Bibbia e archeologiaBibbia

L'archeologia ha operato un'altra rivoluzione, simile alla copernicana. Fino al 19° secolo l'ebraico era ritenuto la lingua più antica parlata dall'umanità. Si credeva che il popolo di Dio esistesse sin dall'origine della civiltà e che le Scritture Ebraiche fossero il testo più antico e presentasse la vera storia dell'umanità. Ma quando Champollion nel 1822 riuscì a decifrare il primo testo geroglifico, nuovi mondi furono riesumati dalle sabbie orientali che ne ricoprivano le rovine. La Mesopotamia  ci presenta (ad opera specialmente del console a Mossul Paul Emile Botta) i resti dei palazzi e le biblioteche dei più terribili conquistatori assiri, come Tiglat- Pileser, Sargon e Sennacherib. In seguito, altre nazioni (Regno Unito, Germania e Stati Uniti - la Russia restò assente) fecero a gara per scoprire i tesori dell'antica Mesopotamia. Importante per il nostro studio è il rinvenimento della biblioteca di Assurbanipal, con le sette tavole dell'Enuma Elish, poema cosmogonico, e le dodici tavole dell'Epopea di Gilgamesh, nella quale si trovò un racconto del diluvio assai vicino a quello biblico. Accanto all'Assiria e alla Babilonia apparve l'antica civiltà sumera con le tavolette rinvenute a Lagash, a Ur e a Nippur, dove si trovarono due antichissimi codici di leggi: quelli di Lipit- Ishtar e Ur- Nammy, anteriori alla nota stele di Hammurabi, rinvenuta a Susa nel 1902, con un codice di leggi in molti punti affini a quelle bibliche.

 All'inizio del secolo scorso, il 20°, gli archeologi compirono scavi a Bogazköi, l'antica capitale degli ittiti, mettendo in luce oltre 20.000 tavolette da cui si riuscì a conoscere la potenza di un impero del tutto dimenticato, ad eccezione delle scarse notizie bibliche, che prima si ritenevano leggendarie. Nel 1925- 1931 si riesumò l'antica civiltà arcaica di Nuzu, i cui reperti ci aiutano a meglio comprendere l'epoca patriarcale. Nella primavera del 1928 un contadino arabo di Rash Shamra (in Siria) ruppe il proprio aratro urtando contro una tomba. Gli scavi quindi compiuti nel 1929 disseppellirono l'antica Ugarit, città cosmopolita scomparsa verso la fine del 12° secolo a. E. V.. La biblioteca regale mise in luce una serie di poemi mitologici (Baal- Anat, Keret, Aqat) scritti in una lingua assai affine a quella biblica e riesumarono l'antica civiltà cananea che tanto fascino aveva esercitato sugli ebrei e contro la quale si appuntarono gli strali e gli anatèmi dei profeti biblici che ne biasimarono i riti naturalistici della fecondità, l'accoppiamento con gli animali e la prostituzione sacra: “Chi si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte” (Es 22:19); “Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità”, “L'uomo che si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte; ucciderete anche la bestia”. - Lv 18:23;20:15.

 Nel 1933 A. Parrot iniziò i suoi scavi a Mari, luogo scoperto fortuitamente da alcuni beduini che, scavandovi una tomba per seppellire un loro morto, vi rinvennero una statua. Le molte spedizioni sul luogo portarono alla luce un insieme assai voluminoso di tavolette con interessanti notizie sul profetismo affine a quello biblico. Gettarono molta luce sull'epoca esilica e postesilica al tempo di Esdra e Neemia (5° secolo a. E. V.). Furono rinvenuti anche i papiri di Elefantina e una colonia militare giudaica, i cui soldati erano discendenti, a quel che pare, dai giudei fuggiti al momento della distruzione di Gerusalemme: “Tutto il popolo, piccoli e grandi, e i capitani della gente di guerra partirono e andarono in Egitto, perché avevano paura dei Caldei” (2Re 25:26). Si scoperse che lì essi praticavano un culto (che era stato deteriorato dai contatti con quello egizio) nel recinto di un tempio, là costruito in deroga all'unicità del luogo di culto promulgata in Dt 12:2- 5: “Distruggerete interamente tutti i luoghi - sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verdeggiante - dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro statue, darete alle fiamme i loro idoli d'Astarte, abbatterete le immagini scolpite dei loro dèi e farete sparire il loro nome da quei luoghi. Non farete così riguardo al Signore Dio vostro; ma lo cercherete nella sua dimora, nel luogo che il Signore, il vostro Dio, avrà scelto fra tutte le vostre tribù, per mettervi il suo nome; là andrete”.

 La stessa Palestina andò gradatamente rivelando i suoi scarsi ma importanti tesori. Verso il 1880 si ritrovò un'iscrizione dell'8° secolo a. E. V. fatta dagli operai incaricati di scavare il canale di Siloe per il rifornimento idrico di Gerusalemme, costruito al tempo di Ezechia: “Le azioni di Ezechia, tutte le sue prodezze, e la costruzione del serbatoio e dell'acquedotto per portare l'acqua in città, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda” (2Re 20:20); “Ezechia fu colui che turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide”. - 2Cron 32:30.

 Nel 1928 si rinvennero a Meghiddo delle importanti costruzioni falsamente identificate all'inizio con stalle di Salomone (che sono invece posteriori). Nel 1925 si trovarono a Lakish delle lettere risalenti alla fine del Regno di Giuda. Vanno ricordati da ultimo i rotoli del Mar Morto che hanno gettato notevole luce sull'epoca anteriore a Yeshùa e sulle Scritture Greche.

