamento dell’asse terrestre.
Non fa quindi
meraviglia che, dopo l'entusiasmo concordistico dei primi tempi,
se ne siano viste le difficoltà. La scienza poi va
continuamente mutando, per cui non sarebbe mai possibile avere
l'interpretazione esatta di alcuni passi biblici che muterebbero
sempre di senso con il progresso scientifico. Non saremmo mai
sicuri di intendere bene la Sacra Scrittura, poiché
potrebbe essere oggi interpretata secondo gli "errori"
degli scienziati odierni, poiché le verità di oggi
potrebbero divenire errori domani. Di più, anche se si
potesse intendere qualche passo biblico in accordo con le moderne
scoperte bibliche, tutto il complesso scientifico supposto dalla
Bibbia è pur sempre in stridente contrasto con l’odierna
presentazione scientifica del cosmo. Si tratta quindi di accordi
più apparenti che reali, che per di più comportano
il pericolo di screditare maggiormente la Bibbia con affermazioni
del tutto gratuite.
Bibbia e scienza: due binari
diversi
Gli studiosi più recenti poggiano
sull'intento prettamente spirituale della Sacra Scrittura,
sganciando la Bibbia dalla scienza. Seguendo una tesi, già
insegnata da Agostino e da Tommaso, accolta in seguito dal
Galileo, i teologi più moderni insistono sulla necessità
di guardare all'intento dello scrittore. Una nuova realtà
può essere vista sotto aspetti e angolature diverse e
conseguentemente presentata in forme differenti. Si consideri
l'arcobaleno: per lo scienziato è frutto di rifrazione dei
raggi di diverse lunghezze d'onda, per cui la luce viene così
scomposta nei suoi elementi. Se lo scienziato sbaglia in questa
valutazione compie un errore. L'artista e il romanziere descrivono
invece la bellezza incomparabile di tanti colori ed esprimono la
piacevole sensazione che ne ricevono. Anche se la loro descrizione
non si accorda con la scienza, non vi è alcun errore,
perché essi non intendono presentare un'opera scientifica,
ma solo le proprie sensazioni estetiche. L'errore ci sarebbe solo
se sbagliassero nel comunicare le loro sensazioni di gioia o di
tristezza suscitate da quei colori. Il teologo non ammira
nell’arcobaleno né il lato scientifico, né il
lato estetico, bensì la bellezza di Dio che l’ha
creato. Egli vi vede un segno di pace tra Dio e l'uomo; vi
rinviene come una promessa di non voler più mandare un
diluvio devastatore. Vi vede la misericordia divina dopo il
pericolo di un tremendo temporale. Se sbaglia nella descrizione
scientifica non compie un errore. L'errore vi sarebbe solo se
errasse nel suo campo specifico, se la presentazione dell'amore
misericordioso di Dio non fosse vera. Solo questa valutazione è
garantita dall'ispirazione divina.
Giobbe può
descrivere goffamente l'ippopotamo:
“Guarda
l'ippopotamo [il testo ebraico ha Beemòt, non
ippopotamo]
che ho fatto al pari di te;
esso mangia
l'erba come il bue.
Ecco la sua forza è nei suoi
lombi,
il suo vigore nei muscoli del ventre.
Stende
rigida come un cedro la coda;
i nervi delle sue cosce sono
intrecciati insieme.
Le sue ossa sono tubi di bronzo;
le
sue membra, sbarre di ferro.
Esso è il capolavoro di
Dio;
colui che lo fece l'ha fornito di falce,
perché
i monti gli producono la pastura;
là tutte le bestie
dei campi gli scherzano intorno.
Si sdraia sotto i loti,
nel
folto dei canneti, in mezzo alle paludi.
I loti lo coprono
della loro ombra,
i salici del torrente lo
circondano.
Straripi pure il fiume, esso non trema;
rimane
calmo, anche se avesse un Giordano alla gola.
Potrebbe
qualcuno impadronirsene assalendolo di fronte,
o prenderlo
con le reti per forargli il naso?”. - Gb 40:15-24.
Giobbe
però non errò scientificamente, poiché da
tale descrizione popolare egli voleva trarre lo spunto per
esprimere la grandiosa potenza di Dio sapiente. - Gb
38.
L'insegnamento spirituale della Bibbia non è
presentato in forma astratta, come talora facciamo noi oggi
(maniera occidentale), ma è inquadrato nella vita e nel
mondo, che vengono descritti come appaiono ai sensi in funzione di
una didattica spirituale. Il sole sembra sorgere e tramontare,
spostarsi nel cielo, mentre la terra pare starsene immobile. Se
l'acqua scende dal cielo deve ben esserci – nel pensiero
degli ebrei del tempo – un deposito delle acque al disopra
del cielo. Questi dati non sono però ciò che la
Bibbia vuole insegnarci, ma costituiscono solo la cornice entro
cui il dato spirituale s’inquadra. Quel che importa è
il quadro, non la cornice. Per donare un messaggio spirituale
comprensibile, Dio non poteva fare altrimenti. Doveva ben parlare
secondo il linguaggio dell'epoca, secondo le conoscenze
scientifiche del tempo, altrimenti non sarebbe stato capito. Il
rivelare cognizioni scientifiche moderne, in quell'epoca sarebbe
equivalso a screditare lo stesso messaggio spirituale. C’è
da riflettere su questo paradosso, ma è la verità.
Immaginiamo di trovare, nel testo citato di Gb (in cui Dio dà
una lezione della sua superiorità all’umano Giobbe)
una descrizione scientifica in linea con le conoscenze attuali.
Immaginiamo che invece di usare il linguaggio goffo ma
comprensibile dell’epoca, il testo dicesse più o meno
così:
‘Guarda Beemòt. Voi lo chiamate
così, ma che nome è? Forse una derivazione del
termine egiziano per “bue d’acqua”? O forse un
termine d’origine assira che significa “mostro”?
O sarà mica un plurale intensivo del vostro termine ebraico
behemàh che gli studiosi ritengono significhi “bestia
grossa” o “bestia enorme”? Il nome scientifico è
“ippopotamo” e sarà chiamato Hippopotamus
amphibius. Ecco, guarda l’ippopotamo. L’ Hippopotamus
amphibius è un mammifero enorme, dalla pelle spessa, quasi
senza pelo, che frequenta fiumi, laghi e acquitrini. Ha gambe
corte, mascelle enormi e testa grossa, che si calcola possa pesare
fino a una tonnellata. Le mascelle e l’apparato dentario
sono così potenti che con un morso solo può
trapassare la corazza di un coccodrillo. Un ippopotamo adulto può
essere lungo 4-5 m e pesare 36 q. Essendo un anfibio, nonostante
la sua prodigiosa mole può muoversi con relativa rapidità
sia nell’acqua sia fuori. Si nutre di piante d’acqua
dolce, erba, canne e cespugli, ingerendo ogni giorno oltre 90 kg
di vegetazione per riempire il suo stomaco, che ha una capienza di
150-190 litri. La pelle, specie quella del ventre, è
estremamente spessa, quindi in grado di resistere a urti e
scorticature mentre l’ippopotamo si muove su stecchi e sassi
nel letto dei fiumi. Le narici situate strategicamente alla
sommità del muso, e gli occhi in alto sulla fronte,
permettono all’ Hippopotamus amphibius di respirare e di
vedere anche quando è quasi completamente sommerso. Quando
s’immerge, le orecchie e le narici si chiudono
completamente. Anche mentre dorme, quando nel sangue l’anidride
carbonica raggiunge un certo livello, l’animale emerge
automaticamente in cerca d’aria fresca e poi s’immerge
di nuovo. Ecco, guarda l’ Hippopotamus amphibius’.
