Bibbia e scienza

Bibbia







Bibbia e scienza

Il problema dei rapporti tra Sacra Scrittura e scienza, considerato ormai risolto (per i cattolici e per molti protestanti) è tuttora un problema assai vivo per i fondamentalisti. Va quindi sottoposto a un breve esame. Dopo una rapidissima storia del problema, saranno prese in considerazione alcune obiezioni alla Bibbia - falsamente opposte in nome della scienza - per giungere poi alla conclusione che non vi può essere opposizione tra Bibbia e scienza giacché esse sono su due piani diversi che non si possono né armonizzare, né contraddire.


Breve storia del problema

SINO A GALILEO
Nei primi secoli della chiesa predominò il sistema aristotelico-tolemaico,  che si raffigurava l'universo come un insieme di sfere (i sette pianeti con il sole, la luna e le stelle) rotanti secondo orbite fisse intorno alla terra immobile. Il sistema tolemaico, suggerito da Aristotele, era stato perfezionato dall'astronomo egizio Tolomeo (90-168 E. V.) che tra il 142 e il 146 scrisse il suo libro Mégiste suntaxis; fu noto con il nome di Almagesto, datogli dagli arabi. Esso ci presenta la descrizione dell'universo, quale era ammesso, non solo da Dante, ma anche da Shakespeare.
Al di sopra di questi elementi mobili dominava – secondo quello che si pensava allora - il cielo empireo, immobile al pari della terra e ritenuto sede di Dio. Gli scrittori ecclesiastici e i teologi del periodo scolastico interpretarono la Bibbia secondo tale sistema, ritenuto un dato scientifico indiscusso e indiscutibile. Da qui le opposizioni create dai teologi e dai filosofi al tentativo di altri studiosi desiderosi di sostituire al tolemaico il sistema copernicano, secondo il quale sarebbe stata la terra a roteare attorno al sole, anziché il sole attorno alla terra.
In questo periodo solo Agostino ebbe delle idee veramente geniali, che però non furono sfruttate né da lui (si veda il suo De Genesi ad litteram) né dai suoi successori, almeno per lungo tempo: “Va detto che . . . lo Spirito Santo, non intendeva insegnare agli uomini la costituzione intima delle cose . . . la quale del resto non aveva alcuna utilità per la salvezza” (Agostino, De Genesi ad Litteram 2,9 20 PL 34,270; “Noluisse ista docere homines nulli saluti profectura”). “Non si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: Mando il Paracleto per insegnarvi il corso del sole o della luna. Il Signore voleva fare dei cristiani non degli scienziati [mathematicos]” (Agostino, De actis cum Felice Manich. 1,10 PL 42,525; ”Christianos facere volebat non mathematicos”). “È cosa brutta e dannosa e da evitarsi con ogni cura che un infedele, sentendo un cristiano parlare di queste cose con la pretesa di sostenerle con le Sacre Lettere, possa credere che egli vaneggi, a tal punto da non riuscire a trattenere il riso. Peggio ancora sarebbe se non si ridesse di uno che vaneggia, ma che coloro i quali sono al di fuori credessero che i nostri autori abbiano avuto simili idee e vengano così tacciati di ignoranti e respinti proprio da coloro che noi ci preoccupiamo di salvare”. - Agostino, De Genesi ad Litteram 1,39.
La Scrittura non fa altro che esprimersi al modo con cui i nostri sensi vedono le cose. Forse che anche noi non diciamo che il sole sorge e tramonta? Astronomi e meteorologi usano lo stesso linguaggio. “Perché la Scrittura dovrebbe parlare in modo diverso dal nostro?”. - Agostino, Contra Faustum 13,7 PL 42,5.6.
Nei secoli 11° e 12°, in nome della fede e della teologia si oppose la religione alla filosofia e alle scienze profane. Michele di Corbeil, tra il 1100 e il 1110 dichiarava inutile l'applicarsi alla filosofia: “Inutilis inquisitio studium philosophiae”. Questo atteggiamento oscurantista riaffiora anche oggi, nel 21° secolo, presso molte correnti religiose. Ad esempio, in una pubblicazione dei Testimoni di Geova si legge: “Molti giovani cristiani hanno deciso di non andare all’università. Molti riscontrano che l’addestramento offerto nelle congregazioni dei testimoni di Geova — in particolare la settimanale Scuola di Ministero Teocratico — li pone in netto vantaggio quando si tratta di trovar lavoro. Pur non possedendo una laurea, questi giovani imparano ad essere equilibrati, esperti nell’arte di esprimersi, e abbastanza capaci di assolvere responsabilità” (I giovani chiedono… Risposte pratiche alle loro domande, pagg. 178-179, sottotitolo “Alternative all’istruzione universitaria”. Qui si usa una sottile psicologia: “Molti giovani cristiani hanno deciso di non andare all’università” (Ibidem), ma in verità non è una libera decisione ma un condizionamento (cfr. il sottotitolo); l’alternativa, poi, all’università sarebbe un’adunanza settimanale di meno di un’ora in cui tutti (scolarizzati o no) si cimentano in prove di “oratoria”. Ritenere tale adunanza una valida alternativa agli studi universitari è inqualificabile.
Per Bonaventura, scienze profane e filosofiche valevano solo perché stavano al servizio della teologia. Persino Ruggero Bacone – cultore di scienze profane – diceva che la filosofia per se stessa non ha alcuna utilità.
Nelle Costituzioni Domenicane, risalenti al 1228, fu proibito ai frati di leggere i libri dei gentili e dei filosofi, pur essendo talora lecito sfogliarli. “Non imparino le scienze profane e neppure le arti liberali, se non ne ottengono licenza dal Maestro Generale”. Dal capitolo generale di Montpellier risulta che tali norme erano ancora in vigore nel 1277.
Tommaso d'Aquino (secolo 13°) volle separare la fede dalla scienza e dalla filosofia. Secondo lui le opinioni filosofiche non vanno né asserite né negate per ragioni di fede (Tommaso d'Aquino, Opusc. 10, qu 18), perché fede e filosofia valutano le realtà cosmiche sotto due aspetti diversi: “Il filosofo studia quel che conviene ad esse secondo la loro natura, come nel fuoco il salire in alto, il teologo invece ne studia il loro rapporto con Dio, come l'essere creato da Dio,  l'essere a lui sottoposto e simili altri aspetti. Non si può dunque attribuire all'imperfezione dell'insegnamento di fede la trascuratezza di molte proprietà degli esseri, come la conformazione del cielo e la quantità del moto”. - Tommaso d'Aquino, Contra gentes 2,4.
Puramente casuale, nella Bibbia, è l'esistenza di passi che interessano la scienza. Qualcuno leggendo nella Genesi che Dio separò le acque dalle acque potrebbe vedervi l'opinione di Talete (filosofo greco di Mileto, capo della scuola ionica, morto nel 548 a. E. V.) secondo cui all'origine degli esseri sta l'acqua; ma questa sarebbe una valutazione “superficiale”,  perché Mosè “esprime solo ciò che appare ai sensi” e che è l'unico modo con cui si può parlare ai semplici. - Tommaso d'Aquino, Summa Theologica 1,9.68 a 3; cf. anche qu. 70, a. 1 ad 3; in Iob 26, q. 65-74; Contra gentes 2,15-38.
La valutazione tolemaica del cielo empireo immobile, delle stelle e del sole che si muovono, della terra immobile, centro dell'universo, dominò per tutto il Medio Evo. Tutto si cercava di spiegare in tal modo: anche l'accelerazione di gravità si attribuiva al piacere sempre più vivo che provavano le cose nell'accostarsi al centro dell'universo dove si trovava il loro riposo. Fu soltanto con Galileo che questa concezione cominciò a cambiare.
IL PROCESSO A GALILEO
Nel 15° secolo il cardinale Cusano (morto nel 1464) avanzò per la prima volta l'opinione che anche la terra si muovesse, non essendovi nell'universo alcun epicentro, sicché tutti i pianeti roteano attorno a una propria sfera. Le teorie del cardinale Cusano (cosi detto perché oriundo da Cuse, Treviri) – il cui vero nome era Nicola Griffi – furono sostenute in varie opere, tra cui il De docta ignoranzia, Idiota.
Dopo di lui il canonico Copernico (1473-1543) precisò questa idea in un'opera postuma, dove propose come ipotesi una soluzione assai più semplice del sistema cosmico: la terra rotea su se stessa in un giorno e si sposta attorno al sole durante un anno; anche i pianeti circolano attorno allo stesso astro in un tempo più o meno lungo (Copernico, De revolutionibus orbium cielistium, Norimberga, 1543, con il nome dell'autore e la dedica a Paolo III). Vi si diceva anche che la terra è solo centro di gravitazione e di rotazione della luna. Come per un’esercitazione matematica, dimostrò che tale ipotesi era ben più semplice della complicata teoria tolemaica. I papi all'inizio non vi trovarono nulla di riprensibile, poiché le nuove idee erano presentate come semplici "ipotesi" e non come fatti assolutamente veri. Ancora oggi molte idee hanno libera cittadinanza nel cattolicesimo per la semplice ragione che si danno per pura ipotesi, anziché essere presentate come una realtà indiscussa.
Toccava a Galileo, circa un secolo dopo, rimettere il problema sul tappeto. Era questi un illustre matematico, nato a Pisa nel 1564, che dal 1592 insegnò alla cattedra universitaria di Padova. Convertitosi verso il 1604 alla teoria copernicana, ne trovò conferma esaminando il cielo con il cannocchiale da lui inventato nel 1609. Le fasi del pianeta Venere erano chiaramente spiegabili con il suo spostamento attorno al sole; anche Giove e i suoi satelliti erano guidati da un identico movimento. Per analogia lo stesso doveva accadere per la terra e il suo satellite lunare (accanto ad argomenti così solidi e decisivi, Galileo ne aggiunse altri poco efficaci, come le maree ch'egli attribuiva a perturbazioni dovute al movimento della terra, mentre provengono dall’attrazione lunare). Nel 1611, quando si recò a Roma, Galileo provocò una commozione generale: prelati e principi andavano a gara per esaminare personalmente il telescopio da lui creato e osservare le strane macchie solari che vi si percepivano. L'invidia suscitata dai suoi onori, l'acredine dei filosofi e degli scienziati che vedevano combattute con grande superiorità le loro idee, provocarono aspre polemiche e contese. Galileo ebbe il difetto di presentare le sue tesi non come semplici ipotesi, bensì come una realtà scientificamente acquisita. La fama molto popolare del Galileo rendeva i risultati del suo studio assai più accolti che non la semplice ipotesi di un Copernico, noto solo nel campo scientifico. L'opposizione più fondamentale, prima ancora che dai teologi, derivava dalla scienza del tempo che pensava potersi fondare sull'immediata evidenza dei sensi, argomento che aveva un enorme influsso su quanti non erano in grado di afferrare le ragioni di Copernico e di Galileo.  
Anche il cardinale Bellarmino nella conclusione alla sua lettera al P. Foscarini scriveva: “Quanto al sole e alla terra, nessun savio è che abbia bisogno di correggere l'errore, perché chiaramente sperimenta che la terra sta ferma e che l'occhio non si inganna quando giudica che la luna e le stelle si muovono. E questo basti per hora [= ora]” (Ibidem pag. 116). Si deve pure aggiungere che la connessione tra questa dottrina con la filosofia aristotelica, divenuta serva della teologia, rendeva assai pericolosa l'opposizione alle idee scientifiche soggiacenti, giacché si temeva in tal modo che per colpa sua l'intera dottrina cattolica (poggiante su Aristotele) dovesse cadere come contraccolpo. Si trattava quindi di una collusione tra il metodo aristotelico, assai empirico, e il metodo scientifico sperimentale.
Galileo fu quindi accusato di essere in contrasto con la Bibbia sostenitrice, secondo gli avversari, la teoria tolemaica. Al che Galileo rispondeva con una valutazione biblica precorritrice dei tempi e che ora è ammessa come dottrina comune e che presentò in due lettere inviate una a O. Benedetto Castelli (1613), che lo aveva accusato di contraddire la Bibbia, e l'altra alla granduchessa Cristina di Lorena (1615). Nella prima diceva che la Scrittura in materia scientifica si esprime secondo le apparenze; nella seconda osservava: “Dal Verbo divino procede di pari non solo la Scrittura, ma anche la natura”. Tuttavia la Scrittura – sosteneva Galileo - non ha scopo scientifico, bensì spirituale: non vuole insegnarci il corso delle stelle, ma ciò che riguarda “il culto di Dio e la salute delle anime”. A tale proposito citava un detto di Baronio, e cioè “che è intenzione dello Spirito Santo d'insegnarci (nella Scrittura) come si vadia [= vada] al cielo, non come vadia il cielo”.
Galileo osserva pure che “gli agiografi si accomodano alla capacità del volgo, che è assai rozzo e indisciplinato”. Raccomanda perciò di prendere le espressioni scientifiche in senso figurato, altrimenti ne verrebbero fuori “non solo contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora”. Nella Scrittura – continua Galileo - “si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma sono poste in cotal guisa per accomodarsi all'incapacità del volgo” . - A. Favaro, Le opere di Galileo Galilei V, Firenze, 1895, pagg. 307,348; la lettera si legge in Galileo, Opera, ed. Nazionale, vol V, Firenze, pag. 307; quella al Castelli a pag. 279.
Galileo afferma che nei rapporti tra uomini con uomini e di Dio con gli uomini esistono “due linguaggi fra loro radicalmente diversi: quello ordinario, con tutte le imprecisioni e incongruenze, e quello scientifico rigoroso ed esattissimo. L'infinita sapienza di Dio, pur conoscendo perfettamente entrambi, sapeva molto bene – quando dettò le Sacre Scritture – che, per farsi comprendere dall'uditorio cui si rivolgeva, avrebbe dovuto usare il linguaggio ordinario che è l'unico inteso dall'uomo comune. Perciò essa suggerì di scrivere che il sole gira intorno alla terra. Nella scienza, invece, noi abbiamo il dovere di fare uso del secondo tipo di linguaggio – quello rigoroso ed esattissimo – che è caratteristico del discorso scientifico. Quindi non possiamo più accogliere come valida l'anzidetta affermazione, malgrado che sia contenuta nella Bibbia”. - L. Geymonat, nel suo magistrale libro su Galileo, Torino, pagg. 125 e sgg.; su Galileo cfr. Enrico Genovesi , Processi contro Galileo, Ceschina, Milano.
La condanna del 1616. Il Santo Uffizio, proprio per l'opposizione al metodo sperimentale che sembrava minare tutto il sapere filosofico e teologico medioevale poggiato su Aristotele, nel decreto del 24 febbraio 1616, asserì che non si poteva affatto sostenere l'eliocentrismo (il sole al centro) o mettere in dubbio che la terra, priva di ogni movimento sia di rotazione che di rivoluzione, sia il centro dell'universo. Ciò era, infatti, asserito (secondo loro) dalla Bibbia, che tra l'altro fa parlare Giosuè dicendo: “Fèrmati, o sole!”, il che significherebbe che è appunto il sole a roteare attorno alla terra e non la terra attorno al sole. Papa Paolo V fece perciò promettere allo scienziato di abbandonare le sue opinioni e di non difenderle in alcun modo con scritti o con discorsi.
Il processo del 1633. Galileo tornò a Firenze, dove s'era frattanto stabilito. Seguirono sedici anni di relativa tranquillità e di feconde ricerche scientifiche, interrotte solo dalla polemica con il gesuita Grassi che, per aver acremente confutata la teoria copernicana (Orazio Grassi pubblicò il suo Libra Astronomica a Perugia nel 1623 sotto lo pseudonimo Sarsi Sigensano),  si vide attaccato da Galileo nel suo volume Il Saggiatore, dedicato a Urbano VIII e stampato con tanto di approvazione ecclesiastica (Il Saggiatore, volume in 54 capitoli, apparso con tanto di imprimatur, fu dedicato a Papa Urbano VIII, appena elevato al soglio pontificio e con il quale anni prima il Galileo era stato in ottimi rapporti di cordialità). Tuttavia un suo viaggio a Roma gli mostrò che anche il nuovo Papa, pur promettendogli benefìci ecclesiali, non era favorevole alle idee copernicane.