 Triplice valutazione. In seguito a questi recenti reperti archeologici si sono sviluppate tre correnti che qui elenchiamo:

   a) Linea apologetica: l'archeologia difende la Bibbia.

   b) Linea incredula: l'archeologia mostra la miticità e il carattere puramente umano della Bibbia.

   c) L'archeologia illumina l'ambiente in cui nacque la Bibbia.

Archeologia per confermare apologeticamente la Bibbia

Un gruppo di studiosi (non specialisti) utilizzò l'archeologia come mezzo apologetico per dimostrare l'esattezza dei racconti biblici contro le difficoltà critiche. Ma questa corrente apologetica non fu onesta. Esempi tipici di questa corrente furono W. Keller, Marston e Horn . Basti ricordare qualche esempio di concordismo forzato tra Bibbia e archeologia, utilizzato da questi autori, i quali talvolta riferiscono delle interpretazioni favorevoli alla Bibbia, che in seguito furono smentite dagli stessi archeologi o da studi successivi. Così si è voluto trovare una conferma del diluvio negli strati del deposito alluvionale rinvenuti da Wooley a Kish , a Ur , a Lagash , ma si è dimenticato di dire che essi non appartengono tutti al medesimo periodo e sono depositi parziali dovuti a semplici sedimentazioni fluviali. Ci si è dimenticati di dire che un diluvio durato solo 40 giorni non può aver lasciato resti visibili sulla terra. Si asserì che il crollo delle mura di Gerico sarebbe stato documentato dall'archeologo Garstang, ma ci si dimenticò di aggiungere che ciò fu invece contestato dagli scavi successivi assai più accurati di Miss Kenyon.

 Occorre quindi evitare di erigere l'archeologia al rango di "apologeta" della Bibbia e lasciare che essa cammini per proprio conto, anche se dovesse sollevare delle difficoltà al racconto biblico. Anziché andare a caccia di concordismi forzati, si dovrebbe accettare il fatto archeologico così com'è, tentando la soluzione delle difficoltà con un esame più accurato delle regole dell'interpretazione biblica e ricercandone in modo più profondo il messaggio spirituale.

 Si affermò da parte di Harrison (a pag. 125 della sua Introduction to the O.T.) che a Ezion- Geber (l'attuale Tell el- Kheleifeh) si sarebbe trovata una fornace per costruire le navi di Salomone e di Giosafat descritte nella Bibbia: “Il re Salomone costruì anche una flotta a Esion- Gheber, presso Elat, sulla costa del mar Rosso, nel paese di Edom”, “Giosafat costruì delle navi di Tarsis per andare a Ofir in cerca d'oro; ma poi non andò, perché le navi naufragarono a Esion- Gheber” (1Re 9:26; 22:49); “Navi che andassero a Tarsis; e le costruirono a Esion- Gheber” (2Cron 20:36). Ma lo stesso Glueck nel The Biblical Archeologist (settembre 1965, pagg. 70- 77) ritrattò la sua opinione precedente; così la fornace diventò un buco scavato nei mattoni per decadimento naturale o per il bruciamento di travi di legno.

Archeologia per sostenere la presunta miticità biblica

Un altro gruppo di studiosi è invece andato alla ricerca di ciò che sminuiva il valore biblico, riducendo questo libro a un puro scritto pari degli altri scritti dell'antichità. Ecco ciò che costoro hanno rilevato:

1.La Bibbia presenterebbe il medesimo pensiero degli antichi orientali.
 “Le leggi mosaiche trovano modelli nei codici assiri, sumerici, ittiti, babilonesi; i salmi penitenziali fanno pensare alle preghiere dei penitenti della Mesopotamia; la sapienza egiziana o sumerica può aver ispirato gli autori dei proverbi israeliti; il Salmo 104 riecheggia l'inno al sole di Akhenaton; il racconto del diluvio si trova in alcune versioni accadiche e sumeriche. Gli annunzi profetici ricordano lo stile degli ispirati di Mari”. - R. Martin- Achard, Incontro all'Antico Testamento, Borla, Torino, pag. 69; questo testo è favorevole alla Bibbia.

 Si fece notare che il mito (secondo questi studiosi) della creazione presentava gli stessi nomi del poema babilonese Enuma Elish. Il "cavalcatore delle nuvole" applicato al Dio di Israele (Sl 68:22) sarebbe un'immagine mitologica di Baal, il dio della pioggia; l'allusione al serpente guizzante (fuggitivo) e tortuoso di Isaia rievoca un testo di Ugarit. Si comparino assieme:

Is 27:1 (TNM)
Testo di Ugarit

“[Dio] rivolgerà la sua attenzione al Leviatan, il serpente guizzante, sì, al Leviatan, il serpente tortuoso”
“Fracasserai Ltn, il serpente guizzante, ucciderai il serpente tortuoso”

Anche la torre di Babel non sarebbe – secondo loro - che un mito per spiegare l'esistenza dell’incompiuta ziggurat (torre cultuale) della Babilonia, che si vedeva nelle sue vicinanze. Ricollegandone il nome Babel a Balal ("confusione") anziché a Bab- ilu ("porta di Dio"), ne sarebbe nato il mito della differenziazione linguistica. La Bibbia rientrerebbe dunque nella categoria dei libri umani antichi, con miti e leggende. Non sarebbe quindi ispirata e meriterebbe una scarsa attendibilità storica.

