Bibbia e archeologiaBibbia
L'archeologia
ha operato un'altra rivoluzione, simile alla copernicana. Fino al
19° secolo l'ebraico era ritenuto la lingua più antica
parlata dall'umanità. Si credeva che il popolo di Dio
esistesse sin dall'origine della civiltà e che le Scritture
Ebraiche fossero il testo più antico e presentasse la vera
storia dell'umanità. Ma quando Champollion nel 1822 riuscì
a decifrare il primo testo geroglifico, nuovi mondi furono
riesumati dalle sabbie orientali che ne ricoprivano le rovine. La
Mesopotamia ci presenta (ad opera specialmente del console a
Mossul Paul Emile Botta) i resti dei palazzi e le biblioteche dei
più terribili conquistatori assiri, come Tiglat- Pileser,
Sargon e Sennacherib. In seguito, altre nazioni (Regno Unito,
Germania e Stati Uniti - la Russia restò assente) fecero a
gara per scoprire i tesori dell'antica Mesopotamia. Importante per
il nostro studio è il rinvenimento della biblioteca di
Assurbanipal, con le sette tavole dell'Enuma Elish, poema
cosmogonico, e le dodici tavole dell'Epopea di Gilgamesh, nella
quale si trovò un racconto del diluvio assai vicino a quello
biblico. Accanto all'Assiria e alla Babilonia apparve l'antica
civiltà sumera con le tavolette rinvenute a Lagash, a Ur e a
Nippur, dove si trovarono due antichissimi codici di leggi: quelli
di Lipit- Ishtar e Ur- Nammy, anteriori alla nota stele di
Hammurabi, rinvenuta a Susa nel 1902, con un codice di leggi in
molti punti affini a quelle bibliche.
All'inizio
del secolo scorso, il 20°, gli archeologi compirono scavi a
Bogazköi, l'antica capitale degli ittiti, mettendo in luce
oltre 20.000 tavolette da cui si riuscì a conoscere la
potenza di un impero del tutto dimenticato, ad eccezione delle
scarse notizie bibliche, che prima si ritenevano leggendarie. Nel
1925- 1931 si riesumò l'antica civiltà arcaica di
Nuzu, i cui reperti ci aiutano a meglio comprendere l'epoca
patriarcale. Nella primavera del 1928 un contadino arabo di Rash
Shamra (in Siria) ruppe il proprio aratro urtando contro una tomba.
Gli scavi quindi compiuti nel 1929 disseppellirono l'antica Ugarit,
città cosmopolita scomparsa verso la fine del 12° secolo
a. E. V.. La biblioteca regale mise in luce una serie di poemi
mitologici (Baal- Anat, Keret, Aqat) scritti in una lingua assai
affine a quella biblica e riesumarono l'antica civiltà
cananea che tanto fascino aveva esercitato sugli ebrei e contro la
quale si appuntarono gli strali e gli anatèmi dei profeti
biblici che ne biasimarono i riti naturalistici della fecondità,
l'accoppiamento con gli animali e la prostituzione sacra: “Chi
si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte”
(Es 22:19); “Non ti accoppierai con nessuna bestia per
contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una
bestia: è una mostruosità”, “L'uomo che
si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte;
ucciderete anche la bestia”. - Lv 18:23;20:15.
Nel
1933 A. Parrot iniziò i suoi scavi a Mari, luogo scoperto
fortuitamente da alcuni beduini che, scavandovi una tomba per
seppellire un loro morto, vi rinvennero una statua. Le molte
spedizioni sul luogo portarono alla luce un insieme assai
voluminoso di tavolette con interessanti notizie sul profetismo
affine a quello biblico. Gettarono molta luce sull'epoca esilica e
postesilica al tempo di Esdra e Neemia (5° secolo a. E. V.).