Incoraggiato dal silenzio della Chiesa, Galileo si dedicò per anni a una nuova opera (Il Dialogo), in cui nei congressi di quattro giornate si discorre sopra i massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e naturali, tanto per l'una quanto per l'altra parte. Tale opera apparve a Firenze nell'anno 1632 con l'imprimatur del Papa, dietro giudizio del domenicano Riccardi (l'opera di Galileo, Il Dialogo, doveva apparire a Roma, ma date le titubanze del Maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi, fu pubblicato a Firenze con dedica al granduca e con l'imprimatur del vicereggente di Roma, del Maestro dei SS. Palazzi, dell'Inquisitore di Firenze, del Vicario generale di Firenze e del governo granducale). L'opera provocò a Roma una reazione violenta e Galileo fu subito accusato di quattro colpe fondamentali:
1. Diffusione di idee eretiche, perché contrarie alla Bibbia.
2. Violazione del decreto del 1616 che gli imponeva di non toccare più tale argomento.
3. L'approvazione ecclesiastica era stata carpita fraudolentemente. Il Riccardi era infatti ignaro della proibizione personale rivolta a Galileo e per di più aveva suggerito alcune correzioni per meglio sottolineare che le affermazioni in favore dell'eliocentrismo erano solo un'ipotesi non ancora scientificamente dimostrata. Tale suggerimento non era stato accolto nella pubblicazione che si era attuata senza tenere conto degli emendamenti proposti.
4. Galileo metteva in bocca a Simplicio, il più goffo degli interlocutori, proprio le parole con cui l'allora regnante papa Barberini difendeva il sistema tolemaico.
La Congregazione del Santo Uffizio nel 1633 fece venire nuovamente a Roma Galileo. Padre Maculano, commissario del Santo Uffizio lo consigliò di dichiararsi colpevole di trasgressione del decreto del 1616 e di aver dato troppo peso alle tesi copernicane, della qual cosa ora intimamente si rammaricava. Lo scienziato seguì invece una tattica sbagliata, dicendo di non aver mai ritenuto certo in cuor suo il sistema di Copernico e d'aver anzi scritto Il Dialogo proprio per difendere la tradizionale teoria di Tolomeo. I giudici non si lasciarono convincere, lo minacciarono di ricorrere alla tortura per indagare meglio la verità del suo pensiero (pare tuttavia che essa non sia mai stata eseguita sullo scienziato ormai troppo vecchio e ammalato) e poi ne esigettero l'abiura e, data l'età e l'infermità, lo condannarono al carcere perpetuo anziché alla morte sul rogo.
L'abiura ebbe luogo il 22 giugno 1633 nella grande aula del convegno domenicano alla Minerva, e il carcere venne dallo stesso Papa Urbano VIII commutato in confino, prima nella villa dei Medici al Pincio e poi nella sede arcivescovile di Siena, e da ultimo nella Villa del Gioiello, proprietà dello stesso Galileo, presso S. Matteo di Arcetri, dove lo scienziato si spense nel 1642.  
Gli errori del Magistero ecclesiastico. Vari sono i torti che si possono attribuire ai teologi nel loro comportamento con Galileo Galilei. Eccone i principali:
A. Agire contro la coscienza. Si deve anzitutto biasimare il fatto che la Chiesa obbligò Galileo ad andare contro coscienza. Il Santo Uffizio lo costrinse a sottoscrivere un'abiura in cui egli condannò una teoria che intimamente riteneva vera. Lo obbligò quindi al controsenso di biasimare all'esterno un’idea che nel suo intimo considerava scientificamente dimostrata. Dice la leggenda che il Galileo, subito dopo aver abiurata la dottrina copernicana, asserisse della terra: “Eppur si muove!”. Si tratta di pura leggenda, ma ha il merito di mettere a fuoco il dissidio interiore di questo scienziato costretto a condannare come erronea una teoria che per lui era vera. Si tratta quindi di uno dei molti casi di violazione di coscienza e di costrizione mentale, propria dei governi assoluti (solo con il Concilio Vaticano II si ristabilì il diritto alla propria libertà anche su questo punto). Questo tipo di grave colpa è tuttora presente presso diverse sette “cristiane” che, più di tutto, temono e puniscono severamente le libertà di pensiero, da esse definite “apostasia”.
B.  Intralcio al progresso scientifico. Si deve biasimare anche il fatto che la condanna di Galileo fu per lungo tempo un intralcio al progresso scientifico. I teologi forse risponderebbero che il Galileo e gli altri scienziati furono pur sempre liberi di dedicarsi ad altri problemi scientifici. Ma è pur vero che la decisione romana pesò a lungo sulle ricerche dei dotti nel campo specifico del movimento della terra.
C. Un laico ha ragione sui dotti del tempo. A rigor di logica va ammesso che la cosiddetta infallibilità della Chiesa e del Papa oggi non è in questione. Si trattava in realtà di una condanna compiuta dal Santo Uffizio, la quale, pur essendo approvata dal Papa, non è mai infallibile. Il Papa nel caso specifico non intervenne ex cathedra, ossia con tutto il peso della sua autorità quale capo della Chiesa intera. Gli interventi personali dei papi Paolo V e Urbano VIII furono solo dei decreti disciplinari e non dogmatici: nel 1616 fu imposto a Galileo di tacere e nel 1633 di subire una pena e di abiurare ritirando dalla circolazione la sua opera, Il Dialogo. Non è quindi il caso di parlare di decisioni infallibili. È tuttavia insostenibile la scusa cattolica che si trattasse di un problema scientifico e non teologico. La condanna non verteva tanto sul fatto scientifico se sia il sole o la terra a muoversi, ma sul dato teologico, in altre parole se tale questione fosse “in armonia o in contrasto con la Bibbia”. La dottrina copernicana era quindi considerata eretica, perché combattuta dalla Bibbia. Si pensava quindi che la Bibbia dovesse intendersi in senso tolemaico. Pur ammettendo che la scienza non aveva ancora dimostrato il movimento della terra, si deve tuttavia riconoscere che l'uomo di scienza (Galileo) ne seppe più degli specialisti di teologia nel campo specifico dell'interpretazione biblica. Ciò anche se Keplero, contemporaneo del Galileo, aveva già trovato nel 1604 e nel 1618 le sue note leggi. Infatti, occorreva attendere la loro maturazione da parte di Newton, nella seconda metà del 17° secolo, perché la nuova astronomia copernicana apparisse una sintesi coerente e decisiva della realtà. Fu nel 1687 che Newton pubblicò i suoi Principi matematici e filosofici, nei quali diede la dimostrazione più completa ed esauriente del sistema copernicano.
Quei teologi cattolici erano di fronte ad un problema esegetico e non scientifico: La Bibbia difende il sistema tolemaico oppure no? La Bibbia si può accordare anche con il movimento della terra? La Bibbia proibisce di sostenere che il sole si muove oppure no? I teologi, in base alla loro interpretazione Bibbia, sostenevano l'obbligo di aderire al sistema tolemaico (il sistema copernicano nel 24 febbraio 1616 fu dichiarato dai teologi romani “assurdo, falso in filosofia, formalmente eretico perché contraddicente espressamente più testi della Sacra Scrittura secondo il loro senso proprio e la interpretazione dei Padri e dei Dottori”). Galileo al contrario propugnava il sistema copernicano. I teologi asserivano che nel caso presente la Bibbia andava intesa alla lettera, mentre Galileo diceva che nel campo scientifico la parola di Dio si adegua alle apparenze e parla secondo il modo con cui le cose esteriori appaiono agli occhi del comune uomo della strada, senza affatto insegnare la realtà scientifica. Galileo aveva ragione, i teologi al contrario sbagliarono, papa compreso.
Non è forse tale fatto una dimostrazione convincente che anche un semplice fedele può capire la Bibbia meglio di teologi qualificati? Per quale motivo ciò che si è attuato nel caso di Galileo non potrebbe avverarsi anche oggi? Perché dei semplici credenti e studiosi della parola di Dio non potrebbero avere ragione contro forzate interpretazioni, spesso dovute al desiderio di difendere posizioni dottrinali acquisite dalla classe religiosa dirigente? Ecco perché, allora, molte religioni “cristiane” incoraggiano a studiare la Bibbia, purché ci si lasci guidare dalle spiegazioni di un comitato o corpo direttivo ritenuto l’unico canale divino capace di interpretare la Bibbia.
DOPO GALILEO
Il metodo sperimentale fece sorgere quattro correnti di pensiero che meritano di essere ricordate:
1. Opposizione alla scienza: era propria di chi voleva chiudere gli occhi di fronte alla verità asserita dalla scienza.
2. Opposizione alla Bibbia con l'entusiastica accettazione di ogni novità. La Bibbia viene ridotta ad un semplice racconto mitico pieno di errori scientifici, e quindi non ispirato.
3. Illusione di coloro che pretesero di concordare Bibbia e scienza.
4. Sganciamento della Bibbia (opera teologica) dalla scienza: questa studia solo le cause seconde visibili e le leggi della natura, mentre la Bibbia presenta in Dio la loro causa prima.
Gli epigoni del sistema tolemaico. Il sistema tolemaico continuò a conservare a lungo il predominio presso i teologi, cosicché le nuove idee furono riprovate anche da Lutero e da Melantone. Il primo, ad esempio, così diceva di Copernico: “Quel pazzo vuole capovolgere l'arte dell'astronomia; ma come dice la Sacra Scrittura, Giosuè ha fermato il sole e non la terra”. Nonostante le idee di Galileo si andassero sempre più imponendo, alcuni teologi continuarono ad opporvisi accanitamente. L'università di Tubinga perseguitò il protestante Johannes Keplero (1571-1630), le cui scoperte riguardanti i movimenti dei pianeti confutavano la visione tolemaica del mondo. Costretto a praticare l'astrologia per campare, dovette assistere al processo di stregoneria al quale fu sottoposta anche la sua stessa vecchia madre. Anche Suarez, teologo di valore, con argomenti che oggi sono ridicoli, si applicò a condannare il sistema copernicano: “Il cielo, sede dei beati, dev'essere immobile; quivi sta pure il Cristo che 'siede alla destra di Dio Padre'. Ora come potrebbe ‘sedere’ se fosse trascinato da moto perpetuo? Non avrebbe i piedi fissi in una parte del cielo determinata, ma sotto di essi il cielo scorrerebbe senza posa; oppure Cristo sarebbe di continuo trasportato insieme con il cielo” (il suo commento alla Genesi  - che dura per ben 170 pagine - si trova nel vol. III dell'edizione di Parigi, Opera Omnia, 1856; vi è anche lo sbaglio di localizzare il cielo in una regione dell'universo, e di metterlo in connessione con la terra). Questa stupidità sostenuta dal teologo Suarez oggi fa sorridere, ma le sciocchezze sono proferite anche in oggi, nel 21° secolo. Ad esempio, si può leggere: “Il corpo delle persone spirituali (Dio, Cristo, gli angeli) è glorioso” (Perspicacia nella Studio delle Scritture Vol. 1, pag. 576, voce “Corpo”). E fin qui si afferma una verità parziale: non c’è dubbio alcuno che esistano corpi spirituali e che questi siano gloriosi (1Cor 15:40,42-44,47-50), ma Dio è Dio. Attribuire a Dio un corpo è, oltre che blasfemo, insensato. “Chi ha costruito tutte le cose è Dio” (Eb 3:4, TNM). “Tutte le cose” include tutto, ogni creazione e ogni creatura. Sia Yeshùa che gli angeli fanno parte della creazione di Dio. Tutto il reame spirituale, il mondo invisibile, fa parte della sua creazione. Dio non può essere parte di questa creazione: ne è il creatore. “I cieli, sì, il cielo dei cieli, essi stessi non ti possono contenere” (1Re 8:27, TNM). Come potrebbe mai Dio avere un “corpo spirituale” all’interno dei cieli? “A Geova tuo Dio appartengono i cieli, sì, i cieli dei cieli” (Dt 10:14, TNM); “Tu solo sei Geova; tu stesso hai fatto i cieli, [sì], il cielo dei cieli, e tutto il loro esercito“. - Nee 9:6, TNM.      
Secondo il francese Victor de Bonald (secolo 19°), che razza di supremazia avrebbe l'uomo, qualora gli angeli del cielo vedessero “colui che ne è il capolavoro e il re non nell'atteggiamento maestoso e grave di un principe in mezzo ai suoi sudditi, ma preso in un vortice, intento a far capriole e piroette senza fine davanti al sole e alle stelle immobili?”; “Noi che possediamo dei dogmi che ci offrono tutte le spiegazioni, avremo facoltà di non consultare (questi volumi dei geologi). Rileggiamo il racconto di Mosè, opponiamolo con fiducia a tutte le teorie moderne. Così la rivelazione sarà il nostro punto di partenza, la base della discussione geologica, confesseremo essere persino inconcepibile il presentarne un'altra . . . I libri sacri saranno il crogiuolo con il quale si saggeranno con severità i sistemi geologici”. - Victor de Bonald, Moïse et les géologues modernes ou Le recit de la Génèse comparé aux théories nouvelles des savants, Seguin, Avignon, 1835.
Siamo al tempo di Cesare Cremonina (collega del Galileo all'Università di Padova, celebre filosofo che riceveva uno stipendio doppio rispetto a Galilei e che morì nel 1631), che si rifiutava di usare il cannocchiale per paura di dovere rinunciare alle proprie teorie. E siamo al tempo di J. de Maistre (pensatore originale e profondo della Savoia, esiliato; prima aderente alla rivoluzione, poi contrario; visse a San Pietroburgo e morì a Torino nel 1821),  che biasimava il programma scientifico russo perché ammetteva l'esposizione di diverse teorie sull'origine del mondo. “Qui vi è” – diceva – “del superfluo e del pericoloso. Basta la Genesi per conoscere com'è cominciato il mondo”.
Le leggi di Keplero, l'attrazione di Newton “sono cose che non meritano la minima attenzione” – diceva Filippo Anfossi – “a fronte di tante e così chiare espressioni delle Scritture, che asseriscono costantemente il moto del sole e l'immobilità della terra, senza asserire mai il contrario una volta sola”. - Così nel 1822 Filippo Anfossi, citato da L. Geymonat, Galileo Galilei, Torino, pag. 85, n. 1.
L'unico posto dove si ammise il libero accesso delle nuove teorie e dove il cambiamento scientifico avvenne senza traumi visibili, fu l'Inghilterra: quivi il nuovo pensiero godette l'alto patronato sia della Chiesa che dello stato. I. Newton, i cui Principia Mathematica (1687) raccoglievano in un sistema organico tutte le scoperte fino allora fatte, fu ricompensato con la nomina a Master of the Mint  (Direttore della Zecca). Per lui le scoperte del secolo erano una conferma del Salmo 19:1: “I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani”. Ma altrove, nella Germania occidentale, sino ad alcuni anni fa (e tuttora presso alcuni gruppi fondamentalisti americani) si discusse assai vivacemente il problema della creazione: “I fondamentalisti difesero il racconto biblico della creazione dal punto di vista scientifico. Non è difficile immaginare quale ne sia stato il risultato. Non si poteva offrire allo stato ateo migliori argomenti contro la chiesa e la fede. Forse nessuno gli ha reso facile la lotta contro la chiesa e la Bibbia quanto questa gente che, per di più, si riteneva fedelissima alla Bibbia”. - Willi Marxen.  
Altri smisero di credere alla Bibbia, ritenuta parto di pura fantasia e d’ignoranza. È più o meno quanto affermò il prof. Adriano Buzzati Traverso, scrivendo che vi sono opposizioni tra il racconto biblico e le conoscenze scientifiche moderne. Conseguentemente s’imporrebbe la scelta tra la verità dogmatica immutabile presentata dalla Bibbia e quella scientifica, mutevole e progressiva. Ecco – secondo questi “modernisti” - la semplicistica e arcaica cosmologia biblica: la terra immobile (sulla base del mal compreso passo di 1Cron 16:30), giace come un disco sulle acque del grande oceano (l’abisso di Gn 49:25; Sl 24:2; Es 20:30), fissato su colonne (1Sam 2:8) senza che ne possa venire smossa (Sl 104:5). Sopra il suo firmamento starebbe un'enorme distesa d'acqua che scende sulla terra in forma di pioggia attraverso delle grate (cateratte) che si aprono e si chiudono al volere di Dio (Gn 7:11;8:2; Sl 148:4; Gb 37:18). Come la terra sarebbe il centro dell'universo, così la Palestina sarebbe l'ombelico della terra (Ez 5:5;38:12; cfr. Gdc 9:37). Era abitudine degli antichi considerare la loro città il centro della terra, così Delfi per i greci e Roma per i latini; secondo la Mishnà, trattato Jomâ 546, nel Tempio di Gerusalemme vi era una pietra detta "fondamentale" perché attorno ad essa sarebbe stato creato il mondo (sic); secondo le leggente medievali Yeshùa sul palo sarebbe al centro dell'universo, e il sangue che scendeva avrebbe bagnato il cranio di Adamo, il primo uomo.