1.Contrasto con l'archeologia.
 È il caso delle mura di Gerico che sarebbero già cadute prima dell’invasione ebraica. A tutti è noto il racconto biblico: processione quotidiana attorno alla città e settuplice processione al settimo giorno con il conseguente crollo finale della chomà, ossia, come si pensa di solito, delle mura in seguito ad un cataclisma divino. L'archeologia conferma il dato biblico?

1.Reperti archeologici. La collina di es- Sultan è stata ripetutamente esplorata dagli archeologi che volevano confermare il racconto biblico (fu esplorata da Sellin nel 1907- 1908; da Garstang nel 1929- 36; da Miss Kenyon nel 1952- 1958). Secondo il Garstang la città caduta dinanzi al popolo ebraico sarebbe la quarta, che costruita verso il 1500 a. E. V., sarebbe stata distrutta da un cataclisma all'inizio del 15° secolo a. E. V.. Questo si accordava – secondo lui – con la data più antica dell'ingresso ebraico in Palestina (15° sec. a. E. V.). Miss Kenyon in una serie di scavi più meticolosi, iniziatisi nel 1952, vi rinvenne ben diciassette strati. La città, già utilizzata come difesa sin dal protoneolitico (8000- 7000 a. E. V.), verso la fine del 3° millennio, divenne una piazzaforte eretta contro gli attacchi dei popoli della steppa, provenienti da al di là del Giordano (dall'oriente). La sua distruzione avvenne tra il secolo 18° e 16°, anteriormente quindi alla data proposta dal Garstang e molto tempo prima dell'ingresso degli ebrei in Palestina, che ora si pone verso il 13° secolo a. E. V. (15° per i Testimoni di Geova). La città a quel tempo era praticamente disabitata; l'anatema di Giosuè trova la sua conferma archeologica in quanto Gerico restò disabitata fino al 9° secolo: “Chiel, di Betel, ricostruì Gerico; ne gettò le fondamenta su Abiram, suo primogenito, e ne rizzò le porte su Segub, il più giovane dei suoi figli, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per bocca di Giosuè, figlio di Nun” (1Re 16:34). Va quindi eliminato il felice concordismo circa la caduta delle mura sorto dopo la prima euforica presentazione degli scavi, ad opera del Garstang. Gli odierni critici vedono perciò nel racconto biblico una presentazione mitica dell'ingresso in Canaan, che è contraddetto dall'archeologia moderna.
2.Le interpretazioni esegetiche. Dato che le mura di Gerico più non esistevano al tempo di Giosuè, il Montagnini cerca la spiegazione di questo contrasto ricorrendo al "genere letterario". Gli ebrei, rendendosi conto che se Gerico fosse stata abitata a quel tempo avrebbe reso impossibile la penetrazione ebraica in quella regione così fertile dove “scorre latte e miele” (Es 3:8), videro nelle sue rovine, già esistenti, l'opera di Dio, un prodigio del Signore, che aveva preparato l'ingresso in Palestina smantellandone le mura poste a sua difesa, in un epoca anteriore. Questo sarebbe l'insegnamento del passo di Giosuè, nel quale si parla non di un’impresa umana bensì divina; il giro delle mura sarebbe la processione degli ebrei.
 Alcuni negano l'identificazione di Gerico con Tell es- Sultan, e attendono l'esumazione di un altro ipotetico tell che racchiuderebbe ancora l'antica Gerico. È però difficile pensare all'esistenza di un'altra città importante vicina al luogo degli scavi, che ha rivelato una importante cultura plurimillenaria.

Forse si può trovare un'altra soluzione. Anche Ai (“mucchio di rovine”) era stata usata dai cananei come luogo di difesa. Dopo la conquista di Gerico, “Giosuè mandò degli uomini da Gerico ad Ai, che è vicina a Bet- Aven, a oriente di Betel, e disse loro: ‘Salite ed esplorate il paese’. E quelli salirono ed esplorarono Ai. Poi tornarono da Giosuè e gli dissero: ‘Non occorre che salga tutto il popolo; ma salgano due o tremila uomini, e sconfiggeranno Ai’” (Gs 7:2,3). Sembrerebbe strano che i cananei non abbiano per l'occasione utilizzato anche le rovine di Gerico. Un’abitazione temporanea e limitata non lascia tracce archeologiche profonde e può passare inosservata al ricercatore. Dopo la caduta delle mura di Gerico qualche abitazione potrebbe essere stata sfruttata, come nel caso della meretrice. La processione non fece crollare le mura già inesistenti, bensì la "difesa" umana (e non muraria) spaurita dalle processioni ritenute magiche dai cananei. Dopo tale rito propiziatorio, all'udire il grido di guerra (terûà'h), ogni ebreo si slanciò "dinanzi a sé" (poiché le mura più non esistevano, ma solo dei pezzi rovinati) e la "difesa della città" cedette senza lotta. Ecco il prodigio: “Avvenne che, appena il popolo ebbe udito il suono del corno e il popolo lanciava un grande grido di guerra, ???????? [hachomàh, “la difesa”] crollava. Dopo ciò il popolo salì nella città, ciascuno diritto davanti a sé, e catturò la città” (Gs 6:20, TNM, con inserzione della parola ebraica). Il vocabolo ebraico chomàh, oltre al valore di "mura" di una città (chomat haìr), può avere anche il senso metaforico anche per il caso di Gerico. Chomàh (“difesa”) è usato per indicare l'argine dell'acqua che si eleva come un muro (Es 14:22,29), per una "difesa" di persone (1Sm 25:16; Is 26:1; Ger 1:18;15:20; Am 7:1; passi in cui compare sempre chomàh con il senso di “difesa”). Comàh è pure utilizzato per il corpo di una ragazza vergine che non cede alle lusinghe (Cant 8:9 e sgg.; Pr 18:11;25:28). Nel caso di Gerico potrebbe indicare gli uomini che difendevano la città come un muro? È possibile. In tal caso non vi sarebbe più il problema della caduta delle mura. C’è nel testo ebraico un’espressione che TNM tralascia e non traduce. Il testo ebraico ha ???????? ???????????  (hachomàh tachteyàh), che Diodati traduce: “Le mura caddero sotto di sé” (Did). Tachteyàhpuò tradursi anche “a motivo d’esso”, riferendolo al terûà'h  o grido di guerra.  Quando tutto il popolo si mise a gridare dopo il settimo giro, la guarnigione di difesa cedette. Il passo si potrebbe quindi tradurre come segue: “E soffiarono [i sacerdoti] nelle trombe; e avvenne che quando il popolo ebbe udito il suono delle trombe diede in un grande grido [teruàch] e la guarnigione cadde a motivo di esso. Il popolo salì, ciascuno dinanzi a sé e s’impadronì della città”. - Gs 6:20, traduzione conforme all’ebraico.