Che
dire? Sarebbe stato preso sul serio il messaggio biblico? Etologi,
biologi, glottologi e critici forse gioirebbero. Giobbe e gli
ebrei del tempo sarebbero rimasti perplessi. Resa inverosimile la
cornice scientifica contestabile, sarebbe divenuto incredibile
anche l'insegnamento spirituale incontestabile.
È
tutto ispirato nella Bibbia? Anche l'espressione scientifica? Ma
sì. Ma solo indirettamente. Se scegliamo un pittore che ha
a disposizione certi colori, certi mezzi espressivi, accettiamo
pure questi suoi colori e questi suoi mezzi, altrimenti ne
ricercheremmo un altro più conforme ai nostri gusti. Così
Dio, ispirando l'autore di quell'epoca, ne accolse pure tutti i
mezzi espressivi e tutte le sue cognizioni scientifiche che usa
come strumento per un più efficace insegnamento spirituale.
Se Dio avesse voluto esprimersi scientificamente, non sarebbe
stato capito! Di più, egli non avrebbe potuto esprimersi
nemmeno con i dati della scienza attuale, poiché anche
questa sarà rettificata da scoperte future. Già.
Quindi Dio doveva o accettare l'espressione popolare sempre vera,
o parlare in modo da non poter essere mai inteso, poiché la
scienza è sempre in continuo sviluppo. Anche noi oggi siamo
obbligati a esprimerci secondo le apparenze: s’incontra un
"povero" e gli si dà l'elemosina, e si tratta
forse di un milionario che occulta il suo denaro per avarizia. Ci
si sente più tranquilli perché ci cammina accanto
sulla strada, in divisa, un appartenente alle forze dell’ordine;
e magari si tratta di un ladro, così travestito per meglio
truffare.
Credeva lo scrittore a questa presentazione della
scienza? Certamente! Ma non è rivelato ciò che
l'Autore pensa al riguardo, ma solo ciò che egli insegna.
Ora egli non ha insegnato l'astronomia o la scienza, bensì
solo il messaggio spirituale che vi sta racchiuso.
La Bibbia,
descrivendo le realtà come appaiono, non presenta degli
errori scientifici, ma solo delle convinzioni arcaiche sorte in
un'epoca pseudoscientifica, usate come mezzo espressivo per
insegnare verità spirituali ispirate da Dio. “Guardiamoci
dunque” – scrive il Courtade – “dal voler
confrontare le assunzioni dei libri sacri con quelle
dell'astronomia, della geologia, della biologia. Non vi può
essere questione né di opporle né di armonizzarle. A
volte esse coincidono materialmente, ma non coincidono sempre e
non sono mai dello stesso ordine. Gli scienziati di oggi che si
scandalizzassero della Sacra Scrittura sarebbero vittime della
stessa illusione dei loro antenati del Medio Evo, che speravano di
trovare in esse un aiuto”. - Courtade , Ispiration DB S IV,
pagg. 520-528, la citazione è a col. 543.
Esempi
pratici
Classificazioni di malattie e animali secondo
le apparenze. La Bibbia parla della lebbra che guarisce
spontaneamente, per cui il guarito, prima di entrare in contatto
con gli altri, deve togliere la sua impurità con un
sacrificio e ottenere un riconoscimento dal sacerdote (Lv 14; Mt
8:1-4). Ora si sa che la lebbra (morbo di Hansen) non guarisce mai
spontaneamente, ma va sempre più peggiorando attraverso
varie stasi fino a che la carne cade in squame e si giunge così
alla morte finale. Ma non vi è opposizione tra i due dati:
la Bibbia non parla della "lebbra" in modo scientifico,
ma solo di ciò che poteva sembrare lebbra; tutto quello che
portava delle macchie sulla pelle (fossero anche semplici abiti o
le stesse pareti della casa intaccate dalla muffa) era detto
“lebbroso” (Lv 14). Evidentemente in tale caso, molti
ammalati potevano guarire, poiché non erano in realtà
infetti da lebbra.
La lepre è posta tra i ruminanti
(Lv 11:6; Dt 14:7) mentre non lo è affatto. Anche qui non
abbiamo una classificazione scientifica. Nel dare le norme per
distinguere il cibo permesso o proibito, l'autore include la lepre
tra i ruminanti perché muove il suo labbro dando
l'apparenza di un ruminante. Anche la Chiesa Cattolica, nei pochi
giorni di magro tuttora rimasti, permette l'uso del pesce
includendovi i batraci (rane), i rettili, i crostacei e i
molluschi che non sono pesci. In genere le definizioni bibliche
degli animali non sono scientifiche, ma popolari.
Lunatici
e indemoniati. In queste indicazioni si rinvengono tracce di
valutazioni popolari, che sospettavano in questi "pazzi"
l'influsso della luna o dei demòni. La Bibbia non aveva un
nome proprio per indicare l'agire del pazzo, ma vi applicava il
verbo hitnabè che significava "agire da profeta, da
ispirato". Si pensi al comportamento di Davide che, per
evitare la punizione da parte del re Achis, si finge pazzo e
quindi intoccabile perché ritenuto posseduto da un demonio
- o da un dio, secondo i gentili (1Sam 21:10-15). Non si nega
tuttavia che in alcuni casi vi possa essere stato un vero influsso
demoniaco, come nel caso dei demòni che, scagliatesi contro
i porci, li sospingono nel lago. - Mr 5:1-20.
Alcuni
proverbi, quali: “Siate semplici come colombe”,
“astuti come volpi” e “prudenti come serpenti”
vanno presi per detti popolari senza pensare che di fatto questi
animali possiedano le predette qualità. La Bibbia non parla
scientificamente, ma riporta alcune opinioni popolari relative a
questi animali e al loro comportamento. Nel Medio Evo Yeshùa
era paragonato a un pellicano perché si pensava che esso si
togliesse il sangue dal proprio cuore per nutrire i suoi piccini;
basti vedere quelle orribili raffigurazioni cattoliche di un
“Gesù” che, a petto aperto, mostra il suo cuore
o lo tiene in mano.
Errori di traduzione
IL
SOLE FERMATO
“Sole, fèrmati” (Gs 10:12).