La cosmologia biblica

Quale cosmologia presenta la Bibbia? Occorre essere onesti. Se usiamo l’argomentazione (del tutto giusta) che la Bibbia non è un libro di scienze, dobbiamo usarla fino in fondo. Questo comporta che non dobbiamo pretendere (secondo la moderna visione occidentale delle cose) che tutto quanto scritto nella Bibbia sia assolutamente in armonia con la scienza attuale. La Scrittura non ha per nulla bisogno di questa difesa da parte nostra. Voler forzare il testo biblico per dimostrare che la Bibbia sia “moderna” e che sostenga la vera scienza è un sintomo che caratterizza una fede malaticcia, afflitta da quella malattia (che, se non curata, tende a diventare cronica) che è il credo religioso. La fede non è un credo dottrinale. Il vero intendimento della Scrittura deve partire dal presupposto che – proprio perché la Bibbia non è né un trattato di scienza né un libro di storia – Dio parla all’umanità, e lo fa impiegando esseri umani che, ispirati, mantengono pur sempre non solo la loro mente, ma anche la loro mentalità.
Così, quando leggiamo nella Scrittura che Giosuè ordinò al sole: “Sole, fèrmati!” e che “il sole si fermò in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare per quasi un giorno intero” (Gs 10:12,13), non occorre che il nostro animo si ponga domande fuori luogo. Solo la mente religiosa di un appartenente a un credo religioso può vacillare di fronte alla reazione scandalizzata di qualcuno che, scuotendo per commiserazione la testa, pensa all’ingenuità del poveretto che ci crede. Ma il sole si fermò o no? Quel giorno fu più lungo degli altri o no? Questa domanda non ha senso. E il porla denota, per l’ennesima volta, che della Bibbia non si è compreso molto se si continua a leggerla con mente occidentale. Le domande corrette – di fronte ad un testo che ci crea difficoltà - sono sempre due:
1. Siamo sicuri di intendere il testo come lo intendevano gli ebrei nella loro mentalità semitica? Cosa significavano per loro quelle parole?
2. Siamo sicuri della traduzione che è stata fatta del testo originale?  
Cosa accadde, allora? Accadde che il popolo di Israele fu soccorso da Dio. Questo accadde. E il sole? E la durata di quel giorno? Non ci interessa indagarlo astronomicamente. Non è quello il messaggio di Gs 10. Il messaggio è: “Il Signore combatteva per Israele” (v. 14). È da sciocchi cercare le spiegazioni fisiche del fenomeno. Significherebbe solo ostinarsi a voler leggere aridamente la Bibbia in modo letterale anziché commuoversi intimamente per la grandezza di Dio: “Il Signore combatteva per Israele”. E, invece, ecco un misero tentativo di difendere – non la Scrittura – ma la propria opinione su de essa: “Lo stesso effetto [il sole che non tramonta] si sarebbe potuto ottenere con altri mezzi, ad esempio con una particolare rifrazione dei raggi della luce solare e lunare” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 624, sottotitolo “Sole e luna immobili”). Eppure, si va anche oltre, cercando di dare addirittura una parvenza scientifica al proprio convincimento: “Giacché vi sono ‘enormi lacune nella nostra comprensione del comportamento della materia nella massa’, perché dovrebbero gli uomini dubitare di ciò che la Bibbia dice su certi avvenimenti astronomici? […] Ma in base a che cosa si può definire ‘impossibile’ il comportamento del sole? […] Come abbiamo visto, oggi gli uomini non capiscono i misteriosi avvenimenti astronomici che si verificano proprio ora. Ma chi può negare che hanno effettivamente luogo? Nessuno. Dio, come Creatore, poté, se lo voleva, fermare i movimenti dell’intero sistema solare. Oppure, poté fermare il movimento solo della terra così che parve che il sole e la luna restassero nella stessa posizione visti dalla terra. D’altra parte, è possibile che il sole, la luna e la terra continuassero tutti i loro regolari movimenti, ma che la luce del sole e della luna risplendesse incessantemente per mezzo di qualche forma di rifrazione che ora non comprendiamo” (Svegliatevi! del 22 giugno 1974, pag. 15, “La Bibbia e l’astronomia”). E poi, dopo tutto questo darsi da fare intorno a forzature che cercano di armonizzare la propria comprensione del testo biblico con la scienza  - senza, peraltro, riuscirci, ma riuscendo a ridicolizzare la Bibbia -, come si rimarrebbe se si scoprisse che si ha a che fare con un passo tradotto male dal testo originale? È il caso proprio del “fèrmati, sole!”. Già. Lo esamineremo.
Occorre però semplicemente capire che gli scrittori della Bibbia si esprimono secondo la mentalità del tempo. Questo fatto non tocca minimamente il messaggio biblico. Con questo in mente, si può esaminare serenamente la cosmologia della Bibbia. Questa cosmologia non è per niente un trattato astronomico in linea con le più recenti scoperte scientifiche né, tanto meno, le anticipa. Non è neppure una negazione dell’astronomia che possa essere presa a dimostrazione che la Bibbia sbagli. Niente affatto. È solamente un’indicazione di ciò che la gente del tempo credeva. Esaminiamo.
Il mare, attorniante la terra, incuteva un certo timore agli ebrei:
“Quelli che scendono al mare nelle navi,
facendo commercio su vaste acque, sono quelli che hanno visto le opere di Geova e le sue meravigliose opere
nelle profondità; come egli dice [la parola] e fa sorgere un vento tempestoso, così che fa levare
le sue onde. Salgono ai cieli, scendono alle profondità.
A causa della calamità la loro medesima anima si strugge.
Vacillano e si muovono in maniera instabile come un ubriaco,
e anche tutta la loro sapienza è confusa”. - Sl 107:23-27, TNM.
Gli ebrei pensavano che all’estremità del mare vi fossero “le isole delle nazioni”:
“La popolazione delle isole delle nazioni si sparse nei loro paesi,
ciascuno secondo la sua lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni”. - Gn 10:5, TNM.
“Non sobbalzeranno le isole?”. - Ez 26:15, TNM.
Più oltre, gli ebrei pensavano ci fossero le “montagne eterne”:
“Colli di durata indefinita”. - Dt 33:15, TNM.
“I monti eterni furono frantumati; i colli di durata indefinita si inchinarono”. - Ab 3:6, TNM.
Queste “montagne eterne” erano dette anche “colonne del cielo”:
“Le medesime colonne del cielo si scuotono”. - Gb 26:11, TNM.
Nella concezione dell’epoca, queste “colonne del cielo” sostenevano la solida volta del firmamento. Entro la volta celeste vagano gli astri tra cui anche il sole che gira attorno alla terra:
“È come lo sposo [il sole] quando esce dalla sua camera nuziale;
esulta come un uomo potente per correre nel sentiero.
Da un’estremità dei cieli è la sua uscita,
e il suo giro [completo] è fino alle loro [altre] estremità;
e non c’è nulla di nascosto al suo calore”. - Sl 19:5,6, TNM.
“Anche il sole ha rifulso, e il sole è tramontato, e viene ansimando al suo luogo da dove rifulgerà”. - Ec 1:5, TNM.
Sotto la terra si trova una specie di carcere sotterraneo (Shèol) destinato ad accogliere i trapassati:
“Le vie dello Sceol sono la sua casa; scendono alle stanze interne della morte”. - Pr 7:27, TNM; cfr. Ez 26:19,20; Is 14:9.
Questa cosmologia non è però sempre consistente: talora la pioggia viene fatta scendere dalle nubi esistenti in cielo. - Dt 33:26; Gb 36:27 e sgg..
I cieli sono tre, oppure, nel giudaismo più tardivo, sette (Testamento di Levi 3). A quale idea aderisce Paolo? In 2Cor 12:2 egli dice di essere stato rapito in estasi “al terzo cielo”. Forse aderiva alla seconda idea; egli, infatti, identifica il “terzo cielo” con il "paradiso" (v. 4), che era diverso dal cielo divino.
Talora la terra, anziché essere presentata come disco, è ritenuta un quadrilatero con quattro angoli:
“Certamente alzerà un segnale per le nazioni e raccoglierà i dispersi d’Israele;
e radunerà gli sparsi di Giuda dalle quattro estremità della terra”, “Dall’estremità del paese”. - Is 11:12;24:16, TNM.
Anziché farla poggiare su colonne, a volte si è anche pensato che fosse sospesa nel vuoto:
“Fa scuotere la terra dal suo luogo, così che le sue medesime colonne vacillano”. - Gb 9:6, TNM.
“Egli distende il nord sullo spazio vuoto,
sospende la terra sul nulla”. - Gb 26:7, TNM.
Si vede quindi come la presentazione biblica del cosmo sia ben diversa dall'attuale, meglio conosciuta oggi grazie alla cosmonautica e alla ricerca spaziale. Tuttavia le scoperte più recenti non possono servire per denigrare la Bibbia, la quale aveva qualcosa di ben più importante da insegnarci. Dovrebbe anzi farci riflettere il fatto che nella Bibbia vi sono varie presentazioni cosmologiche, anche presso il medesimo autore. A meno di tacciarlo d’incongruenza e di controsenso, occorre concludere che egli non dava eccessiva importanza alle sue affermazioni cosmologiche, che spesso erano solo dei dati poetici per meglio sottolineare il suo insegnamento spirituale. Di esse si serviva secondo le concezioni del tempo, quale mezzo espressivo per formulare verità spirituali riguardanti Dio, la sua potenza e il suo intervento nella storia umana.