Furono rinvenuti anche i papiri di Elefantina e una colonia
militare giudaica, i cui soldati erano discendenti, a quel che
pare, dai giudei fuggiti al momento della distruzione di
Gerusalemme: “Tutto il popolo, piccoli e grandi, e i capitani
della gente di guerra partirono e andarono in Egitto, perché
avevano paura dei Caldei” (2Re 25:26). Si scoperse che lì
essi praticavano un culto (che era stato deteriorato dai contatti
con quello egizio) nel recinto di un tempio, là costruito in
deroga all'unicità del luogo di culto promulgata in Dt 12:2-
5: “Distruggerete interamente tutti i luoghi - sugli alti
monti, sui colli e sotto ogni albero verdeggiante - dove le nazioni
che state per scacciare servono i loro dèi. Demolirete i
loro altari, spezzerete le loro statue, darete alle fiamme i loro
idoli d'Astarte, abbatterete le immagini scolpite dei loro dèi
e farete sparire il loro nome da quei luoghi. Non farete così
riguardo al Signore Dio vostro; ma lo cercherete nella sua dimora,
nel luogo che il Signore, il vostro Dio, avrà scelto fra
tutte le vostre tribù, per mettervi il suo nome; là
andrete”.
La stessa Palestina andò
gradatamente rivelando i suoi scarsi ma importanti tesori. Verso il
1880 si ritrovò un'iscrizione dell'8° secolo a. E. V.
fatta dagli operai incaricati di scavare il canale di Siloe per il
rifornimento idrico di Gerusalemme, costruito al tempo di Ezechia:
“Le azioni di Ezechia, tutte le sue prodezze, e la
costruzione del serbatoio e dell'acquedotto per portare l'acqua in
città, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di
Giuda” (2Re 20:20); “Ezechia fu colui che turò
la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò
giù direttamente attraverso il lato occidentale della città
di Davide”. - 2Cron 32:30.
Nel 1928 si
rinvennero a Meghiddo delle importanti costruzioni falsamente
identificate all'inizio con stalle di Salomone (che sono invece
posteriori). Nel 1925 si trovarono a Lakish delle lettere risalenti
alla fine del Regno di Giuda. Vanno ricordati da ultimo i rotoli
del Mar Morto che hanno gettato notevole luce sull'epoca anteriore
a Yeshùa e sulle Scritture Greche.
Triplice
valutazione. In seguito a questi recenti reperti archeologici si
sono sviluppate tre correnti che qui elenchiamo:
a)
Linea apologetica: l'archeologia difende la Bibbia.
b)
Linea incredula: l'archeologia mostra la miticità e il
carattere puramente umano della Bibbia.
c)
L'archeologia illumina l'ambiente in cui nacque la
Bibbia.
Archeologia per confermare apologeticamente la
Bibbia
Un gruppo di studiosi (non specialisti) utilizzò
l'archeologia come mezzo apologetico per dimostrare l'esattezza dei
racconti biblici contro le difficoltà critiche. Ma questa
corrente apologetica non fu onesta. Esempi tipici di questa
corrente furono W. Keller, Marston e Horn . Basti ricordare qualche
esempio di concordismo forzato tra Bibbia e archeologia, utilizzato
da questi autori, i quali talvolta riferiscono delle
interpretazioni favorevoli alla Bibbia, che in seguito furono
smentite dagli stessi archeologi o da studi successivi. Così
si è voluto trovare una conferma del diluvio negli strati
del deposito alluvionale rinvenuti da Wooley a Kish , a Ur , a
Lagash , ma si è dimenticato di dire che essi non
appartengono tutti al medesimo periodo e sono depositi parziali
dovuti a semplici sedimentazioni fluviali. Ci si è
dimenticati di dire che un diluvio durato solo 40 giorni non può
aver lasciato resti visibili sulla terra. Si asserì che il
crollo delle mura di Gerico sarebbe stato documentato
dall'archeologo Garstang, ma ci si dimenticò di aggiungere
che ciò fu invece contestato dagli scavi successivi assai
più accurati di Miss Kenyon.