 Va notato che nella letteratura ebraica extrabiblica le mura non sono menzionate. L'Ecclesiastico (Siracide o Ben Sira, apocrifo) nel suo elogio dei padri (il passo, nella LXX, è in 46:2), pur ricordando la caduta delle varie città, non parla delle mura di Gerico. La versione greca del libro canonico di Giosuè (la LXX), non comprendendo più bene l'originale ebraico, applicò la caduta alle "mura" (chomàh) anziché alla guarnigione di “difesa” (chomàh). Da qui nacque l’errore. Infatti, la parola ebraica chomàh (“difesa”) fu tradotta dai LXX  con la parola greca t? te???? (to tèechos, letteralmente “il muro”).  Questa traduzione fu pure accolta dalle Scritture Greche, i cui autori usavano – come si sa – la versione biblica dei LXX. Così, nella Lettera agli ebrei si ha: “Le mura di Gerico caddero” (Eb 11:30, TNM). Si noti il plurale che lo scrittore di Eb usa: t? te??? (ta tèiche, “le mura”).  L’equivoco era progredito. L’ebraico aveva usato il singolare “la difesa” (hachomàh), interpretato dai LXX con il singolare “il muro” (to tèichos). In Eb diventa il plurale “le mura” (ta tèiche).

 Il passo biblico vuole solo porre in enfasi il fatto che la conquista di Gerico, necessaria per penetrare in Palestina, non fu opera di potenza umana, bensì divina, come canta il Salmo 44:3: “Essi non conquistarono il paese con la spada, né fu il loro braccio a salvarli, ma la tua destra, il tuo braccio, la luce del tuo volto, perché li gradivi”.

Innegabile contributo archeologico per una migliore comprensione biblica

L'archeologia ci svela in modo meraviglioso l'ambiente nel quale si è sviluppata la Bibbia. La Scrittura diviene così ben più comprensibile. Eccone alcuni esempi esplicativi.

 Assimilazione di espressioni, di cultura e di simbolismi. Il nome di Dio El non è una creazione del popolo ebraico, ma fu adottato da esso perché il suo nome era assai diffuso presso i semiti (el, ilu) per indicare il Dio supremo. Sopraffatto poi presso i cananei, quel nome era riferito a Baal (continuo pericolo e tentazione per la fedeltà ebraica) con i suoi culti licenziosi. Il Dio El fu accolto anche dagli ebrei perché, appunto per essere un nome noto presso gli altri popoli, si prestava bene a indicare il Dio universale. YHVH divenne invece il Dio nazionale, protettore degli ebrei. Si spiegano così i brani yavistici ed eloistici nei quali predominano rispettivamente i nomi di YHVH e di Elohìm; i brani compositi che hanno di YHVH- elohìm (Gn 2) indicano che i due s’identificano tra loro.

 Nonostante l'opposizione generica al culto licenzioso cananeo, di fatto, gli ebrei accolsero molti elementi fenici (ossia cananei). Nella costruzione del Tempio, Salomone utilizzò materiale, architetti e operai specializzati fenici. Non fa quindi meraviglia che l'architettura templare ricalchi quella del tempio fenicio di Byblos. È pure interessante notare che anche in Fenicia, nel ciclo letterario di Baal, riaffiori l'idea che il Tempio sia voluto da Dio (1Re 5:5) e che sia in rapporto con la pioggia fecondatrice: la festa della dedicazione del Tempio ebraico avveniva in settembre- ottobre a conclusione dell'annata con la festa delle Capanne, nella quale con un rito apposito si attingeva dell'acqua fecondatrice (quasi il Dio di Israele fosse identico a Baal, dio della pioggia). In Is 12:3 si accenna all'acqua tolta dalla fontana di Siloe (Is 8:6) che veniva versata (processionalmente) sull'altare degli olocausti. Pensando a questo rito, Yeshùa presentò la sua dottrina dell’acqua che conduce alla vita eterna. - Gv 7:37;4:14.