Il concordismo

Le continue scoperte di questi ultimi secoli crearono in altri esegeti entusiasmo e fiducia indiscussa nella scienza. Costoro cercarono perciò di accordare la Bibbia con le nuove scoperte scientifiche e pretesero di affermarne l'ispirazione con la pretesa che essa avrebbe precorso, perché ispirata, le scoperte della scienza moderna. L'apogeo di questo metodo concordistico si ebbe alla fine del 19° secolo e all'inizio del 20°, quando pullularono moltissime opere del genere. – Cfr. M.de Serres, De la cosmogonie de Moïse, Paris, 1831.1841.1860; F. Moigno, Les splendeurs de la foi, Paris, 1877; F. Vigouroux, Les lives saintes et la critique rationaliste, Paris, 1886.1890; Belot, Ensignements de la cosmogonie moderne, Bloud, 1832, pagg. 117-126, riguardo all’accordo tra Genesi e scienza; A Stoppani, Sulla cosmogonia mosaica, Milano, 1887, opera anticoncordista; P. Hamard, Cosmogonie mosaique, in Doctionnaire de la Bible II, pagg. 1034-1054; F. Vigouroux, Les lives saintes et la critique rationaliste  Vol III, Paris, 1901, pagg. 235-265.
La Bibbia precorse gli scienziati. Riguardo a questa non scritturale teoria basti qualche esempio che si può leggere nei libri del 19° secolo o, perfino, in corsi biblici anche contemporanei (di informazione superata). Mattheo Fontaine Maury, fondatore dell'oceanografia, si trova raffigurato in un monumento con la Bibbia in una mano e le carte dell'oceano nell'altra, mentre dietro di lui sta un gigantesco globo terrestre. Ecco come sorse la sua vocazione: stando a letto ammalato si faceva leggere la Bibbia dal figlio, quando udì nel Salmo 8 queste parole: “Tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore. […] Hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi: […] i pesci del mare, tutto quel che percorre i sentieri dei mari” (vv. 5,6,8). Maury allora disse: “Leggilo di nuovo; se la parola di Dio dice che nel mare esistono dei sentieri, essi ci devono essere e io li voglio trovare”. In pochi anni egli stabilì le principali linee o sentieri del mare che sono tuttora seguite nelle loro rotte dalle navi odierne perché più sicure. Tuttavia va notato che i sentieri di cui parla il Salmo riguardano i pesci e non le navi e vogliono solo indicare che quelli vi guizzano per la loro strada, così come gli uomini seguono la loro.
“Sei entrato nei depositi della neve”?, domanda Dio a Giobbe (Gb 38:22, TNM), e l'autore sacro pensava ai “serbatoi” posti sotto la volta del cielo dai quali la neve usciva come l'acqua posta sotto il cielo vi scende attraverso delle apposite grate. Ma il Dr. Frank T. Schutt del dipartimento canadese dell'agricoltura ha dimostrato che nel loro movimento centrifugo i nitrati esistenti nell'aria si raccolgono con l'ammoniaca libera e l'albuminoide per formare la neve. Essi ne sarebbero quindi i serbatoi. Siamo ai soliti tentativi di volere ad ogni costo dimostrare una scientificità della Bibbia che alla Scrittura per prima non interessava affatto.
Le stelle erano meno di 3000 per Ippareo; poco più di 3000 per Tolomeo (150 E. V.); ma lo scrittore sacro disse che sono innumerevoli come la sabbia (Gn 13:16;15:5; Ger 33:22), il che è stato rivelato dai moderni telescopi assai potenti. In realtà questa interpretazione dimentica lo stile iperbolico degli orientali, che si applica, non solo alle stelle, ma anche al popolo ebraico, il quale si può calcolare.
Parlando di un vuoto a settentrione e di terra sospesa nel vuoto (Gb 26:7), Giobbe avrebbe previsto il vuoto che i moderni telescopi trovano verso il nord, e la legge della gravità. Quando gli altri popoli parlavano della terra come di un piatto galleggiante, la Bibbia già lo presentava come “un globo”, il che solo ai nostri giorni è stato rivelato dalla scienza (Is 40:22; Pr 8:27). I soliti lettori occidentali che leggono alla lettera e pretendono di difendere la loro idea della Scrittura prendono la cosa al volo: “Armonia della Bibbia con la scienza. La Bibbia, in Giobbe 26:7, dice che Dio ‘sospende la terra sul nulla’. La scienza dice che la terra rimane nella sua orbita nello spazio principalmente grazie all’interazione tra gravità e forza centrifuga”. - Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 1097.
In realtà la Bibbia parla della “volta” celeste rotonda posta al di sopra della terra dalla quale Dio vede gli uomini muoversi come locuste (Is 40:22 ne è parallelo):
“Egli distende il nord sullo spazio vuoto, sospende la terra sul nulla”. - Gb 26:7, TNM.
“C’è Uno che dimora sul circolo della terra, i cui abitanti sono come cavallette, colui che distende i cieli proprio come un fine velo, che li spiega come una tenda in cui dimorare”. - Is 40:22, TNM.
Si volle trovare l'anticipo delle dottrine di Pasteur sulla prescrizione per il lebbroso di scostarsi dai sani gridando: “Impuro, impuro”, onde evitare il pericolo del contagio (Lv 13:45). Ma ora si sa che la lebbra non è di per sé contagiosa (salvo rari casi particolari).
Si è pure voluto vedere l'anticipazione della diversa struttura cellulare dei vari animali nell'affermazione paolina che diversa è “la carne dell'uomo, delle bestie, degli uccelli e dei pesci” (1Cor 15:39). Ma Paolo, senza scendere a particolari così sottili, vuole solo presentare l'esperienza dei sensi che nota le diversità delle singole bestie nella loro costituzione differente. “Carne” nella Bibbia indica tutto l'essere visibile, perituro, destinato alla morte, e non la semplice parte carnale (ora, al contrario, i laboratori di Berkeley in California hanno mostrato le affinità cellulari tra l'uomo e alcuni primati).
Secondo lo Schmidt, l'accordo tra la preistoria e il racconto biblico di Caino e Abele starebbe nel fatto che l’iniziale cultura della "raccolta" si sarebbe suddivisa in pastorizia (Abele) e agricoltura (Caino). Ma ciò è ora posto in discussione da altri etnologi (cfr. Pettazzoni), che non ammettono tale divisione contemporanea nelle due classi.
Si volle vedere la prova geologica del diluvio nelle varie conchiglie depositate entro le montagne alte, dimenticando che un'alluvione durata solo 40 giorni non poteva lasciare tracce così diffuse e profonde. Si è cercato (cfr. Ibero) di rendere più verosimile il racconto dell'arca supponendo che Noè vi abbia raccolto in gran quantità piccoli animali che sarebbero poi stati nutriti dal latte dei loro animali più adulti. Si farneticò poi di residui dell'arca sul monte Ararat, che di tanto in tanto tornano di moda e provocano diverse spedizioni, che però non li trovano mai. A ragione il Parrot in un suo studio archeologico sul diluvio edito dall’editrice Delachause (Le Deluge, Neuchâtel) dice che le spedizioni sull'Ararat rientrano nel dominio dell'alpinismo, ma non nel regno dell'archeologia.
Si dimenticò pure di dire che la massa d'acqua necessaria per ricoprire le più alte montagne terrestri, non si potrebbe trovare sulla terra, per cui Dio avrebbe dovuto crearla appositamente e poi disintegrarla nel nulla per por fine al diluvio. Nonostante questo, i Testimoni di Geova insistono nel voler leggere alla lettera la Scrittura: “Poiché, come dice Genesi, ‘tutti gli alti monti’ furono coperti d’acqua, dov’è ora tutta quell’acqua? Evidentemente proprio qui sulla terra. Si ritiene che un tempo gli oceani fossero più piccoli e i continenti più grandi di quanto non siano adesso, com’è reso evidente da alvei di fiumi che si prolungano sotto gli oceani. Va pure notato che secondo alcuni scienziati in passato i monti erano molto meno alti di ora, e alcune montagne sono persino emerse dal mare. In quanto alla situazione attuale, si dice che ‘il volume dell’acqua marina è dieci volte superiore a quello delle terre emerse. Scaricate in modo uniforme tutta questa terra nel mare, e due chilometri e mezzo d’acqua coprirebbero tutto il globo’. (National Geographic, gennaio 1945, p. 105) Quindi, dopo che le acque del Diluvio erano cadute, ma prima che le montagne si alzassero e il letto del mare si abbassasse, e prima che si formassero ai poli le calotte glaciali, c’era acqua più che sufficiente per coprire ‘tutti gli alti monti’, come dice la testimonianza ispirata” (Perspicacia nelle studio delle Scritture Vol 1, pag. 694, alla voce “Diluvio”, sottotitolo “Le acque del diluvio”). È incredibile. Qui si confonde la situazione attuale con quella primordiale. E si mistificano le cose. I 2,5 km d’acqua che coprirebbero il nostro pianeta lo farebbero se la terra fosse appiattita scaricando le montagne negli oceani. Far credere che durante il diluvio avvenissero sconvolgimenti tali da far emergere le montagne, questo sì che è antiscientifico. Ciò avvenne, sì, ma chissà quanti milioni o miliardi di anni fa. Se fosse avvenuto al diluvio, probabilmente non saremmo qui, dato lo spostamento dell’asse terrestre.
Non fa quindi meraviglia che, dopo l'entusiasmo concordistico dei primi tempi, se ne siano viste le difficoltà. La scienza poi va continuamente mutando, per cui non sarebbe mai possibile avere l'interpretazione esatta di alcuni passi biblici che muterebbero sempre di senso con il progresso scientifico. Non saremmo mai sicuri di intendere bene la Sacra Scrittura, poiché potrebbe essere oggi interpretata secondo gli "errori" degli scienziati odierni, poiché le verità di oggi potrebbero divenire errori domani. Di più, anche se si potesse intendere qualche passo biblico in accordo con le moderne scoperte bibliche, tutto il complesso scientifico supposto dalla Bibbia è pur sempre in stridente contrasto con l’odierna presentazione scientifica del cosmo. Si tratta quindi di accordi più apparenti che reali, che per di più comportano il pericolo di screditare maggiormente la Bibbia con affermazioni del tutto gratuite.