Occorre quindi
evitare di erigere l'archeologia al rango di "apologeta"
della Bibbia e lasciare che essa cammini per proprio conto, anche
se dovesse sollevare delle difficoltà al racconto biblico.
Anziché andare a caccia di concordismi forzati, si dovrebbe
accettare il fatto archeologico così com'è, tentando
la soluzione delle difficoltà con un esame più
accurato delle regole dell'interpretazione biblica e ricercandone
in modo più profondo il messaggio spirituale.
Si
affermò da parte di Harrison (a pag. 125 della sua
Introduction to the O.T.) che a Ezion- Geber (l'attuale Tell el-
Kheleifeh) si sarebbe trovata una fornace per costruire le navi di
Salomone e di Giosafat descritte nella Bibbia: “Il re
Salomone costruì anche una flotta a Esion- Gheber, presso
Elat, sulla costa del mar Rosso, nel paese di Edom”,
“Giosafat costruì delle navi di Tarsis per andare a
Ofir in cerca d'oro; ma poi non andò, perché le navi
naufragarono a Esion- Gheber” (1Re 9:26; 22:49); “Navi
che andassero a Tarsis; e le costruirono a Esion- Gheber”
(2Cron 20:36). Ma lo stesso Glueck nel The Biblical Archeologist
(settembre 1965, pagg. 70- 77) ritrattò la sua opinione
precedente; così la fornace diventò un buco scavato
nei mattoni per decadimento naturale o per il bruciamento di travi
di legno.
Archeologia per sostenere la presunta miticità
biblica
Un altro gruppo di studiosi è invece
andato alla ricerca di ciò che sminuiva il valore biblico,
riducendo questo libro a un puro scritto pari degli altri scritti
dell'antichità. Ecco ciò che costoro hanno
rilevato:
1.La Bibbia presenterebbe il medesimo pensiero
degli antichi orientali.
“Le leggi mosaiche
trovano modelli nei codici assiri, sumerici, ittiti, babilonesi; i
salmi penitenziali fanno pensare alle preghiere dei penitenti della
Mesopotamia; la sapienza egiziana o sumerica può aver
ispirato gli autori dei proverbi israeliti; il Salmo 104 riecheggia
l'inno al sole di Akhenaton; il racconto del diluvio si trova in
alcune versioni accadiche e sumeriche. Gli annunzi profetici
ricordano lo stile degli ispirati di Mari”. - R. Martin-
Achard, Incontro all'Antico Testamento, Borla, Torino, pag. 69;
questo testo è favorevole alla Bibbia.
Si
fece notare che il mito (secondo questi studiosi) della creazione
presentava gli stessi nomi del poema babilonese Enuma Elish. Il
"cavalcatore delle nuvole" applicato al Dio di Israele
(Sl 68:22) sarebbe un'immagine mitologica di Baal, il dio della
pioggia; l'allusione al serpente guizzante (fuggitivo) e tortuoso
di Isaia rievoca un testo di Ugarit. Si comparino assieme:
Is
27:1 (TNM)
Testo di Ugarit
“[Dio] rivolgerà
la sua attenzione al Leviatan, il serpente guizzante, sì, al
Leviatan, il serpente tortuoso”
“Fracasserai Ltn,
il serpente guizzante, ucciderai il serpente tortuoso”
Anche
la torre di Babel non sarebbe – secondo loro - che un mito
per spiegare l'esistenza dell’incompiuta ziggurat (torre
cultuale) della Babilonia, che si vedeva nelle sue vicinanze.
Ricollegandone il nome Babel a Balal ("confusione")
anziché a Bab- ilu ("porta di Dio"), ne sarebbe
nato il mito della differenziazione linguistica. La Bibbia
rientrerebbe dunque nella categoria dei libri umani antichi, con
miti e leggende. Non sarebbe quindi ispirata e meriterebbe una
scarsa attendibilità storica.