 Anche alcune espressioni ci vengono chiarite con l'indagine filologica o mitologica dei testi di Rash Shamra. Il beth- heber di Pr 21:9 significa "magazzino", per cui il passo che normalmente è tradotto: “È meglio dimorare sull’angolo di un tetto che con una moglie rissosa, benché in una casa in comune” (TNM), va tradotto: “E' meglio vivere in un angolo del tetto anziché in un magazzino con una donna litigiosa”, intendendo che è meglio star da soli in un angolo senza nulla che in compagnia di una moglie litigiosa in un magazzino ricolmo di cose.

 Nel poema di Keret (“verso il fiume”) il dio El, assiso in mezzo all'assemblea degli dèi, giudica e condanna a morte i colpevoli. Su tale tratto mitologico è formata l'espressione del Salmo 82:1. NR adatta la traduzione del testo ebraico, parlando di “assemblea divina”: “Dio sta nell'assemblea divina; egli giudica in mezzo agli dèi”. TNM, più letterale, traduce: “Dio si pone nell’assemblea del Divino; in mezzo agli dèi giudica”. Anche qui, pur cercando di mantenere il letterale ebraico, si cerca di adattare: ne risulta una frase incomprensibile (che mai sarà questa “assemblea del Divino”? Giacché Dio si pone in essa, esiste forse un Dio e anche un Divino? E, se sono la stessa persona, perché il testo non dice che Dio si pone nella sua assemblea?). Il testo ebraico ha: “Elohìm si pone nell’assemblea di El, in mezzo agli elohìm giudica”, che dovremmo tradurre: “Dio si pone nell’assemblea di El, in mezzo agli dèi giudica”. Naturalmente, nel monoteismo biblico la frase assume un significato diverso, perché gli "dèi" non sono vere divinità, bensì i giudici, rappresentanti di Dio nel condannare sulla terra i colpevoli e nel prosciogliere gli innocenti.

 Usi dei pagani. La proibizione di cuocere il capretto nel latte di sua madre, ripetuta più volte in un contesto cultuale (Es 23:19b, codice dell’alleanza; Es 24:26b, decalogo rituale; Dt 14:21b, conclusione di prescrizioni alimentari)  era stata interpretata come un gesto sacrificale superstizioso, anche perché i LXX in Es 34:26, al posto di "cuocere" o "bollire", hanno "non offrirlo in sacrificio". I testi di Ugarit (Rash Shamra) confermarono tale supposizione: gli abitanti del luogo facevano bollire un capretto nel latte; questo latte veniva poi versato nei campi per accrescerne la fertilità. Si legge, infatti, nel Poema degli Dei graziosi e belli: “Fa cuocere un capretto nel latte”. Contro tale rito magico la Bibbia si erge severa, anzi, per aumentarne l'odiosità, parla del latte della madre, perché ciò che doveva servire per la sua vita si era trasformato in uno strumento di morte.

 Conferme storiche.

 I patriarchi. I patriarchi erano dei "proto- aramei" (o semiti occidentali) che si andavano spostando: Labano, nipote di Abraamo è chiamato con insistenza "l'arameo" (Gn 25:20;28:5;31:20- 24). Più tardi ogni israelita, offrendo le primizie, doveva dire: “Mio padre era un Arameo errante” (Dt 26:5). Ora gli aramei sono documentati, non solo nel primo millennio a. E. V., come si affermava in passato da alcuni critici, ma anche per il secondo, come appare dall'archivio di Drehem rivenuto a Ur, il quale attesta per il 2000 a. E. V. l'esistenza della città di Aram. Anche i testi di Rash Shamra (secolo 14° a. E. V.) e di Mari (secolo 18° a. E. V.) parlano di aramei che dovevano quindi già esistere ed essere noti. Abraamo passò da Ur dei Caldei a Harran nella Mesopotamia settentrionale con una marcia di circa 1000 km; di qui raggiunse poi Sichem in Palestina, passando per la Siria, soffermandosi a Betel, a Mamre, per recarsi infine in Egitto attraverso il Neghev.

 È difficile comprendere lo spostamento del patriarca da Ur verso il 2000- 1800 a. E. V. in quanto, essendo allora tale città passata dal dominio sumero a quello semitico (amorriti), doveva favorire la permanenza del semita Abraamo. Anche la trasformazione di Abraamo dalla vita cittadina (Ur) a quella seminomade costituisce un'ulteriore difficoltà. Non si deve tuttavia pensare subito a creazioni mitiche riguardanti il mito lunare (dio Sin o luna), corroborandole con il fatto che molti nomi patriarcali sono epiteti lunari, come Terach (luna), Sara (signora), Milca (regina), Laban (bianca) e così via. Contro di ciò milita l'antichità del racconto biblico, l'etimologia dei cui nomi non era già più compresa dagli scrittori biblici. Perciò Isacco, che significa "possa Dio sorridere" (ossia mostrarsi favorevole, Ytzqàch), è inteso in modo assai vario e inesatto quale sinonimo di "compiacersi" (Gn 17:17), di "sorridere per incredulità" (Gn 18:12), di "scherzare" (Gn 21:9) o infine di "divertirsi" (Gn 26:8). Va poi notato che le città di Ur e di Harran avevano tra loro rapporti religiosi, come appare dal fatto che veneravano lo stesso dio "Luna" (Sin) e Ningal. Inoltre è da prendere in seria considerazione il fatto che vicino a Harran esisteva un'altra città, Ura (=Ur,) e che potrebbe anche identificarsi con la Ur biblica (cfr. F. Vattioni, Nuovi aspetti del problema dei Patriarchi, in Agostonianum 4, pagg. 331- 357, specialmente pagg. 354- 357). Sarebbe così escluso lo spostamento dal sud mesopotamico al settentrione e si comprenderebbero meglio i nomi di Nahor, Serug, Terach, Haran. Si capirebbe anche meglio il fatto che la Bibbia attribuisce ad Abraamo due città originarie, vale a dire Ur (Gn 11:28- 31;15:7) e Harran (Gn 12:1- 4) perché sarebbero entrambe da collocare nella stessa regione. Siccome i patriarchi sono dei seminomadi in via di sedentarizzazione, se ne ricordano raramente i cammelli; il loro patrimonio essenziale è costituito da greggi di pecore (Labano) ai quali in Palestina si aggiungono le mandrie spostabili con maggiore difficoltà. Nei loro movimenti seguono una linea subdesertica che corre in vicinanza dei centri abitati e, pur muovendosi, cominciano ad acquistare dei beni immobili. - Gn 23, Macpela; 33:19, Sichem.