L'episodio dell'arresto del sole ha suscitato una letteratura
immensa e soluzioni di vario genere, che intendono accordare
scienza e fede. Parlando secondo le apparenze – dicono
alcuni – Dio avrebbe arrestato la terra, dando quindi
l'illusione che il sole si fosse fermato. Tuttavia, siccome appare
assai strano che Dio abbia ad arrestare il moto dell'universo
(ricollegato all'arresto temporaneo della terra) per un fatto così
poco importante come la vittoria di Giosuè (giacché
egli permise molte altre sconfitte), si è tentata una
soluzione naturalista meno straordinaria, per concordare tale
fenomeno con la scienza odierna. Alcuni ricorsero al fenomeno
delle "meteoriti", che cadendo nottetempo avrebbero
diffuso la luce; oppure alla "rifrazione" dei raggi
solari dopo la tempesta che avrebbe permesso di vedere il sole
anche dopo il suo tramonto. Oggi dominano presso gli studiosi
altre soluzioni, poggianti sul fatto che la descrizione
dell'arresto del sole si trova in un brano poetico e va quindi
inteso secondo le leggi della poesia. È così? È
un fatto che la poesia, descrivendo eventi terreni, ama far
partecipare anche la natura. Secondo un inno di vittoria gli
stessi astri combatterono contro Sisera a favore di Israele (Gdc
5:20); i monti si sciolsero “nel sangue degli uccisi”
(Is 34:3 e sgg.). Al ritorno degli esuli “i monti e i colli
danno grida di gioia e gli alberi della campagna battono le mani”
(Is 55:12). Non potrebbe anche il “fèrmati, o sole!”
essere una semplice iperbole? È quanto pensano alcuni
biblisti come il Lesêtre che così scrive: “Anziché
cercare delle spiegazioni fisiche per interpretare questo passo di
Giosuè, è meglio vedervi un problema letterario e
supporre, con un buon numero di esegeti contemporanei, che si è
di fronte a una citazione poetica da intendersi secondo le regole
della poesia” (Lesêtre, Josué et le soleil , in
Rev. Pratique d'Apologétique 4, 1907, pagg. 351-356). Con
questa iperbole l'autore sacro avrebbe voluto dire che la vittoria
di quel giorno fu tale da non potersi concludere in un sol giorno,
senza un preciso intervento miracoloso di Dio a favore delle
truppe di Israele. Queste poterono ottenere in un giorno un
risultato così imponente da essere umanamente impensabile
in ventiquattro ore. Il Bressan nota che un procedimento simile
non è proprio solo dei semiti, trovandosi pure nella poesia
greca del tempo omerico: “In Odissea 23:243 e sgg., Minerva
allunga la notte affinché Ulisse e Penelope abbiano più
tempo per le loro effusioni d'amore; In Iliade 18:239 e sgg.,
Giunone, per salvare i greci premuti dai troiani, fa affrettare
suo malgrado l'instancabile sole verso l'oceano, il sole s'immerge
e i divi Achei hanno respiro; secondo Iliade 2:412 e sgg.,
Agamennone fa una preghiera esattamente parallela a quella posta
in bocca a Giosuè: ‘O Zeus, non tramonti il sole e
non sopravvengano le ombre prima che si distrugga Troia’.
Chi crederebbe Omero così ingenuo da prendere alla lettera
le sue stesse parole? E allora, perché imprestare tale
ingenuità allo scrittore ebreo?”. - Gino Bressan,
Giosuè il condottiero , in "cento problemi biblici",
Assisi, pagg. 143-148, la citazione si legge a pag. 147.
Questa
ipotesi ha accolto il favore di molti autori cattolici, come lo
Schulz, il Veronnet, il Clamer, altri. - A. Schulz, Das Buch Josue
, Bonn, pagg. 37-41; A. Veronnet, L'arret du soleil par Josué,
in Rev. de Clergè Francais 41, pagg. 585-609; A Clamer,
Josué, in Dict. Theol. Cath., Paris, colonne 1560-1562.
L'uso d’iperboli è assai comune sia presso il
mondo orientale sia presso quello occidentale specialmente antico.
Tuttavia non convince del tutto che si possa parlare nel caso di
Giosuè di una vera iperbole, poiché l'espressione
biblica è ben diversa dal desiderio espresso da Agamennone
di poter distruggere i troiani prima del calar del sole; di più,
il dato poetico su Giosuè è smentito dalla
conclusione prosaica: “E il sole si arrestò” al
comando di Giosuè. Sembra che si debba concludere che
qualcosa di straordinario avvenne per rendere più facile la
vittoria di Giosuè.
Oscuramento del sole. Secondo
un’ipotesi, che ora va diffondendosi sempre più,
Giosuè non avrebbe chiesto il prolungamento del giorno
solare, bensì l'oscuramento del sole. Eccone le ragioni
fondamentali:
1. Il bisogno di Giosuè. Giosuè,
partendo da Ghilgal, aveva marciato con le sue truppe per tutta la
notte in modo da gettarsi d'improvviso e di buon mattino
sull'esercito cananeo accampato a Gabaon: “Giosuè
piombò loro addosso all'improvviso: aveva marciato tutta la
notte da Ghilgal” (Gs 10:9). L'inattesa comparsa delle
truppe israelitiche gettò lo scompiglio sui nemici che si
dettero alla fuga per la salita di Bet-Horon. Quando Giosuè
rivolse il suo comando al sole, esso stava ancora su Gabaon e la
luna su Aialon: “Sole, fermati su Gabaon, e tu, luna, sulla
valle d'Aialon!” (v. 12); ora. siccome Gabaon giace a
oriente di Bet-Horon, si deve concludere che esso era tuttora
nella sua fase ascendente e doveva continuare il suo corso
apparente ancora per più di mezza giornata. Non si era
infatti ancora a mezzogiorno, per cui in quell'istante il sole
doveva mandare i suoi dardi infuocati sulle truppe in corsa, le
quali grandemente risentivano la fatica e il calore nella salita
che stavano percorrendo. Quale ragione avrebbe avuto in quel
momento Giosuè per desiderare l'arresto del sole e il
perdurare di quel caldo soffocante? Non sarebbe stato più
auspicabile un po' di refrigerio e di fresco in tale
circostanza?
2. Il senso dei vocaboli. Giosuè,
rivolgendosi al sole, così disse: “Sole, resta immoto
su Gabaon, e, luna, sul bassopiano di Aialon” (Gs 10:12,
TNM). In una nota in calce, TNM fa notare che il termine tradotto
usualmente “fèrmati” può essere anche
reso “sta quieto (fa silenzio)”. Questo “sta
quieto (fa silenzio)” significa forse “fèrmati”?
Così è stato inteso dai traduttori. A ben pensarci,
significa altro: Sta calmo, smettila di ardere così, fai
silenzio. Il testo ebraico è:
??????? ???????????
?????
shèmesh beghibòn dom
Si noti
quel dom. È un imperativo. L'imperativo dom viene dal verbo
damàm che indica lo stroncamento di un'azione già
iniziata, che nel caso del sole e della luna, può
intendersi sia come moto locale, sia come diffusione della luce.
Nella lingua babilonese l'eclissi del sole e della luna sono
espresse con il verbo nàchu che ha il senso di "fermarsi",
“arrestarsi", come l'ebraico damàm (cfr. F.X.
Kgler, Astronomische und Meterriologische Finsterniss, in Zeitschr
der deutschen morgenlandischen Geselleschaft 56, 1902, pagg.
60-70). Non potrebbe questo verbo avere il medesimo senso
babilonese di "oscuramento"? È possibile, anche
se tale senso non appare altrove nella Bibbia. In Am 8:9 (“Farò
tramontare il sole a mezzogiorno e farò oscurare la terra
in pieno giorno”) si usa il verbo hifìl di bo
(hèbê'tî, "farò venire"). Se
s’intende, quindi, il verbo in tal senso, Giosuè
avrebbe ordinato al sole non di fermarsi nel suo luogo, ma di
fermarsi nell'inviare i suoi raggi infuocati, chiedendo l'ombra e
non il sereno. E Dio avrebbe esaudito la preghiera di Giosuè
con un grandissimo improvviso temporale.