1.Contrasto con
l'archeologia.
È il caso delle mura di Gerico
che sarebbero già cadute prima dell’invasione ebraica.
A tutti è noto il racconto biblico: processione quotidiana
attorno alla città e settuplice processione al settimo
giorno con il conseguente crollo finale della chomà, ossia,
come si pensa di solito, delle mura in seguito ad un cataclisma
divino. L'archeologia conferma il dato biblico?
1.Reperti
archeologici. La collina di es- Sultan è stata ripetutamente
esplorata dagli archeologi che volevano confermare il racconto
biblico (fu esplorata da Sellin nel 1907- 1908; da Garstang nel
1929- 36; da Miss Kenyon nel 1952- 1958). Secondo il Garstang la
città caduta dinanzi al popolo ebraico sarebbe la quarta,
che costruita verso il 1500 a. E. V., sarebbe stata distrutta da un
cataclisma all'inizio del 15° secolo a. E. V.. Questo si
accordava – secondo lui – con la data più antica
dell'ingresso ebraico in Palestina (15° sec. a. E. V.). Miss
Kenyon in una serie di scavi più meticolosi, iniziatisi nel
1952, vi rinvenne ben diciassette strati. La città, già
utilizzata come difesa sin dal protoneolitico (8000- 7000 a. E.
V.), verso la fine del 3° millennio, divenne una piazzaforte
eretta contro gli attacchi dei popoli della steppa, provenienti da
al di là del Giordano (dall'oriente). La sua distruzione
avvenne tra il secolo 18° e 16°, anteriormente quindi alla
data proposta dal Garstang e molto tempo prima dell'ingresso degli
ebrei in Palestina, che ora si pone verso il 13° secolo a. E.
V. (15° per i Testimoni di Geova). La città a quel tempo
era praticamente disabitata; l'anatema di Giosuè trova la
sua conferma archeologica in quanto Gerico restò disabitata
fino al 9° secolo: “Chiel, di Betel, ricostruì
Gerico; ne gettò le fondamenta su Abiram, suo primogenito, e
ne rizzò le porte su Segub, il più giovane dei suoi
figli, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per bocca
di Giosuè, figlio di Nun” (1Re 16:34). Va quindi
eliminato il felice concordismo circa la caduta delle mura sorto
dopo la prima euforica presentazione degli scavi, ad opera del
Garstang. Gli odierni critici vedono perciò nel racconto
biblico una presentazione mitica dell'ingresso in Canaan, che è
contraddetto dall'archeologia moderna.
2.Le interpretazioni
esegetiche. Dato che le mura di Gerico più non esistevano al
tempo di Giosuè, il Montagnini cerca la spiegazione di
questo contrasto ricorrendo al "genere letterario". Gli
ebrei, rendendosi conto che se Gerico fosse stata abitata a quel
tempo avrebbe reso impossibile la penetrazione ebraica in quella
regione così fertile dove “scorre latte e miele”
(Es 3:8), videro nelle sue rovine, già esistenti, l'opera di
Dio, un prodigio del Signore, che aveva preparato l'ingresso in
Palestina smantellandone le mura poste a sua difesa, in un epoca
anteriore. Questo sarebbe l'insegnamento del passo di Giosuè,
nel quale si parla non di un’impresa umana bensì
divina; il giro delle mura sarebbe la processione degli
ebrei.
Alcuni negano l'identificazione di Gerico con
Tell es- Sultan, e attendono l'esumazione di un altro ipotetico
tell che racchiuderebbe ancora l'antica Gerico. È però
difficile pensare all'esistenza di un'altra città importante
vicina al luogo degli scavi, che ha rivelato una importante cultura
plurimillenaria.