 I costumi patriarcali. I costumi patriarcali sono simili a quelli esistenti all'inizio del secondo millennio a. E. V.. Vi è infatti grande affinità tra le norme giuridiche patriarcali e quelle indicate dai testi di Mari, di Nuzu e di Bogazköi. Ad esempio, l'acquisto della grotta di Macpela con il campo attiguo segue la norma ittita (Gn 23:9). La ragione del disaccordo tra l'ittita che vende e l'acquirente Abraamo sta nei paragrafi 46 e 47 del codice ittita scoperto a Bogazköi, l'antica Hattusha, capitale del loro impero dal 1800 al 1200: “Se uno in un villaggio possiede per eredità dei campi soggetti a servitù, se tutti i campi gli sono dati, egli stesso fornirà le prestazioni; se i campi gli sono dati solo in parte non fornirà le prestazioni; le forniranno quelli che sono della casa di suo padre”. Da qui l'interesse dell'ittita di liberarsi di tutto il campo, onde non avere più nulla da pagare, e il desiderio di Abraamo di comprare solo la grotta per lasciare ogni onere all'ittita.

 Abramo credeva di dover lasciare tutto al servo Eliezer, in quanto egli, privo com'era di figli, pensava di adottarlo (Gn 15:1- 4). L'adozione, ignorata dal diritto ebraico, era molto comune a Nuzu. In una tavoletta di Nuzu si legge che un tale ha fatto adottare suo figlio Shennima da Shuriha- ilu, che “di tutte le sue terre e di tutti i suoi guadagni ha dato a Shennima una parte della sua proprietà. Se Shuriha- ilu avrà un figlio proprio, questi, come figlio principale, prenderà due parti dell'eredità. Shennima gli seguirà e prenderà la sua parte propria . . . Quando Shuriha- ilu morirà Shennima ne diverrà l'erede”. - HSS V, 67; cfr. Gn 15:2,4.

 Anche i patriarchi attuarono con frequenza l'adozione: i figli di Bilha sono adottati da Rachele (Gn 30:3,8); i due ragazzi di Giuseppe sono adottati da Giacobbe (Gn 48:5); i figli di Makir da Giuseppe che per questo se li pone sulle ginocchia (Gn 50:23). L'adozione, non più praticata in seguito dagli ebrei, prova l'antichità di questi racconti.

 I matrimoni di Abraamo con Agar, schiava di Sara (Gn 16:1- 2), di Giacobbe con Bilha, schiava di Rachele (Gn 30:3), poi con Zilpa, schiava di Lia (Gn 30:9), corrispondono alle leggi di Hammurabi e di Nuzu. Un contratto di Nuzu ne fa un obbligo per la sposa sterile e osserva che la discendenza della concubina non potrà essere scacciata. Si capisce quindi come Abraamo allontani Agar a malincuore dopo la nascita di Isacco (Gn 21:10- 13), pur cedendo all'insistenza di Sara, poiché ciò andava contro la legge normale. Secondo la già citata tavoletta di Nuzu, Shennima sposa Kelim- ninu: “Se [questa] gli partorirà dei figli Shennima non prenderà altra moglie, ma se Kelim- ninu non gli partorirà figli, Kelim- Ninu prenderà una donna della regione di Lullu, come sposa di Shennima, e Kelim- ninu non potrà scacciare i figli della nuova venuta”. - HSS V, 67.

 Abramo diede i suoi beni a Isacco, ma fece dei doni ai figli delle sue concubine (Gn 25:5- 6) perché Sara, avendo riconosciuto come propri i loro figli (Gn 16:2), aveva creato per essi un diritto all'eredità.

 Gli "dèi" del padre adottivo dovevano passare al figlio naturale o, in caso di mancanza, al figlio adottivo. Erano gli dèi lari (terafìm o dèi; cfr. Gn 31:30), una specie d’immagini divine destinate ad allontanare il male o i demoni, che spettavano all'erede principale; il loro possesso costituiva un titolo all'eredità. In una tavoletta di adozione di Nuzu si legge che per avere Nashwi adottato Wullu, alla sua morte “Wullu diventerà l'erede. Se Nashwi avrà un figlio proprio, questo dividerà la proprietà in parti uguali con Wullu, ma il figlio di Nashwi prenderà lui gli dei di Nashwi. Però se Nashwi non avrà un figlio proprio, allora sarà Wullu a prendere gli dèi di Nashwi” (RA 23, 1926, pag. 126). È per questo Rachele ruba tali "dèi" (Gn 31:19) e Labano, pur essendo disposto a perdonare la fuga, non si dà pace per il furto dei propri dèi che avrebbero potuto un domani far accampare a Giacobbe dei diritti ereditari. - Gn 31:30.