3. Il contesto. Se
guardiamo al contesto, notiamo che il cap. 10 di Giosuè si
divide in due sezioni (vv. 7-11 e 15-17) e l'altra poetica (vv.
12-14).
a) Secondo il brano in prosa, mentre Giosuè
insegue i nemici sulla salita di Bet-Horon, un furioso uragano si
abbatte sui nemici, e, come conclude il narratore: “Avvenne
che, mentre fuggivano d’innanzi a Israele ed erano nella
discesa di Bet-Oron, Geova scagliò dai cieli su di loro
grosse pietre fino ad Azeca, così che morirono. Furono più
quelli che morirono per le pietre della grandine che quelli che i
figli d’Israele uccisero con la spada” (Gs 10:11,
TNM). Dunque Dio intervenne con un grandioso temporale.
b) La
stessa cosa si deve trovare nel brano poetico, tratto da un ignoto
Libro del Giusto (sèfer ha-yashàr): “Non è
scritto nel libro di Iashar?” (v. 13, TNM). Da questo Libro
del Giusto proviene pure il "lamento" di Davide per la
morte di Saul e di Gionata: “Davide intonava questo canto
funebre su Saul e su Gionatan suo figlio […]. Ecco, è
scritto nel libro di Iashar” [libro del Giusto] (2Sam 1:17);
qui anche la LXX ha ????apta? ?p? ß?ß???? t?? e?????
(ghègraptai epì biblìu tu euthùs,
“è scritto nel libro del giusto”; nella LXX è
al v. 18). Come armonizzare la richiesta di un arresto del sole
con la tempesta provvidenziale? Non è forse proprio questa
la risposta di Dio al comando di Giosuè? Dio non solo
arresta i raggi solari con la nube, ma anzi interviene a favore
delle sue truppe con la violenta grandinata gettata contro i loro
nemici.
c) Che la natura sia al servizio di Dio, risulta
spesso nella Bibbia: “Quando ti estinguerò, velerò
i cieli e ne oscurerò le stelle; coprirò il sole di
nuvole, la luna non darà la sua luce” (Ez 32:7); si
veda anche Sl 18:7-16. Questa soluzione suggerita per prima da W.
Maunder, fu accettata, sia pure con sfumature diverse, da A. van
Hoonacker, J. van Mierlo, Alfrink, J. de Fraine, A. Miller, A.
Metzinger e dal Baldi (W. Maunder, A Misinterpreted Miracle, in
The Expositor 10, pagg. 239-272; A. van Hoonacker, Das Wunder
Josuas, in Theologie und Glaube 5, 1913, pagg. 454-461; questo
autore suppone che il temporale durò 24 ore, per cui al suo
termine il sole apparve proprio allo stesso punto celeste come il
giorno precedente, quasi vi si fosse fermato. - Cfr. J.
Coppens, Le chanoin Albin van Hoonacker, pagg. 29-32; J. van
Mierlo, Das Wunder Josuas, in Zeitschr für Katholische
Theologie 37, 1913, pagg. 895-911; A.M. Kleber, Josua's Miracle,
in The Ecclesiastical Review 56, 1917, pagg. 477-488; G.B.
Alfrink, Het Still Staan van Zon en Maan in Jos 10, 12-15, in
Studia Cattolica, Nimgn 24, 1949, pagg. 238-268; J. de Fraine, De
Miraculo solari Josue, in Verbum Domini 28, 1950, pagg. 277-286;
Hopfl-Moller-Metzinger, Introductio specialis in V.T., Roma, 1946,
pagg. 132,sgg.; P Baldi, Giosuè, Marietti, Torino. 1952,
pagg. 78-87.
Ecco quindi la traduzione che si dovrebbe
dare a questo brano: “O sole, oscùrati [?????, dôm]
in Gabaon e tu, luna, nella piana di Aialon [il sole e la luna
potrebbero essere indicati per parallelismo poetico; comunque, non
è raro di vedere contemporaneamente il sole e la luna].
S'oscurò il sole e la luna finché la nazione fosse
vendicata dai suoi nemici. Non sta forse scritto nel Libro del
Giusto: S'oscurò il sole nel mezzo del cielo e non
s'affrettò a venire per quasi un giorno intero? Mai vi fu
un giorno come quello (né prima né dopo) in cui il
Signore ascoltasse la voce di un uomo. Davvero il Signore
combatteva per Israele!” .
Al v. 13 il fermarsi del
sole significa che non diede più luce (occultato dalle
nubi), e così la luna che non diede più luce. Al v.
13 NR ha: “La luna rimase al suo posto”, ma “al
suo posto” manca nell'originale ebraico; TNM ha,
giustamente, solo: “La luna in effetti si fermò”.
Il “non si affrettò a tramontare” di TNM
al v. 13 è, in verità, altro. Il testo ebraico ha
?????? labò): “dare luce”. Quindi, “il
sole non si affettò a dare luce”. Il v. 14 ha: “Un
giorno simile a quello” (“Nessun giorno è stato
come quello”, TNM); questo avvenne per la potente
intercessione di Dio; solo la Volgata aggiunge "lungo"
che manca nell'originale (“Non fuit ante et postea tam longa
dies”, “Non ci fu né prima né dopo un
giorno tanto lungo”). Il brano è importante perché
Dio ascolta la preghiera e combatte per Israele.
Anche nella
letteratura ebraica non biblica il passo può intendersi non
nel senso di un prolungamento del giorno, bensì come
un’interruzione della luce a causa della tempesta: “Al
suo comando non si arrestò forse il sole [dal dare luce] e
un giorno divenne lungo come due [diviso in due dalla tempesta]?
Egli invocò l'Altissimo sovrano, mentre i nemici lo
premevano da ogni parte; lo esaudì il Signore onnipotente
scagliando chicchi di grandine di grande potenza”. -
Siracide o Ben Sira o Ecclesiastico 46:4,5, CEI;
deuterocanonico.
Interessante anche qui la connessione dei
due giorni, con la tempesta che lapidò i nemici in risposta
alla preghiera di Giosuè. Fu la Volgata con la sua aggiunta
del "tanto lungo" alla sola parola "giorno"
del testo ebraico che creò la tradizione dell'arresto del
sole nel suo viaggio diurno. E gli altri traduttori, da allora,
tutti dietro.
Una recente soluzione. Joseph Blenkinsopp,
docente dell'Università di Notre Dame (nell’Indiana,
U.S.A.), ha analizzato i due verbi ebraici damàm e camàd
che si usano nel passo, ed ha trovato che appaiono riuniti in un
episodio relativo a Gionata e assumono il senso di "attendere"
senza dare battaglia (damàm) e di "starsene quieti"
senza attaccare (camàd). Gionata che vuole attaccare i
filistei dice: “Se ci dicono in questo modo: ‘State
fermi [dommu, “attendete”] finché vi
raggiungiamo!’ dobbiamo quindi stare dove siamo [camadnù,
“ce ne staremo quieti”], e non dobbiamo salire da
loro”. - 1Sam 14:9, TNM.
La creazione:
problemi definiti
La parte ormai acquisita riguarda
l'ordine della creazione e l’interpretazione dei giorni
creativi.