Forse si può trovare un'altra
soluzione. Anche Ai (“mucchio di rovine”) era stata
usata dai cananei come luogo di difesa. Dopo la conquista di
Gerico, “Giosuè mandò degli uomini da Gerico ad
Ai, che è vicina a Bet- Aven, a oriente di Betel, e disse
loro: ‘Salite ed esplorate il paese’. E quelli salirono
ed esplorarono Ai. Poi tornarono da Giosuè e gli dissero:
‘Non occorre che salga tutto il popolo; ma salgano due o
tremila uomini, e sconfiggeranno Ai’” (Gs 7:2,3).
Sembrerebbe strano che i cananei non abbiano per l'occasione
utilizzato anche le rovine di Gerico. Un’abitazione
temporanea e limitata non lascia tracce archeologiche profonde e
può passare inosservata al ricercatore. Dopo la caduta delle
mura di Gerico qualche abitazione potrebbe essere stata sfruttata,
come nel caso della meretrice. La processione non fece crollare le
mura già inesistenti, bensì la "difesa"
umana (e non muraria) spaurita dalle processioni ritenute magiche
dai cananei. Dopo tale rito propiziatorio, all'udire il grido di
guerra (terûà'h), ogni ebreo si slanciò
"dinanzi a sé" (poiché le mura più
non esistevano, ma solo dei pezzi rovinati) e la "difesa della
città" cedette senza lotta. Ecco il prodigio: “Avvenne
che, appena il popolo ebbe udito il suono del corno e il popolo
lanciava un grande grido di guerra, ???????? [hachomàh, “la
difesa”] crollava. Dopo ciò il popolo salì
nella città, ciascuno diritto davanti a sé, e catturò
la città” (Gs 6:20, TNM, con inserzione della parola
ebraica). Il vocabolo ebraico chomàh, oltre al valore di
"mura" di una città (chomat haìr), può
avere anche il senso metaforico anche per il caso di Gerico. Chomàh
(“difesa”) è usato per indicare l'argine
dell'acqua che si eleva come un muro (Es 14:22,29), per una
"difesa" di persone (1Sm 25:16; Is 26:1; Ger 1:18;15:20;
Am 7:1; passi in cui compare sempre chomàh con il senso di
“difesa”). Comàh è pure utilizzato per il
corpo di una ragazza vergine che non cede alle lusinghe (Cant 8:9 e
sgg.; Pr 18:11;25:28). Nel caso di Gerico potrebbe indicare gli
uomini che difendevano la città come un muro? È
possibile. In tal caso non vi sarebbe più il problema della
caduta delle mura. C’è nel testo ebraico
un’espressione che TNM tralascia e non traduce. Il testo
ebraico ha ???????? ??????????? (hachomàh tachteyàh),
che Diodati traduce: “Le mura caddero sotto di sé”
(Did). Tachteyàhpuò tradursi anche “a motivo
d’esso”, riferendolo al terûà'h o
grido di guerra. Quando tutto il popolo si mise a gridare
dopo il settimo giro, la guarnigione di difesa cedette. Il passo si
potrebbe quindi tradurre come segue: “E soffiarono [i
sacerdoti] nelle trombe; e avvenne che quando il popolo ebbe udito
il suono delle trombe diede in un grande grido [teruàch] e
la guarnigione cadde a motivo di esso. Il popolo salì,
ciascuno dinanzi a sé e s’impadronì della
città”. - Gs 6:20, traduzione conforme all’ebraico.
Va notato che nella letteratura ebraica
extrabiblica le mura non sono menzionate. L'Ecclesiastico (Siracide
o Ben Sira, apocrifo) nel suo elogio dei padri (il passo, nella
LXX, è in 46:2), pur ricordando la caduta delle varie città,
non parla delle mura di Gerico. La versione greca del libro
canonico di Giosuè (la LXX), non comprendendo più
bene l'originale ebraico, applicò la caduta alle "mura"
(chomàh) anziché alla guarnigione di “difesa”
(chomàh). Da qui nacque l’errore. Infatti, la parola
ebraica chomàh (“difesa”) fu tradotta dai LXX
con la parola greca t? te???? (to tèechos,
letteralmente “il muro”). Questa traduzione fu
pure accolta dalle Scritture Greche, i cui autori usavano –
come si sa – la versione biblica dei LXX. Così, nella
Lettera agli ebrei si ha: “Le mura di Gerico caddero”
(Eb 11:30, TNM). Si noti il plurale che lo scrittore di Eb usa: t?