 Anche il caso di Tamar, che dopo la morte di Onan attende invano di avere per sposo un altro fratello del marito defunto e che a tal fine si unisce con frode al suocero Giuda, si spiega con la legge assira (tavola A, par. 33): “Se, mentre una donna vive ancora nella casa di suo padre, le muore il marito senza darle figli, il suo suocero le darà in sposa a un figlio di sua scelta . . . oppure se lei desidera, la si può dare in sposa a suo suocero”. È appunto quanto tentò di fare Tamar unendosi al suocero, e così farsi dare lo sposo che non arrivava mai. Per questo Giuda afferma: “È più giusta di me, perché non l'ho data a mio figlio Sela”. - Gn 38:26.

 L'alleanza di Abraamo con Dio mediante il sezionamento di alcuni animali (Gn 15), si spiega con simile usanza diffusa nell'antichità sia orientale sia occidentale e che perdurava ancora sino a poco fa, presso gli arabi di Moab. Gli animali uccisi simboleggiavano ciò che sarebbe accaduto a coloro che avessero violato l'accordo (Tito Livio I, 24; cfr. l’alleanza conclusa tra Assur- Nizari e il principe siro Mati'ilu, Ger 34:18). -  cfr. H. Cezelles, Connexions et structure de Ge 15, in Rev. Bibl.  69 (1962), pag. 344 e sgg..  

 Cronologia. Per l'affinità culturale dei patriarchi con le tavolette di Nuzu, alcuni studiosi vorrebbero far scendere la loro esistenza al secolo 18° o 17°, in coincidenza appunto con l'epoca di tali tavolette (cfr. A. Rasco, Migratio Abramae circa annum 1650, in Verbum Domini 35, 1957, pagg. 143- 154; C.H. Gordon, Il V.T. e i popoli del Mediterraneo, Brescia, 1959, pag. 108 e sgg.). Si tratta però di problemi tuttora aperti e per ora è meglio supporre il secolo 19° come data probabile della loro attività. La calata dei patriarchi in Egitto si pone nel quadro degli spostamenti degli Hiksos, semiti che, impadronitisi dell'Egitto, dovettero favorire l'insediamento di Giuseppe, pur esso semita, a vice re dello stato (fine secolo 18°). Le difficoltà incontrate dai discendenti dei patriarchi coincidono senza dubbio con lo sforzo di restaurazione nazionale attuato dall'energico Ramses II (1300- 1234). La data dell'esodo, pur non potendosi stabilire con sicurezza, andrebbe posta probabilmente al 13° secolo.

 Itinerario dell'esodo. L'archeologia ci spiega pure come mai gli ebrei, uscendo dall'Egitto, non abbiano preso la via diritta che conduceva alla Palestina, ma si siano stranamente rivolti verso sud. Tale itinerario, che obbligò gli ebrei a rimanere per una generazione (40 anni) nel deserto, si rese provvidenziale perché creò nelle varie tribù il concetto dell'unità nazionale. Ma tale diversione aveva uno scopo ben preciso, come ci appare dal romanzo di Sinuhe l'egizio, costretto a fuggire dalla valle del Nilo per evitare la repressione di una congiura. Egli cercò rifugio nella ospitale terra di Canaan; ma per andarvi non ci si recò direttamente passando per il Neghev, ma attraverso un lungo giro nella penisola sinaitica. Anziché andare a nord, si rivolge proprio a sud e, quando invertì la marcia, ebbe cura di non farsi notare dalle “sentinelle che stavano sul muro eretto per resistere agli asiatici” (i primi manoscritti risalgono al 19° secolo a. E. V. e sono di poco posteriori alla vicenda che si svolge nel 20° secolo a. E. V.). Anche gli ebrei, per non incappare nelle opere fortificate egizie poste nell'attuale regione di Suez e per non trovarsi così presi tra due fuochi, si diressero verso il Sinày, sfuggendo in tal modo agli avamposti militari egizi.