Tendenze concordistiche. All'inizio del secolo
scorso (20°) e ancora oggi alcuni esegeti fondamentalisti
cercarono di accordare la Bibbia con le varie epoche geologiche e
con l'idea cosmologica in voga al tempo dello scrittore biblico.
Il vocabolo "giorno" s’intese non come un vero
giorno di 24 ore, bensì come un periodo: “Queste sono
le origini dei cieli e della terra quando furono creati. Nel
giorno che Dio il Signore fece la terra e i cieli” (Gn 2:4);
“Dal giorno che furono sulla terra, fino ad oggi” (Es
10:6). È evidente che in questi due passi citati il
“giorno” non equivale affatto ad un periodo di 24 ore.
Nel tentativo di armonizzare Gn con i dati scientifici si vide la
luce iniziale del “sia luce!” di 1:3 come
corrispondente alla nebulosa originaria del Laplace emanante
una luce rossastra prima ancora che esistessero gli astri. La
creazione degli astri al quarto giorno (o periodo)
corrisponderebbe alla loro visibilità dalla terra dopo che
gli strati di vapore, precipitati su di essa in forma di pioggia,
li resero visibili.
Ora però tutto ciò è
messo in discussione dagli scienziati che al posto della nebulosa
iniziale del Laplace, propendono per l'esplosione iniziale di un
primitivo nucleo durissimo che spiegherebbe meglio la continua
espansione dell'universo. Fu l'ipotesi dell'astronomo belga G.
Lamaitre (cfr. G. Lamaitre, L'espansione dell'universo, apparso
postumo in Trevue del Questions Scientifiques, 1967, e in
traduzione italiana in Il Fuoco, 1967, n. 5). Si tratta della
teoria del Big Bang, ormai già messa in discussione
anch’essa.
Lo sforzo umano di far concordare la Bibbia
(o meglio, la propria interpretazione della Bibbia) con la scienza
attuale (che domani forse sarà sorpassata) è
evidente in quella teoria dei Testimoni di Geova che richiama il
noto cane che si morde la coda. Il ragionamento è questo: i
giorni creativi durano migliaia di anni, e dato che il settimo
giorno dura 7000 anni, anche gli altri sei durano settemila anni.
“Il settimo ‘giorno’ è un periodo che
abbraccia migliaia di anni, e possiamo logicamente trarre la
stessa conclusione per quanto riguarda i primi sei ‘giorni’”
(Esiste un creatore che si interessa di noi?, pag. 92, § 3).
Sulla durata del settimo giorno: “Se applichiamo la
dichiarazione biblica che presso Geova Dio ‘mille anni sono
come un giorno’, ciò significa che i seimila anni
dell’esistenza dell’uomo sono alla vista di Dio come
sei giorni. (Sal. 90:2; 2 Piet. 3:8) Il regno di mille anni
avvenire del suo Figlio sarebbe dunque un settimo “giorno”
dopo quei sei. Corrisponderebbe perfettamente al modello profetico
di un periodo sabatico di riposo dopo i sei periodi di fatica e
lavoro. Quindi, mentre ci avviciniamo al termine dei seimila anni
dell’esistenza umana durante questo decennio, c’è
la rallegrante speranza che un grande sabato di riposo o
liberazione è davvero vicino” (Svegliatevi! del 22
aprile 1972, pag. 28). Secondo la loro cronologia biblica i primi
6000 anni di questo settimo giorno dovevano finire nel 1975 con il
simultaneo inizio del periodo di 1000 anni del Regno, che avrebbe
così chiuso i settemila anni. Oggi, a distanza di decenni
da quel mancato evento, si cerca di scaricare la responsabilità
dell’errore su altri (che sono poi sempre loro): “Gli
Studenti Biblici, noti dal 1931 come testimoni di Geova, si
aspettavano anche di vedere l’adempimento di meravigliose
profezie bibliche nel 1925. Ipotizzarono che in quel tempo sarebbe
iniziata la risurrezione terrena, grazie alla quale sarebbero
tornati in vita fedeli uomini dell’antichità, come
Abraamo, Davide e Daniele. Più di recente, molti Testimoni
congetturarono che gli avvenimenti legati all’inizio del
Regno Millenario di Cristo avrebbero potuto cominciare ad
adempiersi nel 1975. Le loro aspettative si basavano sulla
constatazione che in quell’anno sarebbe iniziato il settimo
millennio della storia umana” (Svegliatevi! del 22 giugno
1995, pag. 9). Ecco l’orgoglio umano che non riconosce mai i
propri errori: non fu la Società di Brooklyn a sbagliare,
ma “molti Testimoni che congetturarono”. Forse,
legalmente, si potrebbe parlare di complicità e di concorso
in reato, dato che quelle errate vedute di “molti Testimoni”
che “congetturarono” furono pubblicate negli scritti
ufficiali editi dalla Società stessa. In verità,
legalmente (nel codice dell’onesta intellettuale), si tratta
di falsa testimonianza per addossare ad altri i propri errori. Si
chiama disonestà intellettuale. Se è vero che furono
“molti Testimoni che congetturarono” (Ibidem), costoro
non congetturarono per nulla, ma si attennero in buona e
malriposta fede a ciò che affermava l’allora
presidente del loro corpo dirigente, Fred Franz, che così
metteva nero su bianco: “Il settimo periodo di mille anni
della storia umana comincerà nell’autunno del 1975”,
aggiungendo poi: “Come sarebbe appropriato che Geova Dio
facesse di questo veniente settimo periodo di mille anni un
sabatico periodo di riposo e liberazione . . . questo sarebbe
molto opportuno per il genere umano. Sarebbe anche assai
confacente da parte di Dio” (Vita eterna nella libertà
dei figli di Dio, pagg. 28 e 29). Ora, delle due l’una: o il
Franz s’ingannò e ingannò tutti i Testimoni di
Geova oppure Dio non seppe fare ciò che era “appropriato”
e “molto opportuno”, non seguendo l’idea del
presuntuoso Franz che riteneva la sua idea “confacente da
parte di Dio” (Ibidem). Con tutta la mancanza di rispetto
possibile per il Franz, riteniamo valida la prima, con il conforto
della storia.
L'esegesi naturale del testo
biblico ci induce a intendere il giorno nel senso di vero giorno,
le acque superiori come vera acqua e non come vapore, gli astri
come veramente creati al quarto giorno e non solo resi visibili.
Vegetali e animali sono contemporanei secondo la scienza, e non
distanziati come dice la Genesi da un “giorno" (o
epoca) intermedia. Occorre quindi ricercare altre soluzioni
diverse da quella concordista.
ESPRESSIONE
DIDATTICO-ARTISTICA
Gli elementi del creato sono elencati
secondo l'opinione del tempo. La luce è creata prima del
sole, semplicemente perché allora si pensava che essa fosse
indipendente dal secondo; non vi è forse luce anche quando
non si vede il sole? “Dov’è, ora, la via [che
porta] dove risiede la luce?”, “Dov’è,
ora, la via per cui si distribuisce la luce”? (Gb 38:19,24,
TNM). Dio crea poi il firmamento, concepito allora come qualcosa
di solido in forma di cupola, mentre per noi è solo
atmosfera e poi vuoto. Per gli ebrei era un'entità
resistente perché doveva sostenere l'acqua superiore: “Si
faccia una distesa fra le acque e avvenga una divisione fra le
acque e le acque” (Gn 1:6, TNM); questa “distesa”
è nel testo ebraico ??????? (raqìa), una specie di
strato solido (crf. Ez 1:22 e sgg.). In Gn 1:11 si legge: “La
terra faccia germogliare erba, vegetazione che faccia seme”
(TNM).? A leggere così, nel testo italiano tradotto,
parrebbe a prima vista che si tratti di un tutt’uno: l’erba
ovvero la vegetazione che fa seme. Non è così.