te??? (ta tèiche, “le mura”). L’equivoco
era progredito. L’ebraico aveva usato il singolare “la
difesa” (hachomàh), interpretato dai LXX con il
singolare “il muro” (to tèichos). In Eb diventa
il plurale “le mura” (ta tèiche).
Il
passo biblico vuole solo porre in enfasi il fatto che la conquista
di Gerico, necessaria per penetrare in Palestina, non fu opera di
potenza umana, bensì divina, come canta il Salmo 44:3: “Essi
non conquistarono il paese con la spada, né fu il loro
braccio a salvarli, ma la tua destra, il tuo braccio, la luce del
tuo volto, perché li gradivi”.
Innegabile
contributo archeologico per una migliore comprensione biblica
L'archeologia ci svela in modo meraviglioso l'ambiente
nel quale si è sviluppata la Bibbia. La Scrittura diviene
così ben più comprensibile. Eccone alcuni esempi
esplicativi.
Assimilazione di espressioni, di
cultura e di simbolismi. Il nome di Dio El non è una
creazione del popolo ebraico, ma fu adottato da esso perché
il suo nome era assai diffuso presso i semiti (el, ilu) per
indicare il Dio supremo. Sopraffatto poi presso i cananei, quel
nome era riferito a Baal (continuo pericolo e tentazione per la
fedeltà ebraica) con i suoi culti licenziosi. Il Dio El fu
accolto anche dagli ebrei perché, appunto per essere un nome
noto presso gli altri popoli, si prestava bene a indicare il Dio
universale. YHVH divenne invece il Dio nazionale, protettore degli
ebrei. Si spiegano così i brani yavistici ed eloistici nei
quali predominano rispettivamente i nomi di YHVH e di Elohìm;
i brani compositi che hanno di YHVH- elohìm (Gn 2) indicano
che i due s’identificano tra loro.
Nonostante
l'opposizione generica al culto licenzioso cananeo, di fatto, gli
ebrei accolsero molti elementi fenici (ossia cananei). Nella
costruzione del Tempio, Salomone utilizzò materiale,
architetti e operai specializzati fenici. Non fa quindi meraviglia
che l'architettura templare ricalchi quella del tempio fenicio di
Byblos. È pure interessante notare che anche in Fenicia, nel
ciclo letterario di Baal, riaffiori l'idea che il Tempio sia voluto
da Dio (1Re 5:5) e che sia in rapporto con la pioggia fecondatrice:
la festa della dedicazione del Tempio ebraico avveniva in
settembre- ottobre a conclusione dell'annata con la festa delle
Capanne, nella quale con un rito apposito si attingeva dell'acqua
fecondatrice (quasi il Dio di Israele fosse identico a Baal, dio
della pioggia). In Is 12:3 si accenna all'acqua tolta dalla fontana
di Siloe (Is 8:6) che veniva versata (processionalmente)
sull'altare degli olocausti. Pensando a questo rito, Yeshùa
presentò la sua dottrina dell’acqua che conduce alla
vita eterna. - Gv 7:37;4:14.
Anche alcune
espressioni ci vengono chiarite con l'indagine filologica o
mitologica dei testi di Rash Shamra. Il beth- heber di Pr 21:9
significa "magazzino", per cui il passo che normalmente è
tradotto: “È meglio dimorare sull’angolo di un
tetto che con una moglie rissosa, benché in una casa in
comune” (TNM), va tradotto: “E' meglio vivere in un
angolo del tetto anziché in un magazzino con una donna
litigiosa”, intendendo che è meglio star da soli in un
angolo senza nulla che in compagnia di una moglie litigiosa in un
magazzino ricolmo di cose.