Bibbia e scienza: due binari diversi

Gli studiosi più recenti poggiano sull'intento prettamente spirituale della Sacra Scrittura, sganciando la Bibbia dalla scienza. Seguendo una tesi, già insegnata da Agostino e da Tommaso, accolta in seguito dal Galileo, i teologi più moderni insistono sulla necessità di guardare all'intento dello scrittore. Una nuova realtà può essere vista sotto aspetti e angolature diverse e conseguentemente presentata in forme differenti. Si consideri l'arcobaleno: per lo scienziato è frutto di rifrazione dei raggi di diverse lunghezze d'onda, per cui la luce viene così scomposta nei suoi elementi. Se lo scienziato sbaglia in questa valutazione compie un errore. L'artista e il romanziere descrivono invece la bellezza incomparabile di tanti colori ed esprimono la piacevole sensazione che ne ricevono. Anche se la loro descrizione non si accorda con la scienza, non vi è alcun errore, perché essi non intendono presentare un'opera scientifica, ma solo le proprie sensazioni estetiche. L'errore ci sarebbe solo se sbagliassero nel comunicare le loro sensazioni di gioia o di tristezza suscitate da quei colori. Il teologo non ammira nell’arcobaleno né il lato scientifico, né il lato estetico, bensì la bellezza di Dio che l’ha creato. Egli vi vede un segno di pace tra Dio e l'uomo; vi rinviene come una promessa di non voler più mandare un diluvio devastatore. Vi vede la misericordia divina dopo il pericolo di un tremendo temporale. Se sbaglia nella descrizione scientifica non compie un errore. L'errore vi sarebbe solo se errasse nel suo campo specifico, se la presentazione dell'amore misericordioso di Dio non fosse vera. Solo questa valutazione è garantita dall'ispirazione divina.
Giobbe può descrivere goffamente l'ippopotamo:
“Guarda l'ippopotamo [il testo ebraico ha Beemòt, non ippopotamo]
che ho fatto al pari di te;
esso mangia l'erba come il bue.
Ecco la sua forza è nei suoi lombi,
il suo vigore nei muscoli del ventre.
Stende rigida come un cedro la coda;
i nervi delle sue cosce sono intrecciati insieme.
Le sue ossa sono tubi di bronzo;
le sue membra, sbarre di ferro.
Esso è il capolavoro di Dio;
colui che lo fece l'ha fornito di falce,
perché i monti gli producono la pastura;
là tutte le bestie dei campi gli scherzano intorno.
Si sdraia sotto i loti,
nel folto dei canneti, in mezzo alle paludi.
I loti lo coprono della loro ombra,
i salici del torrente lo circondano.
Straripi pure il fiume, esso non trema;
rimane calmo, anche se avesse un Giordano alla gola.
Potrebbe qualcuno impadronirsene assalendolo di fronte,
o prenderlo con le reti per forargli il naso?”. - Gb 40:15-24.
Giobbe però non errò scientificamente, poiché da tale descrizione popolare egli voleva trarre lo spunto per esprimere la grandiosa potenza di Dio sapiente. - Gb 38.
L'insegnamento spirituale della Bibbia non è presentato in forma astratta, come talora facciamo noi oggi (maniera occidentale), ma è inquadrato nella vita e nel mondo, che vengono descritti come appaiono ai sensi in funzione di una didattica spirituale. Il sole sembra sorgere e tramontare, spostarsi nel cielo, mentre la terra pare starsene immobile. Se l'acqua scende dal cielo deve ben esserci – nel pensiero degli ebrei del tempo – un deposito delle acque al disopra del cielo. Questi dati non sono però ciò che la Bibbia vuole insegnarci, ma costituiscono solo la cornice entro cui il dato spirituale s’inquadra. Quel che importa è il quadro, non la cornice. Per donare un messaggio spirituale comprensibile, Dio non poteva fare altrimenti. Doveva ben parlare secondo il linguaggio dell'epoca, secondo le conoscenze scientifiche del tempo, altrimenti non sarebbe stato capito. Il rivelare cognizioni scientifiche moderne, in quell'epoca sarebbe equivalso a screditare lo stesso messaggio spirituale. C’è da riflettere su questo paradosso, ma è la verità. Immaginiamo di trovare, nel testo citato di Gb (in cui Dio dà una lezione della sua superiorità all’umano Giobbe) una descrizione scientifica in linea con le conoscenze attuali. Immaginiamo che invece di usare il linguaggio goffo ma comprensibile dell’epoca, il testo dicesse più o meno così:
‘Guarda Beemòt. Voi lo chiamate così, ma che nome è? Forse una derivazione del termine egiziano per “bue d’acqua”? O forse un termine d’origine assira che significa “mostro”? O sarà mica un plurale intensivo del vostro termine ebraico behemàh  che gli studiosi ritengono significhi “bestia grossa” o “bestia enorme”? Il nome scientifico è  “ippopotamo” e sarà chiamato Hippopotamus amphibius. Ecco, guarda l’ippopotamo. L’ Hippopotamus amphibius è un mammifero enorme, dalla pelle spessa, quasi senza pelo, che frequenta fiumi, laghi e acquitrini. Ha gambe corte, mascelle enormi e testa grossa, che si calcola possa pesare fino a una tonnellata. Le mascelle e l’apparato dentario sono così potenti che con un morso solo può trapassare la corazza di un coccodrillo. Un ippopotamo adulto può essere lungo 4-5 m e pesare 36 q. Essendo un anfibio, nonostante la sua prodigiosa mole può muoversi con relativa rapidità sia nell’acqua sia fuori. Si nutre di piante d’acqua dolce, erba, canne e cespugli, ingerendo ogni giorno oltre 90 kg di vegetazione per riempire il suo stomaco, che ha una capienza di 150-190 litri. La pelle, specie quella del ventre, è estremamente spessa, quindi in grado di resistere a urti e scorticature mentre l’ippopotamo si muove su stecchi e sassi nel letto dei fiumi. Le narici situate strategicamente alla sommità del muso, e gli occhi in alto sulla fronte, permettono all’ Hippopotamus amphibius di respirare e di vedere anche quando è quasi completamente sommerso. Quando s’immerge, le orecchie e le narici si chiudono completamente. Anche mentre dorme, quando nel sangue l’anidride carbonica raggiunge un certo livello, l’animale emerge automaticamente in cerca d’aria fresca e poi s’immerge di nuovo. Ecco, guarda l’ Hippopotamus amphibius’.
Che dire? Sarebbe stato preso sul serio il messaggio biblico? Etologi, biologi, glottologi e critici forse gioirebbero. Giobbe e gli ebrei del tempo sarebbero rimasti perplessi. Resa inverosimile la cornice scientifica contestabile, sarebbe divenuto incredibile anche l'insegnamento spirituale incontestabile.
È tutto ispirato nella Bibbia? Anche l'espressione scientifica? Ma sì. Ma solo indirettamente. Se scegliamo un pittore che ha a disposizione certi colori, certi mezzi espressivi, accettiamo pure questi suoi colori e questi suoi mezzi, altrimenti ne ricercheremmo un altro più conforme ai nostri gusti. Così Dio, ispirando l'autore di quell'epoca, ne accolse pure tutti i mezzi espressivi e tutte le sue cognizioni scientifiche che usa come strumento per un più efficace insegnamento spirituale. Se Dio avesse voluto esprimersi scientificamente, non sarebbe stato capito! Di più, egli non avrebbe potuto esprimersi nemmeno con i dati della scienza attuale, poiché anche questa sarà rettificata da scoperte future. Già. Quindi Dio doveva o accettare l'espressione popolare sempre vera, o parlare in modo da non poter essere mai inteso, poiché la scienza è sempre in continuo sviluppo. Anche noi oggi siamo obbligati a esprimerci secondo le apparenze: s’incontra un "povero" e gli si dà l'elemosina, e si tratta forse di un milionario che occulta il suo denaro per avarizia. Ci si sente più tranquilli perché ci cammina accanto sulla strada, in divisa, un appartenente alle forze dell’ordine; e magari si tratta di un ladro, così travestito per meglio truffare.
Credeva lo scrittore a questa presentazione della scienza? Certamente! Ma non è rivelato ciò che l'Autore pensa al riguardo, ma solo ciò che egli insegna. Ora egli non ha insegnato l'astronomia o la scienza, bensì solo il messaggio spirituale che vi sta racchiuso.
La Bibbia, descrivendo le realtà come appaiono, non presenta degli errori scientifici, ma solo delle convinzioni arcaiche sorte in un'epoca pseudoscientifica, usate come mezzo espressivo per insegnare verità spirituali ispirate da Dio. “Guardiamoci dunque” – scrive il Courtade – “dal voler confrontare le assunzioni dei libri sacri con quelle dell'astronomia, della geologia, della biologia. Non vi può essere questione né di opporle né di armonizzarle. A volte esse coincidono materialmente, ma non coincidono sempre e non sono mai dello stesso ordine. Gli scienziati di oggi che si scandalizzassero della Sacra Scrittura sarebbero vittime della stessa illusione dei loro antenati del Medio Evo, che speravano di trovare in esse un aiuto”. - Courtade , Ispiration DB S IV, pagg. 520-528, la citazione è a col. 543.


Esempi pratici

Classificazioni di malattie e animali secondo le apparenze. La Bibbia parla della lebbra che guarisce spontaneamente, per cui il guarito, prima di entrare in contatto con gli altri, deve togliere la sua impurità con un sacrificio e ottenere un riconoscimento dal sacerdote (Lv 14; Mt 8:1-4). Ora si sa che la lebbra (morbo di Hansen) non guarisce mai spontaneamente, ma va sempre più peggiorando attraverso varie stasi fino a che la carne cade in squame e si giunge così alla morte finale. Ma non vi è opposizione tra i due dati: la Bibbia non parla della "lebbra" in modo scientifico, ma solo di ciò che poteva sembrare lebbra; tutto quello che portava delle macchie sulla pelle (fossero anche semplici abiti o le stesse pareti della casa intaccate dalla muffa) era detto “lebbroso” (Lv 14). Evidentemente in tale caso, molti ammalati potevano guarire, poiché non erano in realtà infetti da lebbra.
La lepre è posta tra i ruminanti (Lv 11:6; Dt 14:7) mentre non lo è affatto. Anche qui non abbiamo una classificazione scientifica. Nel dare le norme per distinguere il cibo permesso o proibito, l'autore include la lepre tra i ruminanti perché muove il suo labbro dando l'apparenza di un ruminante. Anche la Chiesa Cattolica, nei pochi giorni di magro tuttora rimasti, permette l'uso del pesce includendovi i batraci (rane), i rettili, i crostacei e i molluschi che non sono pesci. In genere le definizioni bibliche degli animali non sono scientifiche,  ma popolari.
Lunatici e indemoniati. In queste indicazioni si rinvengono tracce di valutazioni popolari, che sospettavano in questi "pazzi" l'influsso della luna o dei demòni. La Bibbia non aveva un nome proprio per indicare l'agire del pazzo, ma vi applicava il verbo hitnabè che significava "agire da profeta, da ispirato". Si pensi al comportamento di Davide che, per evitare la punizione da parte del re Achis, si finge pazzo e quindi intoccabile perché ritenuto posseduto da un demonio - o da un dio, secondo i gentili (1Sam 21:10-15). Non si nega tuttavia che in alcuni casi vi possa essere stato un vero influsso demoniaco, come nel caso dei demòni che, scagliatesi contro i porci, li sospingono nel lago. - Mr 5:1-20.
Alcuni proverbi, quali: “Siate semplici come colombe”, “astuti come volpi” e “prudenti come serpenti” vanno presi per detti popolari senza pensare che di fatto questi animali possiedano le predette qualità. La Bibbia non parla scientificamente, ma riporta alcune opinioni popolari relative a questi animali e al loro comportamento. Nel Medio Evo Yeshùa era paragonato a un pellicano perché si pensava che esso si togliesse il sangue dal proprio cuore per nutrire i suoi piccini; basti vedere quelle orribili raffigurazioni cattoliche di un “Gesù” che, a petto aperto, mostra il suo cuore o lo tiene in mano.