Perché mai si dovrebbe, in tal caso, specificare “che
faccia seme”? La verità è nel pensiero dello
scrittore ebreo l'erbetta senza seme è distinta dai cereali
con seme perché la prima, spuntando per conto suo appena
piove, sembrava non aver seme, mentre in realtà pur essa lo
ha. Si tratta di una divisione secondo le apparenze, poiché
l'erba non veniva seminata dall'uomo, ma sembrava spuntare in modo
spontaneo nella steppa con le prime piogge. Il testo ebraico
ha:
????????? ???????? ????????? ??????? ??????? ??????
????????? ?????
vayòmer elohìm tadshè
haàtetz dèshe èshev mazrìa zèra
E
disse Dio verdeggi la terra vegetazione erba seminante seme
Il
tutto è chiaro al v. 12: “E la terra produceva [1]
erba, [2] vegetazione che faceva seme secondo la sua specie e [3]
alberi che portavano frutto”. - TNM.
La successione.
La successione degli esseri poggia su due princìpi: il
logico procedimento del lavoro umano e la ripartizione artistica
delle opere in due grandi classi: a) l'ambiente; b) il suo
popolamento.
Il primo principio regola le opere dei primi tre
giorni. Dio prima fa la luce necessaria per agire; poi divide
l'acqua e prepara la terra per l'uomo. Il secondo principio regola
le opere degli ultimi tre giorni nei quali si popola l'ambiente
prima preparato: a) la luce è ornata di sole, astri, di
luna; b) il cielo e l'acqua da uccelli e pesci; c) la terra da
animali e da uomini.
Primi tre giorni creativi (Gn 1:3-13)
Ultimi tre giorni creativi (Gn 1:14-31)
1 Luce “Si
faccia
luce” 4 Luce adornata “Si facciano
luminari”
2 Acqua “Divisione
fra le acque”
5 Acqua adornata “Brulichino le acque”
3 Terra
“La terra produceva […]” 6 Terra adornata
“Animale domestico e […]”
(TNM)
La
successione qui presentata ha il solo scopo di presentare la
grandezza dell'uomo, che giunge come re del creato, dopo che tutto
è pronto per accoglierlo (Gn 1). Ma l'ordine cambia nel
cap. 2, dove l'uomo appare per primo (è primo nel pensiero
di Dio) e tutto il resto, vegetazione e animali (almeno alcuni)
sono creati dopo di lui e per lui: “Ora non c’era
ancora nessun cespuglio del campo sulla terra e non germogliava
ancora nessuna vegetazione del campo, perché Geova Dio non
aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che
coltivasse il suolo. Ma un vapore saliva dalla terra e irrigava
l’intera superficie del suolo. E Geova Dio formava l’uomo
dalla polvere del suolo e gli soffiava nelle narici l’alito
della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente.
Inoltre, Geova Dio piantò un giardino in Eden, verso
oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. Così
Geova Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla
vista e buono come cibo”, “E Geova Dio proseguì,
dicendo: ‘Non è bene che l’uomo stia solo. Gli
farò un aiuto, come suo complemento’. Ora Geova Dio
formava dal suolo ogni bestia selvaggia del campo e ogni creatura
volatile dei cieli, e le conduceva all’uomo”, “E
Geova Dio edificava dalla costola che aveva preso dall’uomo
una donna e la conduceva all’uomo”. - Gn
2:5-9,18,19,22, TNM.
Si noti come in questo secondo racconto
della creazione la successione è diversa: non germogliava
ancora nessuna vegetazione, perché “non c’era
uomo che coltivasse il suolo”; poi Dio crea l’uomo;
poi pianta un giardino in Eden; poi fa crescere la vegetazione;
poi crea gli animali; poi crea la donna. Qui il messaggio biblico
è diverso: l’uomo è il primo pensiero di Dio,
tutto il resto segue.
I Testimoni di Geova qualcosa
intuirono, ma non lo compresero fino in fondo: “Dopo la
creazione di Adamo, e ancora entro il sesto giorno creativo, pare
che Geova formasse ulteriori creazioni di animali e uccelli”.
- Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, Studio n.
3, pag. 286, § 13.
Della creazione si
hanno nella Bibbia altre due presentazioni. In Sl 104 e in Gb
38.
• Nel Salmo 104, Dio (rivestito di luce) stende i
cieli come una tenda, costruisce la sua casa su travi poste sulle
acque, fonda la terra su luoghi stabili perché non vacilli,
ricopre quindi tutta la terra di acqua, poi causa un cataclisma
che fa emergere i monti, pone un confine al mare, dispone delle
sorgenti per abbeverare il bestiame, fa germogliare la terra.
•
In Gb 38 Dio fonda la terra affondando i suoi piedistalli con
incastro e ponendo la pietra angolare, poi barrica le porte del
mare che riveste di oscurità; la terra ha delle estremità
o ali; il mare ha delle sorgenti; la luce e le tenebre hanno un
loro luogo; la neve e la grandine hanno i loro depositi; c’è
un canale per l’inondazione; in cielo ci sono delle giare
d’acqua.
Si dirà che queste descrizioni erano
comprensibili per Giobbe, giacché qui è Dio che
parla a Giobbe. Appunto. Se Dio stesso usa questo linguaggio per
farsi comprendere da Giobbe significa che quello era il linguaggio
biblico comprensibile. Dio non vuole impartire a Giobbe una
lezione scientifica di astronomia o di biologia o di storia
naturale. Dio vuole impartirgli una lezione ben più
importante: quella di stare al suo posto e di guardare con
riverenziale stupore e timore alla sua creazione.
Questo
vale per tutti gli altri passi: il messaggio biblico riguarda
l’uomo e la sollecitudine di Dio per l’uomo. Poco
importa (anzi, nulla importa) l’aspetto scientifico. Ne
deriva che per lo scrittore biblico la successione non ha
importanza perché è presentata solo in funzione di
un’idea teologica che sta in prima linea. Al contrario,
molti esegeti moderni - non cogliendo lo spirito del racconto
biblico - danno eccessiva importanza alla successione degli atti
creativi.
Importanza teologica del racconto. Nei racconti
mitologici orientali vi è qualcosa di simile, ma con una
presentazione politeista: l'acqua primitiva costituita dal dio
Apsu e dalla dea Tiamat, i due elementi, maschile fecondatore e
femminile fecondato, che univano assieme le loro acque, erano
divinizzati e posti in opposizione al dio creatore (Enuma Elish).