 Storia dei re. I re di Ninive, vantandosi dei loro successi in Palestina, ricordano alcuni re d'Israele e di Giuda: Salmanassar III (859- 824) afferma di aver vinto nella battaglia di Qarqar (853) Achab e i suoi alleati e dichiara: “Sgozzai quattordicimila suoi soldati. Piombai su di essi come Adad [dio della tempesta] quando fa piovere a dirotto. Ne sparsi dovunque i cadaveri . . . troppo piccola era la pianura per permettere a tutte le anime di scendere nel mondo sotterraneo. Mi servii dei loro cadaveri per attraversare l'Oronte”. Questo stesso re fece raffigurare Ieu, re di Israele, in ginocchio in atto di offrirgli un tributo (cfr. 2Re 17:3;9:2). Tiglat- Pileser III racconta come trattò Menhaem: “Quanto a Menhaem, lo sopraffeci . . . Egli fuggì come un uccello tutto solo e si prostrò ai miei piedi . . . Gli imposi un tributo. Deportai i suoi abitanti e ne confiscai i beni” (cfr. 2Re 15:19 e sgg.;16:7 e sgg.). E ancora: “Deportai in Assiria il paese di Omri e tutti i suoi abitanti con quello che possedevano. Essi destituirono il loro re Peqah e costituii su di loro Osea. Ricevetti da loro come tributo 10 talenti d'oro, 1000 talenti d'argento e li trasportai in Assiria”. Sennacherib si gloria di aver strappato quarantasei città al re Ezechia e di aver fatto prigioniero il re nel suo palazzo “come un uccello in gabbia”. “Ridussi il suo territorio ed aumentai ancora il tributo che mi doveva versare ogni anno” (cfr. Is 39). Il fatto che non si ricordi la capitolazione della città, conferma la liberazione straordinaria di cui parla il testo sacro. In conseguenza di tali conquiste Damasco cadde nel 732, Samaria 10 anni dopo, Asdod nel 711; Gerusalemme fu salvata in extremis nel 702. Si spiega perciò l'odio di Israele contro l'Assiria, bene espresso nella parabola di Giona e la gioia di Naum quando essa cadde sotto i colpi dei Medi e dei Babilonesi. La "cronaca di Ninive" conferma il dato prima discusso di 2Re 23:29 nel quale si legge che Neco attraversò la Palestina per correre in aiuto del re assiro ("in favore", non "contro"). I critici volevano correggere la preposizione "verso" (ebraico el) in "contro" (ebraico cal) il re assiro, ma le recenti scoperte confermarono la verità della Bibbia. Il faraone Neco, nonostante la secolare ostilità con l'Assiria, si recò in suo aiuto mentre era oppresso dalla coalizione meda e neo- babilonese, forse perché temeva l'espandersi di questo popolo più della stessa potenza assira.

 Anche la posizione di Daniele a terzo del regno dopo Betshazar si spiega con il fatto che costui, pur agendo da re, in realtà era il secondo, poiché il vero re Nabonide era ancora vivente nell'oasi di Teima. - Cfr. Dn 5 e Cronaca di Nabonide.

 Fiducia degli ebrei moderni. Se la Bibbia ha detto il vero per quanto riguarda la storia, perché non dovrebbe dire il vero per quanto riguarda le risorse naturali della Palestina? Così ragionarono gli esperti agricoli ed economici del nuovo stato di Israele fondato nel 1948. Per secoli il paese era rimasto incolto e la terra trascurata. Armati della fiducia nella Bibbia, i nuovi abitanti d'Israele si misero alla ricostruzione economica del loro paese. I risultati sono stati sensazionali. Hanno seminato grano dove un giorno Sansone liberò gli sciacalli nei campi di grano dei Filistei (Gdc 15:5) e piantato vigne là dove erano state una volta piantate (Gdc 14:5). Tutt’e due i prodotti sono cresciuti a meraviglia.

 Seguendo l'esempio di Abraamo (Gn 21:33), piantarono due milioni di alberi (tipo tamarindo) presso Beer- Sheba. È uno dei rari tipi di albero che può resistere in quella zona! Secondo Gs 17:17- 18, gli alberi crescevano bene sulle montagne al nord di Gerusalemme fino al Monte Gherizim. Oggi, infatti, vi sono stati ripiantati e crescono ancora molto bene. Nella parte a sud, conosciuta come Neghev, si è di fronte ad una vasta zona arida, senz'acqua per bonificare. Secondo Gn 20:1, Abraamo passò da quelle parti, nonostante avesse molto bestiame (Gn 13:2). Come poté il bestiame attraversare quella zona se fosse stata senz'acqua? Ovviamente doveva essercene! E, infatti, alla fine del 20° è stata cercata e v'è stata trovata. È stato ripetuto oggi ciò che Isacco fece alcuni millenni addietro (Gn 26:17- 18). Nel Neghev sono stati trovati migliaia di piccoli mucchi di pietra. Demoliti questi e portata via la sabbia, si sono trovate le radici di olivi e di vigne. I mucchi erano serviti per raccogliere e conservare l'umidità dell'aria notturna. Queste costruzioni hanno dimostrato che gli antichi ebrei ebbero una comprensione esatta e sorprendente del processo di condensazione. L'enigma di Dt 32:13 fu così risolto. Oggi, nella zona di Etsion- Geber (1Re 9:26), dove Salomone aveva le sue miniere e raffinerie di rame, gli esperti hanno installato impianti d'estrazione lavorando la stessa zona con strumenti e mezzi moderni. Non lontano da Beer- Sheba, dove abitavano i filistei (un popolo del ferro), gli esperti calcolano che ci siano giacimenti di ferro per circa 15 milioni di tonnellate. Il passo biblico che parla di un “denso fumo” che “ ascendeva dal paese come il denso fumo di una fornace” verso le parti di Sodoma e Gomorra (Gn 19:28, TNM) continuava a tormentare un industriale ebreo del 20° secolo. Forse dovevano esserci gas naturali. Forse si trattava di petrolio. Infatti, il 3 novembre 1953, fu scoperto nel Mar Morto il primo pozzo petrolifero. Si potrebbero moltiplicare questi esempi, ma essi bastano per insegnarci come l'archeologia spesso (anche se non sempre) ha confermato la Bibbia e ce ne ha reso più comprensibili gli usi e i costumi. Ed è già una conquista straordinaria.