Errori di traduzione

IL SOLE FERMATO
“Sole, fèrmati” (Gs 10:12). L'episodio dell'arresto del sole ha suscitato una letteratura immensa e soluzioni di vario genere, che intendono accordare scienza e fede. Parlando secondo le apparenze – dicono alcuni – Dio avrebbe arrestato la terra, dando quindi l'illusione che il sole si fosse fermato. Tuttavia, siccome appare assai strano che Dio abbia ad arrestare il moto dell'universo (ricollegato all'arresto temporaneo della terra) per un fatto così poco importante come la vittoria di Giosuè (giacché egli permise molte altre sconfitte), si è tentata una soluzione naturalista meno straordinaria, per concordare tale fenomeno con la scienza odierna. Alcuni ricorsero al fenomeno delle "meteoriti", che cadendo nottetempo avrebbero diffuso la luce; oppure alla "rifrazione" dei raggi solari dopo la tempesta che avrebbe permesso di vedere il sole anche dopo il suo tramonto. Oggi dominano presso gli studiosi altre soluzioni, poggianti sul fatto che la descrizione dell'arresto del sole si trova in un brano poetico e va quindi inteso secondo le leggi della poesia. È così? È un fatto che la poesia, descrivendo eventi terreni, ama far partecipare anche la natura. Secondo un inno di vittoria gli stessi astri combatterono contro Sisera a favore di Israele (Gdc 5:20); i monti si sciolsero “nel sangue degli uccisi” (Is 34:3 e sgg.). Al ritorno degli esuli “i monti e i colli danno grida di gioia e gli alberi della campagna battono le mani” (Is 55:12). Non potrebbe anche il “fèrmati, o sole!” essere una semplice iperbole? È quanto pensano alcuni biblisti come il Lesêtre che così scrive: “Anziché cercare delle spiegazioni fisiche per interpretare questo passo di Giosuè, è meglio vedervi un problema letterario e supporre, con un buon numero di esegeti contemporanei, che si è di fronte a una citazione poetica da intendersi secondo le regole della poesia” (Lesêtre, Josué et le soleil , in Rev. Pratique d'Apologétique 4, 1907, pagg. 351-356). Con questa iperbole l'autore sacro avrebbe voluto dire che la vittoria di quel giorno fu tale da non potersi concludere in un sol giorno, senza un preciso intervento miracoloso di Dio a favore delle truppe di Israele. Queste poterono ottenere in un giorno un risultato così imponente da essere umanamente impensabile in ventiquattro ore. Il Bressan nota che un procedimento simile non è proprio solo dei semiti, trovandosi pure nella poesia greca del tempo omerico: “In Odissea 23:243 e sgg., Minerva allunga la notte affinché Ulisse e Penelope abbiano più tempo per le loro effusioni d'amore; In Iliade 18:239 e sgg., Giunone, per salvare i greci premuti dai troiani, fa affrettare suo malgrado l'instancabile sole verso l'oceano, il sole s'immerge e i divi Achei hanno respiro; secondo Iliade 2:412 e sgg., Agamennone fa una preghiera esattamente parallela a quella posta in bocca a Giosuè: ‘O Zeus, non tramonti il sole e non sopravvengano le ombre prima che si distrugga Troia’. Chi crederebbe Omero così ingenuo da prendere alla lettera le sue stesse parole? E allora, perché imprestare tale ingenuità allo scrittore ebreo?”. - Gino Bressan, Giosuè il condottiero , in "cento problemi biblici", Assisi, pagg. 143-148, la citazione si legge a pag. 147.
Questa ipotesi ha accolto il favore di molti autori cattolici, come lo Schulz, il Veronnet, il Clamer, altri. - A. Schulz, Das Buch Josue , Bonn, pagg. 37-41; A. Veronnet, L'arret du soleil par Josué, in Rev. de Clergè Francais 41, pagg. 585-609; A Clamer, Josué, in Dict. Theol. Cath., Paris, colonne 1560-1562.
L'uso d’iperboli è assai comune sia presso il mondo orientale sia presso quello occidentale specialmente antico. Tuttavia non convince del tutto che si possa parlare nel caso di Giosuè di una vera iperbole, poiché l'espressione biblica è ben diversa dal desiderio espresso da Agamennone di poter distruggere i troiani prima del calar del sole; di più, il dato poetico su Giosuè è smentito dalla conclusione prosaica: “E il sole si arrestò” al comando di Giosuè. Sembra che si debba concludere che qualcosa di straordinario avvenne per rendere più facile la vittoria di Giosuè.
Oscuramento del sole. Secondo un’ipotesi, che ora va diffondendosi sempre più, Giosuè non avrebbe chiesto il prolungamento del giorno solare, bensì l'oscuramento del sole. Eccone le ragioni fondamentali:
1. Il bisogno di Giosuè. Giosuè, partendo da Ghilgal, aveva marciato con le sue truppe per tutta la notte in modo da gettarsi d'improvviso e di buon mattino sull'esercito cananeo accampato a Gabaon: “Giosuè piombò loro addosso all'improvviso: aveva marciato tutta la notte da Ghilgal” (Gs 10:9). L'inattesa comparsa delle truppe israelitiche gettò lo scompiglio sui nemici che si dettero alla fuga per la salita di Bet-Horon. Quando Giosuè rivolse il suo comando al sole, esso stava ancora su Gabaon e la luna su Aialon: “Sole, fermati su Gabaon, e tu, luna, sulla valle d'Aialon!” (v. 12); ora. siccome Gabaon giace a oriente di Bet-Horon, si deve concludere che esso era tuttora nella sua fase ascendente e doveva continuare il suo corso apparente ancora per più di mezza giornata. Non si era infatti ancora a mezzogiorno, per cui in quell'istante il sole doveva mandare i suoi dardi infuocati sulle truppe in corsa, le quali grandemente risentivano la fatica e il calore nella salita che stavano percorrendo. Quale ragione avrebbe avuto in quel momento Giosuè per desiderare l'arresto del sole e il perdurare di quel caldo soffocante? Non sarebbe stato più auspicabile un po' di refrigerio e di fresco in tale circostanza?
2. Il senso dei vocaboli. Giosuè, rivolgendosi al sole, così disse: “Sole, resta immoto su Gabaon, e, luna, sul bassopiano di Aialon” (Gs 10:12, TNM). In una nota in calce, TNM fa notare che il termine tradotto usualmente “fèrmati” può essere anche reso “sta quieto (fa silenzio)”. Questo “sta quieto (fa silenzio)” significa forse “fèrmati”? Così è stato inteso dai traduttori. A ben pensarci, significa altro: Sta calmo, smettila di ardere così, fai silenzio. Il testo ebraico è:
??????? ??????????? ?????
shèmesh beghibòn dom

Si noti quel dom. È un imperativo. L'imperativo dom viene dal verbo damàm che indica lo stroncamento di un'azione già iniziata, che nel caso del sole e della luna, può intendersi sia come moto locale, sia come diffusione della luce. Nella lingua babilonese l'eclissi del sole e della luna sono espresse con il verbo nàchu che ha il senso di "fermarsi", “arrestarsi", come l'ebraico damàm (cfr. F.X. Kgler, Astronomische und Meterriologische Finsterniss, in Zeitschr der deutschen morgenlandischen Geselleschaft 56, 1902, pagg. 60-70).  Non potrebbe questo verbo avere il medesimo senso babilonese di "oscuramento"? È possibile, anche se tale senso non appare altrove nella Bibbia. In Am 8:9 (“Farò tramontare il sole a mezzogiorno e farò oscurare la terra in pieno giorno”) si usa il verbo hifìl di bo (hèbê'tî, "farò venire"). Se s’intende, quindi, il verbo in tal senso, Giosuè avrebbe ordinato al sole non di fermarsi nel suo luogo, ma di fermarsi nell'inviare i suoi raggi infuocati, chiedendo l'ombra e non il sereno. E Dio avrebbe esaudito la preghiera di Giosuè con un grandissimo improvviso temporale.
3. Il contesto. Se guardiamo al contesto, notiamo che il cap. 10 di Giosuè si divide in due sezioni (vv. 7-11 e 15-17) e l'altra poetica (vv. 12-14).
a) Secondo il brano in prosa, mentre Giosuè insegue i nemici sulla salita di Bet-Horon, un furioso uragano si abbatte sui nemici, e, come conclude il narratore: “Avvenne che, mentre fuggivano d’innanzi a Israele ed erano nella discesa di Bet-Oron, Geova scagliò dai cieli su di loro grosse pietre fino ad Azeca, così che morirono. Furono più quelli che morirono per le pietre della grandine che quelli che i figli d’Israele uccisero con la spada” (Gs 10:11, TNM). Dunque Dio intervenne con un grandioso temporale.
b) La stessa cosa si deve trovare nel brano poetico, tratto da un ignoto Libro del Giusto (sèfer ha-yashàr): “Non è scritto nel libro di Iashar?” (v. 13, TNM). Da questo Libro del Giusto proviene pure il "lamento" di Davide per la morte di Saul e di Gionata: “Davide intonava questo canto funebre su Saul e su Gionatan suo figlio […]. Ecco, è scritto nel libro di Iashar” [libro del Giusto] (2Sam 1:17); qui anche la LXX ha ????apta? ?p? ß?ß???? t?? e?????  (ghègraptai epì biblìu tu euthùs, “è scritto nel libro del giusto”; nella LXX è al v. 18). Come armonizzare la richiesta di un arresto del sole con la tempesta provvidenziale? Non è forse proprio questa la risposta di Dio al comando di Giosuè? Dio non solo arresta i raggi solari con la nube, ma anzi interviene a favore delle sue truppe con la violenta grandinata gettata contro i loro nemici.
c) Che la natura sia al servizio di Dio, risulta spesso nella Bibbia: “Quando ti estinguerò, velerò i cieli e ne oscurerò le stelle; coprirò il sole di nuvole, la luna non darà la sua luce” (Ez 32:7); si veda anche Sl 18:7-16. Questa soluzione suggerita per prima da W. Maunder, fu accettata, sia pure con sfumature diverse, da A. van Hoonacker, J. van Mierlo, Alfrink, J. de Fraine, A. Miller, A. Metzinger e dal Baldi (W. Maunder, A Misinterpreted Miracle, in The Expositor 10, pagg. 239-272; A. van Hoonacker, Das Wunder Josuas, in Theologie und Glaube 5, 1913, pagg. 454-461; questo autore suppone che il temporale durò 24 ore, per cui al suo termine il sole apparve proprio allo stesso punto celeste come il giorno precedente, quasi vi si fosse fermato. -  Cfr. J. Coppens, Le chanoin Albin van Hoonacker, pagg. 29-32; J. van Mierlo, Das Wunder Josuas, in Zeitschr für Katholische Theologie 37, 1913, pagg. 895-911; A.M. Kleber, Josua's Miracle, in The Ecclesiastical Review 56, 1917, pagg. 477-488; G.B. Alfrink, Het Still Staan van Zon en Maan in Jos 10, 12-15, in Studia Cattolica, Nimgn 24, 1949, pagg. 238-268; J. de Fraine, De Miraculo solari Josue, in Verbum Domini 28, 1950, pagg. 277-286; Hopfl-Moller-Metzinger, Introductio specialis in V.T., Roma, 1946, pagg. 132,sgg.; P Baldi, Giosuè, Marietti, Torino. 1952, pagg. 78-87.  
Ecco quindi la traduzione che si dovrebbe dare a questo brano: “O sole, oscùrati [?????, dôm] in Gabaon e tu, luna, nella piana di Aialon [il sole e la luna potrebbero essere indicati per parallelismo poetico; comunque, non è raro di vedere contemporaneamente il sole e la luna]. S'oscurò il sole e la luna finché la nazione fosse vendicata dai suoi nemici. Non sta forse scritto nel Libro del Giusto: S'oscurò il sole nel mezzo del cielo e non s'affrettò a venire per quasi un giorno intero? Mai vi fu un giorno come quello (né prima né dopo) in cui il Signore ascoltasse la voce di un uomo. Davvero il Signore combatteva per Israele!” .
Al v. 13 il fermarsi del sole significa che non diede più luce (occultato dalle nubi), e così la luna che non diede più luce. Al v. 13 NR ha: “La luna rimase al suo posto”, ma “al suo posto” manca nell'originale ebraico; TNM ha, giustamente, solo: “La luna in effetti si fermò”.  Il “non si affrettò a tramontare” di TNM al v. 13 è, in verità, altro. Il testo ebraico ha ?????? labò): “dare luce”. Quindi, “il sole non si affettò a dare luce”. Il v. 14 ha: “Un giorno simile a quello” (“Nessun giorno è stato come quello”, TNM); questo avvenne per la potente intercessione di Dio; solo la Volgata aggiunge "lungo" che manca nell'originale (“Non fuit ante et postea tam longa dies”, “Non ci fu né prima né dopo un giorno tanto lungo”). Il brano è importante perché Dio ascolta la preghiera e combatte per Israele.
Anche nella letteratura ebraica non biblica il passo può intendersi non nel senso di un prolungamento del giorno, bensì come un’interruzione della luce a causa della tempesta: “Al suo comando non si arrestò forse il sole [dal dare luce] e un giorno divenne lungo come due [diviso in due dalla tempesta]? Egli invocò l'Altissimo sovrano, mentre i nemici lo premevano da ogni parte; lo esaudì il Signore onnipotente scagliando chicchi di grandine di grande potenza”. - Siracide o Ben Sira o Ecclesiastico 46:4,5, CEI; deuterocanonico.
Interessante anche qui la connessione dei due giorni, con la tempesta che lapidò i nemici in risposta alla preghiera di Giosuè. Fu la Volgata con la sua aggiunta del "tanto lungo" alla sola parola "giorno" del testo ebraico che creò la tradizione dell'arresto del sole nel suo viaggio diurno. E gli altri traduttori, da allora, tutti dietro.
Una recente soluzione. Joseph Blenkinsopp, docente dell'Università di Notre Dame (nell’Indiana, U.S.A.), ha analizzato i due verbi ebraici damàm e camàd che si usano nel passo, ed ha trovato che appaiono riuniti in un episodio relativo a Gionata e assumono il senso di "attendere" senza dare battaglia (damàm) e di "starsene quieti" senza attaccare (camàd). Gionata che vuole attaccare i filistei dice: “Se ci dicono in questo modo: ‘State fermi [dommu, “attendete”] finché vi raggiungiamo!’ dobbiamo quindi stare dove siamo [camadnù, “ce ne staremo quieti”], e non dobbiamo salire da loro”. - 1Sam 14:9, TNM.