Ma nella Bibbia – pur essendoci una successione simile nelle
opere – Dio parla e tutto si compie senza lotta alcuna; gli
stessi grandi cetacei, che presso i popoli erano considerati degli
esseri anti-divini in lotta con lui, diventano una sua semplice
fattura.
a) Al servizio dell'uomo stanno gli astri e gli
animali che invece erano oggetti di culto presso gli antichi
orientali. Perciò la Bibbia, pur utilizzando le forme
espressive del tempo, esalta la grandezza e la potenza unica del
suo Dio che, senza alcun contrasto, crea l'universo cosmico. Ma la
concezione biblica del "creare" è diversa dalla
nostra: più che creare dal nulla consiste nel modificare
delle realtà preesistenti (indicate in Gn 1:1, “La
terra informe e vuota”). Prima coperta dall'oceano, diviene
il mondo di oggi. Con la sua semplice parola Dio fa venire
all'esistenza tutti gli esseri creati, traendoli, spesso, da
quanto era già esistente e della cui origine l'autore non
parla. – Si veda al riguardo lo studio Creazione dal nulla?
nella sezione Studi del sito.
b) La descrizione è
espressa didatticamente in modo da preparare il riposo del sabato
che sarà ripreso nel decalogo. - Es 20:8-10; in Dt 5:12-15,
al contrario, raffigura l'uscita dall'Egitto: “Ricòrdati
che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore, il tuo
Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con
braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di
osservare il giorno del riposo”, v. 15.
Sorge un
problema: fu la creazione il punto di partenza del sabato, o fu il
riposo sabatico il punto di partenza per descrivere la creazione e
farne un preannuncio del riposo sabatico? Sembra che il racconto
sia espresso in modo tale da preparare il riposo del sabato e non
che questo riposo sia tratto dalla creazione:
1. Il numero
sette è un numero scelto ad arte per indicare la
conclusione di un'opera. Nel descrivere il risveglio di
Utnapishtun dal suo profondo sonno, che la moglie riesce ad
ottenere nonostante le difficoltà, si usa il numero "sette
": “Mentr'egli dormiva, alla parete della sua nave ella
cosse i suoi pani e li collocò presso il suo capo il suo
primo pane è impastato, il secondo è steso, il terzo
è cosparso. il quarto è imbiancato, il quinto è
invecchiato, il sesto è rotto: il settimo! appena egli lo
toccò, quell'uomo si svegliò di colpo”. -
Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Massimo, Milano.
Ecco la descrizione di un incendio tratto dalla letteratura
ugaritica: “Ecco un giorno e un secondo il fuoco divora
nella casa, la fiamma nel palazzo. Un terzo, un quarto giorno il
fuoco divora nella casa, la fiamma nel palazzo. Un quinto, un
sesto giorno, il fuoco divora nella casa, la fiamma nel palazzo.
Ma nel settimo giorno uscì il fuoco dalla casa, la fiamma
dal palazzo”. Si tratta di un incendio colossale che per
"sette" giorni divora e poi finalmente viene estinto.
Ora non v'è un fuoco che duri così tanto senza
consumare ogni cosa. Il numero sette indica il grave pericolo
corso che finalmente viene domato.
In Genesi 1 il numero
“sette” indica il felice compimento della creazione.
Per poter ottenere questo numero sette, si sono raggruppate le
varie opere che sono otto in sei giorni, onde farle rientrare
nello schema già scelto di 6+1. Si vede da ciò
l'intento di voler introdurre tutto nello schema prefissato per
sostenere la settimana liturgica. Questo, tra l’altro,
denota la grandissima importanza del sabato.
2.
L'artificiosità di tale richiamo al riposo divino appare
dal fatto che il riposo divino non cessa mai (non viene
pronunciata, infatti, la consueta formula del “fu sera e fu
mattina” dopo il settimo giorno), mentre quello dell'uomo ha
un termine e la settimana di lavoro riprende. Sarà solo al
termine della vita che l'uomo potrà entrare nel riposo di
Dio: “Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo,
Dio non parlerebbe ancora d'un altro giorno. Rimane dunque un
riposo sabatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo
di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò
dalle sue. Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo”. -
Eb 4:8-11.
3. Si noti attentamente come si dica “e fu
sera [notte] e fu mattina [dì]” per ciascuno dei sei
giorni creativi. Si noti anche come nelle descrizioni liturgiche
si fa iniziare il giorno con la sera: “Sarà per voi
un sabato, giorno di completo riposo […] dalla sera alla
sera seguente, celebrerete il vostro sabato” (Lv 23:32).
Così ancora i primi discepoli di Yeshùa. Ora, ciò
non collima perfettamente con il racconto genesiaco che inizia con
la creazione della luce e dovrebbe quindi dire: ‘E fu
mattina e fu sera’. Lo spostamento sera-mattina del
ritornello mostra che l'intento liturgico è stato aggiunto
a quello creativo. Lo sfondo ci costringe pure a intendere i
giorni biblici nel senso di giorni di 24 ore anziché di
"epoche". Prima sorse la settimana umana con il riposo
sabatico, poi si cercò di legittimarla con la descrizione
della creazione. Tanto più che altrove il riposo sabatico
appare giustificato con l'esodo dall'Egitto e non con la creazione
divina. - Dt 5:13-15.
La creazione: problemi
aperti
La Bibbia esclude l'evoluzione oppure no? La
Bibbia esclude l'evoluzione casuale, senza scopo finale, senza
l'intervento direttivo di una mente ordinatrice divina, perché
ciò andrebbe contro il suo insegnamento che fa venire tutto
l'universo da Dio. Ma che dire di un’evoluzione teista,
finalista, che non farebbe altro che esprimere la successione
degli esseri da Dio secondo le leggi da lui create? Molti
cattolici non credono che essa sia per forza esclusa dal racconto
biblico. La successione delle opere della creazione varia nei vari
racconti biblici, per cui non sarebbe quindi in contrasto con
un'eventuale successione diversa presentata dalla scienza. Vero,
ma improbabile. Va detto che nemmeno la creazione immediata da Dio
delle singole specie è asserita dalla Bibbia. Essa anzi
mostra un collegamento sempre meno sotto la direzione di Dio
secondo la minore importanza delle singole opere. Gli esseri che i
popoli orientali avevano divinizzato, come gli astri e il
firmamento, sono fatti sorgere direttamente da Dio. Il verbo barà
indica per sé non la creazione dal nulla, ma un'azione che
Dio solo può compiere. Si noti il parallelismo tra barà
e asà in Gn 2:3;1:26,27:
Gn 2:3 “Tutta la sua
opera che Dio ha creato allo scopo di fare” ?????? (barà),
“creò”
??????? (asòt), “fare”
Gn
1:26,27 “Dio proseguì, dicendo: ‘Facciamo
l’uomo […]’. E Dio creava l’uomo”
???????? (naashè), “facciamo”
????????
(ybrà), “creava”
(TNM)
L'uomo, quale
re del creato, viene fatto a sua immagine e dietro uno speciale
consiglio divino (Gn 1:26,27). Gli animali, gli uccelli, i pesci
(anche i grandi mostri marini) sono fatti da Dio, ma dietro
comando dato alla terra o alle acque e, sembra, con la loro
collaborazione (v. 24, “produca la terra anime viventi”,
TNM). Le piante provengono direttamente e chiaramente dalla terra
(v.11; cfr. per le zanzare dalla polvere Es 8:16). La cosiddetta
"generazione spontanea", ossia la possibilità che
il vivo potesse svilupparsi dalla materia inanimata, nonostante
che il fisiologo inglese Harrey aveva già sostenuto il
principio: “Omne vivum ex ovo”, fu ammessa fino al 19°
secolo. Il grande embriologo Karl Ernst von Baer insegnava ancora
nel 1826 la trasformazione del muco intestinale in vermi sulla
base di "osservazioni proprie". Allo stesso tempo Goethe
scrisse al suo principe Carlo Augusto che da trucioli intrisi di
orina si svilupperebbero delle pulci entro 24 ore. Questa
derivazione degli esseri viventi da materia inorganica è
invece dalla Bibbia attribuita a potere divino. Pertanto, in nome
del racconto della creazione non possiamo condannare la teoria
dell’evoluzione che sembrerebbe, addirittura, anzi
raccomandata, almeno in qualche punto del racconto genesiaco (cap.