La creazione: problemi definiti

La parte ormai acquisita riguarda l'ordine della creazione e l’interpretazione dei giorni creativi.
Tendenze concordistiche. All'inizio del secolo scorso (20°) e ancora oggi alcuni esegeti fondamentalisti cercarono di accordare la Bibbia con le varie epoche geologiche e con l'idea cosmologica in voga al tempo dello scrittore biblico. Il vocabolo "giorno" s’intese non come un vero giorno di 24 ore, bensì come un periodo: “Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati. Nel giorno che Dio il Signore fece la terra e i cieli” (Gn 2:4); “Dal giorno che furono sulla terra, fino ad oggi” (Es 10:6). È evidente che in questi due passi citati il “giorno” non equivale affatto ad un periodo di 24 ore. Nel tentativo di armonizzare Gn con i dati scientifici si vide la luce iniziale del “sia luce!” di 1:3 come corrispondente  alla nebulosa originaria del Laplace emanante una luce rossastra prima ancora che esistessero gli astri. La creazione degli astri al quarto giorno (o periodo) corrisponderebbe alla loro visibilità dalla terra dopo che gli strati di vapore, precipitati su di essa in forma di pioggia, li resero visibili.
Ora però tutto ciò è messo in discussione dagli scienziati che al posto della nebulosa iniziale del Laplace, propendono per l'esplosione iniziale di un primitivo nucleo durissimo che spiegherebbe meglio la continua espansione dell'universo. Fu l'ipotesi dell'astronomo belga G. Lamaitre (cfr. G. Lamaitre, L'espansione dell'universo, apparso postumo in Trevue del Questions Scientifiques, 1967, e in traduzione italiana in Il Fuoco, 1967, n. 5). Si tratta della teoria del Big Bang, ormai già messa in discussione anch’essa.
Lo sforzo umano di far concordare la Bibbia (o meglio, la propria interpretazione della Bibbia) con la scienza attuale (che domani forse sarà sorpassata) è evidente in quella teoria dei Testimoni di Geova che richiama il noto cane che si morde la coda. Il ragionamento è questo: i giorni creativi durano migliaia di anni, e dato che il settimo giorno dura 7000 anni, anche gli altri sei durano settemila anni. “Il settimo ‘giorno’ è un periodo che abbraccia migliaia di anni, e possiamo logicamente trarre la stessa conclusione per quanto riguarda i primi sei ‘giorni’” (Esiste un creatore che si interessa di noi?, pag. 92, § 3). Sulla durata del settimo giorno: “Se applichiamo la dichiarazione biblica che presso Geova Dio ‘mille anni sono come un giorno’, ciò significa che i seimila anni dell’esistenza dell’uomo sono alla vista di Dio come sei giorni. (Sal. 90:2; 2 Piet. 3:8) Il regno di mille anni avvenire del suo Figlio sarebbe dunque un settimo “giorno” dopo quei sei. Corrisponderebbe perfettamente al modello profetico di un periodo sabatico di riposo dopo i sei periodi di fatica e lavoro. Quindi, mentre ci avviciniamo al termine dei seimila anni dell’esistenza umana durante questo decennio, c’è la rallegrante speranza che un grande sabato di riposo o liberazione è davvero vicino” (Svegliatevi! del 22 aprile 1972, pag. 28). Secondo la loro cronologia biblica i primi 6000 anni di questo settimo giorno dovevano finire nel 1975 con il simultaneo inizio del periodo di 1000 anni del Regno, che avrebbe così chiuso i settemila anni. Oggi, a distanza di decenni da quel mancato evento, si cerca di scaricare la responsabilità dell’errore su altri (che sono poi sempre loro): “Gli Studenti Biblici, noti dal 1931 come testimoni di Geova, si aspettavano anche di vedere l’adempimento di meravigliose profezie bibliche nel 1925. Ipotizzarono che in quel tempo sarebbe iniziata la risurrezione terrena, grazie alla quale sarebbero tornati in vita fedeli uomini dell’antichità, come Abraamo, Davide e Daniele. Più di recente, molti Testimoni congetturarono che gli avvenimenti legati all’inizio del Regno Millenario di Cristo avrebbero potuto cominciare ad adempiersi nel 1975. Le loro aspettative si basavano sulla constatazione che in quell’anno sarebbe iniziato il settimo millennio della storia umana” (Svegliatevi! del 22 giugno 1995, pag. 9). Ecco l’orgoglio umano che non riconosce mai i propri errori: non fu la Società di Brooklyn a sbagliare, ma “molti Testimoni che congetturarono”. Forse, legalmente, si potrebbe parlare di complicità e di concorso in reato, dato che quelle errate vedute di “molti Testimoni” che “congetturarono” furono pubblicate negli scritti ufficiali editi dalla Società stessa. In verità, legalmente (nel codice dell’onesta intellettuale), si tratta di falsa testimonianza per addossare ad altri i propri errori. Si chiama disonestà intellettuale. Se è vero che furono “molti Testimoni che congetturarono” (Ibidem), costoro non congetturarono per nulla, ma si attennero in buona e malriposta fede a ciò che affermava l’allora presidente del loro corpo dirigente, Fred Franz, che così metteva nero su bianco: “Il settimo periodo di mille anni della storia umana comincerà nell’autunno del 1975”, aggiungendo poi: “Come sarebbe appropriato che Geova Dio facesse di questo veniente settimo periodo di mille anni un sabatico periodo di riposo e liberazione . . . questo sarebbe molto opportuno per il genere umano. Sarebbe anche assai confacente da parte di Dio” (Vita eterna nella libertà dei figli di Dio, pagg. 28 e 29). Ora, delle due l’una: o il Franz s’ingannò e ingannò tutti i Testimoni di Geova oppure Dio non seppe fare ciò che era “appropriato” e “molto opportuno”, non seguendo l’idea del presuntuoso Franz che riteneva la sua idea “confacente da parte di Dio” (Ibidem). Con tutta la mancanza di rispetto possibile per il Franz, riteniamo valida la prima, con il conforto della storia.    
L'esegesi naturale del testo biblico ci induce a intendere il giorno nel senso di vero giorno, le acque superiori come vera acqua e non come vapore, gli astri come veramente creati al quarto giorno e non solo resi visibili. Vegetali e animali sono contemporanei secondo la scienza, e non distanziati come dice la Genesi da un “giorno" (o epoca) intermedia. Occorre quindi ricercare altre soluzioni diverse da quella concordista.
ESPRESSIONE DIDATTICO-ARTISTICA
Gli elementi del creato sono elencati secondo l'opinione del tempo. La luce è creata prima del sole, semplicemente perché allora si pensava che essa fosse indipendente dal secondo; non vi è forse luce anche quando non si vede il sole? “Dov’è, ora, la via [che porta] dove risiede la luce?”, “Dov’è, ora, la via per cui si distribuisce la luce”? (Gb 38:19,24, TNM). Dio crea poi il firmamento, concepito allora come qualcosa di solido in forma di cupola, mentre per noi è solo atmosfera e poi vuoto. Per gli ebrei era un'entità resistente perché doveva sostenere l'acqua superiore: “Si faccia una distesa fra le acque e avvenga una divisione fra le acque e le acque” (Gn 1:6, TNM); questa “distesa” è nel testo ebraico ??????? (raqìa), una specie di strato solido (crf. Ez 1:22 e sgg.). In Gn 1:11 si legge: “La terra faccia germogliare erba, vegetazione che faccia seme” (TNM).? A leggere così, nel testo italiano tradotto, parrebbe a prima vista che si tratti di un tutt’uno: l’erba ovvero la vegetazione che fa seme. Non è così. Perché mai si dovrebbe, in tal caso, specificare “che faccia seme”? La verità è nel pensiero dello scrittore ebreo l'erbetta senza seme è distinta dai cereali con seme perché la prima, spuntando per conto suo appena piove, sembrava non aver seme, mentre in realtà pur essa lo ha. Si tratta di una divisione secondo le apparenze, poiché l'erba non veniva seminata dall'uomo, ma sembrava spuntare in modo spontaneo nella steppa con le prime piogge. Il testo ebraico ha:
????????? ???????? ????????? ??????? ??????? ?????? ????????? ?????
vayòmer elohìm tadshè haàtetz dèshe èshev mazrìa zèra
E disse Dio verdeggi la terra vegetazione erba seminante seme
Il tutto è chiaro al v. 12: “E la terra produceva [1] erba, [2] vegetazione che faceva seme secondo la sua specie e [3] alberi che portavano frutto”. - TNM.
La successione. La successione degli esseri poggia su due princìpi: il logico procedimento del lavoro umano e la ripartizione artistica delle opere in due grandi classi: a) l'ambiente; b) il suo popolamento.
Il primo principio regola le opere dei primi tre giorni. Dio prima fa la luce necessaria per agire; poi divide l'acqua e prepara la terra per l'uomo. Il secondo principio regola le opere degli ultimi tre giorni nei quali si popola l'ambiente prima preparato: a) la luce è ornata di sole, astri, di luna; b) il cielo e l'acqua da uccelli e pesci; c) la terra da animali e da uomini.
Primi tre giorni creativi (Gn 1:3-13) Ultimi tre giorni creativi (Gn 1:14-31)
1 Luce “Si faccia
luce” 4 Luce adornata “Si facciano luminari”
2 Acqua “Divisione
fra le acque” 5 Acqua adornata “Brulichino le acque”
3 Terra “La terra produceva […]” 6 Terra adornata “Animale domestico e […]”
(TNM)
La successione qui presentata ha il solo scopo di presentare la grandezza dell'uomo, che giunge come re del creato, dopo che tutto è pronto per accoglierlo (Gn 1). Ma l'ordine cambia nel cap. 2, dove l'uomo appare per primo (è primo nel pensiero di Dio) e tutto il resto, vegetazione e animali (almeno alcuni) sono creati dopo di lui e per lui: “Ora non c’era ancora nessun cespuglio del campo sulla terra e non germogliava ancora nessuna vegetazione del campo, perché Geova Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che coltivasse il suolo. Ma un vapore saliva dalla terra e irrigava l’intera superficie del suolo. E Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente. Inoltre, Geova Dio piantò un giardino in Eden, verso oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. Così Geova Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla vista e buono come cibo”, “E Geova Dio proseguì, dicendo: ‘Non è bene che l’uomo stia solo. Gli farò un aiuto, come suo complemento’. Ora Geova Dio formava dal suolo ogni bestia selvaggia del campo e ogni creatura volatile dei cieli, e le conduceva all’uomo”, “E Geova Dio edificava dalla costola che aveva preso dall’uomo una donna e la conduceva all’uomo”. - Gn 2:5-9,18,19,22, TNM.
Si noti come in questo secondo racconto della creazione la successione è diversa: non germogliava ancora nessuna vegetazione, perché “non c’era uomo che coltivasse il suolo”; poi Dio crea l’uomo; poi pianta un giardino in Eden; poi fa crescere la vegetazione; poi crea gli animali; poi crea la donna. Qui il messaggio biblico è diverso: l’uomo è il primo pensiero di Dio, tutto il resto segue.
I Testimoni di Geova qualcosa intuirono, ma non lo compresero fino in fondo: “Dopo la creazione di Adamo, e ancora entro il sesto giorno creativo, pare che Geova formasse ulteriori creazioni di animali e uccelli”. - Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, Studio n. 3, pag. 286, § 13.    
Della creazione si hanno nella Bibbia altre due presentazioni. In Sl 104 e in Gb 38.
• Nel Salmo 104, Dio (rivestito di luce) stende i cieli come una tenda, costruisce la sua casa su travi poste sulle acque, fonda la terra su luoghi stabili perché non vacilli, ricopre quindi tutta la terra di acqua, poi causa un cataclisma che fa emergere i monti, pone un confine al mare, dispone delle sorgenti per abbeverare il bestiame, fa germogliare la terra.
• In Gb 38 Dio fonda la terra affondando i suoi piedistalli con incastro e ponendo la pietra angolare, poi barrica le porte del mare che riveste di oscurità; la terra ha delle estremità o ali; il mare ha delle sorgenti; la luce e le tenebre hanno un loro luogo; la neve e la grandine hanno i loro depositi; c’è un canale per l’inondazione; in cielo ci sono delle giare d’acqua.
Si dirà che queste descrizioni erano comprensibili per Giobbe, giacché qui è Dio che parla a Giobbe. Appunto. Se Dio stesso usa questo linguaggio per farsi comprendere da Giobbe significa che quello era il linguaggio biblico comprensibile. Dio non vuole impartire a Giobbe una lezione scientifica di astronomia o di biologia o di storia naturale. Dio vuole impartirgli una lezione ben più importante: quella di stare al suo posto e di guardare con riverenziale stupore e timore alla sua creazione.
Questo vale per tutti gli altri passi: il messaggio biblico riguarda l’uomo e la sollecitudine di Dio per l’uomo. Poco importa (anzi, nulla importa) l’aspetto scientifico. Ne deriva che per lo scrittore biblico la successione non ha importanza perché è presentata solo in funzione di un’idea teologica che sta in prima linea. Al contrario, molti esegeti moderni - non cogliendo lo spirito del racconto biblico - danno eccessiva importanza alla successione degli atti creativi.
Importanza teologica del racconto. Nei racconti mitologici orientali vi è qualcosa di simile, ma con una presentazione politeista: l'acqua primitiva costituita dal dio Apsu e dalla dea Tiamat, i due elementi, maschile fecondatore e femminile fecondato, che univano assieme le loro acque, erano divinizzati e posti in opposizione al dio creatore (Enuma Elish). Ma nella Bibbia – pur essendoci una successione simile nelle opere – Dio parla e tutto si compie senza lotta alcuna; gli stessi grandi cetacei, che presso i popoli erano considerati degli esseri anti-divini in lotta con lui, diventano una sua semplice fattura.
a) Al servizio dell'uomo stanno gli astri e gli animali che invece erano oggetti di culto presso gli antichi orientali. Perciò la Bibbia, pur utilizzando le forme espressive del tempo, esalta la grandezza e la potenza unica del suo Dio che, senza alcun contrasto, crea l'universo cosmico. Ma la concezione biblica del "creare" è diversa dalla nostra: più che creare dal nulla consiste nel modificare delle realtà preesistenti (indicate in Gn 1:1, “La terra informe e vuota”). Prima coperta dall'oceano, diviene il mondo di oggi. Con la sua semplice parola Dio fa venire all'esistenza tutti gli esseri creati, traendoli, spesso, da quanto era già esistente e della cui origine l'autore non parla. – Si veda al riguardo lo studio Creazione dal nulla? nella sezione Studi del sito.
b) La descrizione è espressa didatticamente in modo da preparare il riposo del sabato che sarà ripreso nel decalogo. - Es 20:8-10; in Dt 5:12-15, al contrario, raffigura l'uscita dall'Egitto: “Ricòrdati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo”, v. 15.
Sorge un problema: fu la creazione il punto di partenza del sabato, o fu il riposo sabatico il punto di partenza per descrivere la creazione e farne un preannuncio del riposo sabatico? Sembra che il racconto sia espresso in modo tale da preparare il riposo del sabato e non che questo riposo sia tratto dalla creazione:
1. Il numero sette è un numero scelto ad arte per indicare la conclusione di un'opera. Nel descrivere il risveglio di Utnapishtun dal suo profondo sonno, che la moglie riesce ad ottenere nonostante le difficoltà, si usa il numero "sette ": “Mentr'egli dormiva, alla parete della sua nave ella cosse i suoi pani e li collocò presso il suo capo il suo primo pane è impastato, il secondo è steso, il terzo è cosparso. il quarto è imbiancato, il quinto è invecchiato, il sesto è rotto: il settimo! appena egli lo toccò, quell'uomo si svegliò di colpo”. - Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Massimo, Milano.
Ecco la descrizione di un incendio tratto dalla letteratura ugaritica: “Ecco un giorno e un secondo il fuoco divora nella casa, la fiamma nel palazzo. Un terzo, un quarto giorno il fuoco divora nella casa, la fiamma nel palazzo. Un quinto, un sesto giorno, il fuoco divora nella casa, la fiamma nel palazzo. Ma nel settimo giorno uscì il fuoco dalla casa, la fiamma dal palazzo”. Si tratta di un incendio colossale che per "sette" giorni divora e poi finalmente viene estinto. Ora non v'è un fuoco che duri così tanto senza consumare ogni cosa. Il numero sette indica il grave pericolo corso che finalmente viene domato.
In Genesi 1 il numero “sette” indica il felice compimento della creazione. Per poter ottenere questo numero sette, si sono raggruppate le varie opere che sono otto in sei giorni, onde farle rientrare nello schema già scelto di 6+1. Si vede da ciò l'intento di voler introdurre tutto nello schema prefissato per sostenere la settimana liturgica. Questo, tra l’altro, denota la grandissima importanza del sabato.
2. L'artificiosità di tale richiamo al riposo divino appare dal fatto che il riposo divino non cessa mai (non viene pronunciata, infatti, la consueta formula del “fu sera e fu mattina” dopo il settimo giorno), mentre quello dell'uomo ha un termine e la settimana di lavoro riprende. Sarà solo al termine della vita che l'uomo potrà entrare nel riposo di Dio: “Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d'un altro giorno. Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue. Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo”. - Eb 4:8-11.
3. Si noti attentamente come si dica “e fu sera [notte] e fu mattina [dì]” per ciascuno dei sei giorni creativi. Si noti anche come nelle descrizioni liturgiche si fa iniziare il giorno con la sera: “Sarà per voi un sabato, giorno di completo riposo […] dalla sera alla sera seguente, celebrerete il vostro sabato” (Lv 23:32). Così ancora i primi discepoli di Yeshùa. Ora, ciò non collima perfettamente con il racconto genesiaco che inizia con la creazione della luce e dovrebbe quindi dire: ‘E fu mattina e fu sera’. Lo spostamento sera-mattina del ritornello mostra che l'intento liturgico è stato aggiunto a quello creativo. Lo sfondo ci costringe pure a intendere i giorni biblici nel senso di giorni di 24 ore anziché di "epoche". Prima sorse la settimana umana con il riposo sabatico, poi si cercò di legittimarla con la descrizione della creazione. Tanto più che altrove il riposo sabatico appare giustificato con l'esodo dall'Egitto e non con la creazione divina. - Dt 5:13-15.


La creazione: problemi aperti

La Bibbia esclude l'evoluzione oppure no? La Bibbia esclude l'evoluzione casuale, senza scopo finale, senza l'intervento direttivo di una mente ordinatrice divina, perché ciò andrebbe contro il suo insegnamento che fa venire tutto l'universo da Dio. Ma che dire di un’evoluzione teista, finalista, che non farebbe altro che esprimere la successione degli esseri da Dio secondo le leggi da lui create? Molti cattolici non credono che essa sia per forza esclusa dal racconto biblico. La successione delle opere della creazione varia nei vari racconti biblici, per cui non sarebbe quindi in contrasto con un'eventuale successione diversa presentata dalla scienza. Vero, ma improbabile. Va detto che nemmeno la creazione immediata da Dio delle singole specie è asserita dalla Bibbia. Essa anzi mostra un collegamento sempre meno sotto la direzione di Dio secondo la minore importanza delle singole opere. Gli esseri che i popoli orientali avevano divinizzato, come gli astri e il firmamento, sono fatti sorgere direttamente da Dio. Il verbo barà indica per sé non la creazione dal nulla, ma un'azione che Dio solo può compiere. Si noti il parallelismo tra barà e asà in Gn 2:3;1:26,27:
Gn 2:3 “Tutta la sua opera che Dio ha creato allo scopo di fare” ?????? (barà), “creò”
??????? (asòt), “fare”
Gn 1:26,27 “Dio proseguì, dicendo: ‘Facciamo l’uomo […]’. E Dio creava l’uomo” ???????? (naashè), “facciamo”
???????? (ybrà), “creava”
(TNM)
L'uomo, quale re del creato, viene fatto a sua immagine e dietro uno speciale consiglio divino (Gn 1:26,27). Gli animali, gli uccelli, i pesci (anche i grandi mostri marini) sono fatti da Dio, ma dietro comando dato alla terra o alle acque e, sembra, con la loro collaborazione (v. 24, “produca la terra anime viventi”, TNM). Le piante provengono direttamente e chiaramente dalla terra (v.11; cfr. per le zanzare dalla polvere Es 8:16). La cosiddetta "generazione spontanea", ossia la possibilità che il vivo potesse svilupparsi dalla materia inanimata, nonostante che il fisiologo inglese Harrey aveva già sostenuto il principio: “Omne vivum ex ovo”, fu ammessa fino al 19° secolo. Il grande embriologo Karl Ernst von Baer insegnava ancora nel 1826 la trasformazione del muco intestinale in vermi sulla base di "osservazioni proprie". Allo stesso tempo Goethe scrisse al suo principe Carlo Augusto che da trucioli intrisi di orina si svilupperebbero delle pulci entro 24 ore. Questa derivazione degli esseri viventi da materia inorganica è invece dalla Bibbia attribuita a potere divino. Pertanto, in nome del racconto della creazione non possiamo condannare la teoria dell’evoluzione che sembrerebbe, addirittura, anzi raccomandata, almeno in qualche punto del racconto genesiaco (cap. 1: pesci e piante e animali - Gn 1:11,20,24). Significa questo che l’evoluzionismo è un fatto e che la Bibbia lo sostiene? Ma no. Significa solo che la Bibbia non lo smentisce e che non possiamo argomentare con la Bibbia che la teoria non sia applicabile. Solo questo. In quanto all’evoluzionismo, questo si smentisce da solo. Fa più parte della fantascienza che della scienza.
Ai collegamenti biblici ora la scienza presenta altri collegamenti che potremo sostituire ai primi. Soltanto occorre stare bene attenti a non presentare come certo ciò che è tuttora discutibile. Nessuno nega oggi una certa “evoluzione” (cosa ben diversa dall’accettare la fantasiosa teoria evoluzionistica), il problema sta nei limiti entro cui confinarla. Teillard de Chardin la ritiene una norma generale per tutto l'universo, altri la restringono entro certi gradi. Non sta a noi fissarne i limiti con la Bibbia in mano, ma occorre lasciare alla scienza lo studio di questi problemi. A noi basta dire che la Bibbia non è contraria per il semplice fatto che una certa evoluzione (sia pure concepita secondo la mentalità del tempo) l'ammette anch'essa. Tocca alla scienza – se vi riesce – sostituire all'evoluzione popolare, quella che scientificamente si possa documentare. Non tocca all'esegeta intralciare, per non incorrere nel medesimo sbaglio dei teologi al tempo di Galileo.
Circa l'evoluzione, negli Stati Uniti si è piuttosto contrari (almeno da parte dei credenti) e molte Università la stanno escludendo del tutto dai loro programmi didattici; in Europa la si ammette con maggiore facilità. Gli esegeti non devono sostituirsi agli scienziati, ma da teologi dovranno introdurre nelle conclusioni scientifiche il lievito biblico della volontà divina.
L’evoluzione e l'uomo. Anche qui dominano tre soluzioni:
1. L'uomo fu creato direttamente da Dio.
2. L'uomo per il corpo proverrebbe da animali inferiori, ma la sua anima sarebbe creata da Dio.
3. L'uomo nella sua totalità verrebbe indirettamente da Dio, in quanto con il graduale sviluppo del corpo, l'animale avrebbe acquistato l'intelligenza che lo avrebbe trasformato in uomo. Appena il cervello si sarebbe evoluto a sufficienza, sarebbe sorto l'uomo intelligente e cosciente. Anche qui la scienza (la scienza, non la fantascienza) deve poter dire l'ultima parola, non la Bibbia. Secondo Genesi 2:7 lo "spirito" indica l'alito vitale (concesso pure agli animali) che, venendo da Dio, a lui ritorna con la morte, e "anima" non significa anima in senso filosofico, ma la persona umana fisica. Se evoluzione vi fu per l'uomo (tocca agli scienziati provarlo, e a tuttora non ci sono riusciti), la Bibbia insegnerà comunque che se si vuole essere credente si deve introdurre il valore divino, per cui l'uomo corrisponde al disegno voluto da Dio e quindi fu creato da lui. Occorre stare bene attenti e non prendere alla lettera un racconto popolare come il capitolo 2 della Genesi, dove l'autore ispirato intende esprimersi in modo semplice e non scientifico per insegnare che tutto quanto esiste proviene da Dio, e che anche l'uomo, nella sua totalità, viene dal Signore. Si veda la differenza tra i capitoli genesiaci 1 e 2, dove il primo capitolo è meno popolare (proviene dai saggi) del secondo, pur essendo ispirati entrambi. Ma esistette un primo uomo chiamato Adamo? Certo che sì.
Poligenismo e monogenismo. Vi è discussione tra gli stessi scienziati e anche tra i teologi. L'ominizzazione sarebbe avvenuta contemporaneamente in più luoghi (si pensa oggi in Africa). Adamo ed Eva sarebbero solo dei simboli dell'umanità in genere. Alcuni teologi accolgono questa idea (cfr. De Fraine), altri no, come ad esempio Pio XII nell'enciclica Humani generis (1950, AAS p. 576). È difficile accogliere questa idea di poligenismo per le molte difficoltà teologiche che suscita. Lasciamo che la scienza progredisca; ma che sia vera scienza. Dall'opposizione tra il vecchio e il nuovo Adamo (in 1Cor 15:45) pare più logica la presenza di due individui iniziali. Dal momento che il nuovo Adamo (Yeshùa) è una persona vera e unica, è logico pensare che tale sia stato pure il primo Adamo. La scienza non ha nulla da opporvi. È così.
Eva dalla costola. Per alcuni esegeti la spiegazione di tale fatto starebbe nel simbolismo sumero dove Nin-ti è contemporaneamente dea della costola e della vita. Il racconto biblico intenderebbe dire che Eva provenne da Adamo; il simbolismo della costola sarebbe stato tratto dal sumero dove il vocabolo "costa" (til) indica pure "vita", per cui Eva, "madre dei viventi", era bene presentata come lo sviluppo della "costa" (vita) di Adamo. Fuori simbolismo si vorrebbe dire che Eva proviene in qualche modo dalla "vita" di Adamo, simboleggiata dalla sua costola. D’altra parte, nei due racconti della creazione si hanno descrizioni diverse:
Gn 1:27 “Dio creava l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”
Gn 2:22 “E Geova Dio edificava dalla costola che aveva preso dall’uomo una donna”
(TNM)
Riguardo alla presunta “costola” d’Adamo si veda lo studio Eva da una costola di Adamo? nella sezione Donna del sito.    
Miracoli. Non si può discutere con chi confonde problemi scientifici con problemi di fede. La fede è una confessione spirituale, la scienza naturale è una conoscenza scientifica. Questa conoscenza è verificabile da chiunque possegga i metodi adeguati e non ha assolutamente niente a che fare con la fede. Si possono conseguire dei risultati scientifici solo se si usano metodi scientifici. La scienza naturale è una scienza profana. La fede in questo campo non può svolgere nessuna indagine. Anche uno scienziato che ha fede, come scienziato può dire qualcosa soltanto sulla "origine del mondo", ma mai sulla "creazione". Se cerca di farlo, egli oltrepassa i limiti della sua competenza e delle sue possibilità di scienziato. E allora la fede (anche la sua propria fede!) dovrebbe richiamarlo all'ordine.