1: pesci e piante e animali - Gn 1:11,20,24). Significa questo che
l’evoluzionismo è un fatto e che la Bibbia lo
sostiene? Ma no. Significa solo che la Bibbia non lo smentisce e
che non possiamo argomentare con la Bibbia che la teoria non sia
applicabile. Solo questo. In quanto all’evoluzionismo,
questo si smentisce da solo. Fa più parte della
fantascienza che della scienza.
Ai collegamenti biblici ora
la scienza presenta altri collegamenti che potremo sostituire ai
primi. Soltanto occorre stare bene attenti a non presentare come
certo ciò che è tuttora discutibile. Nessuno nega
oggi una certa “evoluzione” (cosa ben diversa
dall’accettare la fantasiosa teoria evoluzionistica), il
problema sta nei limiti entro cui confinarla. Teillard de Chardin
la ritiene una norma generale per tutto l'universo, altri la
restringono entro certi gradi. Non sta a noi fissarne i limiti con
la Bibbia in mano, ma occorre lasciare alla scienza lo studio di
questi problemi. A noi basta dire che la Bibbia non è
contraria per il semplice fatto che una certa evoluzione (sia pure
concepita secondo la mentalità del tempo) l'ammette
anch'essa. Tocca alla scienza – se vi riesce –
sostituire all'evoluzione popolare, quella che scientificamente si
possa documentare. Non tocca all'esegeta intralciare, per non
incorrere nel medesimo sbaglio dei teologi al tempo di
Galileo.
Circa l'evoluzione, negli Stati Uniti si è
piuttosto contrari (almeno da parte dei credenti) e molte
Università la stanno escludendo del tutto dai loro
programmi didattici; in Europa la si ammette con maggiore
facilità. Gli esegeti non devono sostituirsi agli
scienziati, ma da teologi dovranno introdurre nelle conclusioni
scientifiche il lievito biblico della volontà
divina.
L’evoluzione e l'uomo. Anche qui dominano tre
soluzioni:
1. L'uomo fu creato direttamente da Dio.
2.
L'uomo per il corpo proverrebbe da animali inferiori, ma la sua
anima sarebbe creata da Dio.
3. L'uomo nella sua totalità
verrebbe indirettamente da Dio, in quanto con il graduale sviluppo
del corpo, l'animale avrebbe acquistato l'intelligenza che lo
avrebbe trasformato in uomo. Appena il cervello si sarebbe evoluto
a sufficienza, sarebbe sorto l'uomo intelligente e cosciente.
Anche qui la scienza (la scienza, non la fantascienza) deve poter
dire l'ultima parola, non la Bibbia. Secondo Genesi 2:7 lo
"spirito" indica l'alito vitale (concesso pure agli
animali) che, venendo da Dio, a lui ritorna con la morte, e
"anima" non significa anima in senso filosofico, ma la
persona umana fisica. Se evoluzione vi fu per l'uomo (tocca agli
scienziati provarlo, e a tuttora non ci sono riusciti), la Bibbia
insegnerà comunque che se si vuole essere credente si deve
introdurre il valore divino, per cui l'uomo corrisponde al disegno
voluto da Dio e quindi fu creato da lui. Occorre stare bene
attenti e non prendere alla lettera un racconto popolare come il
capitolo 2 della Genesi, dove l'autore ispirato intende esprimersi
in modo semplice e non scientifico per insegnare che tutto quanto
esiste proviene da Dio, e che anche l'uomo, nella sua totalità,
viene dal Signore. Si veda la differenza tra i capitoli genesiaci
1 e 2, dove il primo capitolo è meno popolare (proviene dai
saggi) del secondo, pur essendo ispirati entrambi. Ma esistette un
primo uomo chiamato Adamo? Certo che sì.
Poligenismo e
monogenismo. Vi è discussione tra gli stessi scienziati e
anche tra i teologi. L'ominizzazione sarebbe avvenuta
contemporaneamente in più luoghi (si pensa oggi in Africa).
Adamo ed Eva sarebbero solo dei simboli dell'umanità in
genere. Alcuni teologi accolgono questa idea (cfr. De Fraine),
altri no, come ad esempio Pio XII nell'enciclica Humani generis
(1950, AAS p. 576). È difficile accogliere questa idea di
poligenismo per le molte difficoltà teologiche che suscita.
Lasciamo che la scienza progredisca; ma che sia vera scienza.
Dall'opposizione tra il vecchio e il nuovo Adamo (in 1Cor 15:45)
pare più logica la presenza di due individui iniziali. Dal
momento che il nuovo Adamo (Yeshùa) è una persona
vera e unica, è logico pensare che tale sia stato pure il
primo Adamo. La scienza non ha nulla da opporvi. È così.
Eva dalla costola. Per alcuni esegeti la spiegazione di tale
fatto starebbe nel simbolismo sumero dove Nin-ti è
contemporaneamente dea della costola e della vita. Il racconto
biblico intenderebbe dire che Eva provenne da Adamo; il simbolismo
della costola sarebbe stato tratto dal sumero dove il vocabolo
"costa" (til) indica pure "vita", per cui Eva,
"madre dei viventi", era bene presentata come lo
sviluppo della "costa" (vita) di Adamo. Fuori simbolismo
si vorrebbe dire che Eva proviene in qualche modo dalla "vita"
di Adamo, simboleggiata dalla sua costola. D’altra parte,
nei due racconti della creazione si hanno descrizioni diverse:
Gn
1:27 “Dio creava l’uomo a sua immagine, lo creò
a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”
Gn
2:22 “E Geova Dio edificava dalla costola che aveva preso
dall’uomo una donna”
(TNM)
Riguardo alla
presunta “costola” d’Adamo si veda lo studio Eva
da una costola di Adamo? nella sezione Donna del sito.
Miracoli. Non si può discutere con
chi confonde problemi scientifici con problemi di fede. La fede è
una confessione spirituale, la scienza naturale è una
conoscenza scientifica. Questa conoscenza è verificabile da
chiunque possegga i metodi adeguati e non ha assolutamente niente
a che fare con la fede. Si possono conseguire dei risultati
scientifici solo se si usano metodi scientifici. La scienza
naturale è una scienza profana. La fede in questo campo non
può svolgere nessuna indagine. Anche uno scienziato che ha
fede, come scienziato può dire qualcosa soltanto sulla
"origine del mondo", ma mai sulla "creazione".
Se cerca di farlo, egli oltrepassa i limiti della sua competenza e
delle sue possibilità di scienziato. E allora la fede
(anche la sua propria fede!) dovrebbe richiamarlo all'ordine.