Nel poema di Keret
(“verso il fiume”) il dio El, assiso in mezzo
all'assemblea degli dèi, giudica e condanna a morte i
colpevoli. Su tale tratto mitologico è formata l'espressione
del Salmo 82:1. NR adatta la traduzione del testo ebraico, parlando
di “assemblea divina”: “Dio sta nell'assemblea
divina; egli giudica in mezzo agli dèi”. TNM, più
letterale, traduce: “Dio si pone nell’assemblea del
Divino; in mezzo agli dèi giudica”. Anche qui, pur
cercando di mantenere il letterale ebraico, si cerca di adattare:
ne risulta una frase incomprensibile (che mai sarà questa
“assemblea del Divino”? Giacché Dio si pone in
essa, esiste forse un Dio e anche un Divino? E, se sono la stessa
persona, perché il testo non dice che Dio si pone nella sua
assemblea?). Il testo ebraico ha: “Elohìm si pone
nell’assemblea di El, in mezzo agli elohìm giudica”,
che dovremmo tradurre: “Dio si pone nell’assemblea di
El, in mezzo agli dèi giudica”. Naturalmente, nel
monoteismo biblico la frase assume un significato diverso, perché
gli "dèi" non sono vere divinità, bensì
i giudici, rappresentanti di Dio nel condannare sulla terra i
colpevoli e nel prosciogliere gli innocenti.
Usi
dei pagani. La proibizione di cuocere il capretto nel latte di sua
madre, ripetuta più volte in un contesto cultuale (Es
23:19b, codice dell’alleanza; Es 24:26b, decalogo rituale; Dt
14:21b, conclusione di prescrizioni alimentari) era stata
interpretata come un gesto sacrificale superstizioso, anche perché
i LXX in Es 34:26, al posto di "cuocere" o "bollire",
hanno "non offrirlo in sacrificio". I testi di Ugarit
(Rash Shamra) confermarono tale supposizione: gli abitanti del
luogo facevano bollire un capretto nel latte; questo latte veniva
poi versato nei campi per accrescerne la fertilità. Si
legge, infatti, nel Poema degli Dei graziosi e belli: “Fa
cuocere un capretto nel latte”. Contro tale rito magico la
Bibbia si erge severa, anzi, per aumentarne l'odiosità,
parla del latte della madre, perché ciò che doveva
servire per la sua vita si era trasformato in uno strumento di
morte.
Conferme storiche.
I
patriarchi. I patriarchi erano dei "proto- aramei" (o
semiti occidentali) che si andavano spostando: Labano, nipote di
Abraamo è chiamato con insistenza "l'arameo" (Gn
25:20;28:5;31:20- 24). Più tardi ogni israelita, offrendo le
primizie, doveva dire: “Mio padre era un Arameo errante”
(Dt 26:5). Ora gli aramei sono documentati, non solo nel primo
millennio a. E. V., come si affermava in passato da alcuni critici,
ma anche per il secondo, come appare dall'archivio di Drehem
rivenuto a Ur, il quale attesta per il 2000 a. E. V. l'esistenza
della città di Aram. Anche i testi di Rash Shamra (secolo
14° a. E. V.) e di Mari (secolo 18° a. E. V.) parlano di
aramei che dovevano quindi già esistere ed essere noti.
Abraamo passò da Ur dei Caldei a Harran nella Mesopotamia
settentrionale con una marcia di circa 1000 km; di qui raggiunse
poi Sichem in Palestina, passando per la Siria, soffermandosi a
Betel, a Mamre, per recarsi infine in Egitto attraverso il
Neghev.
È difficile comprendere lo
spostamento del patriarca da Ur verso il 2000- 1800 a. E. V. in
quanto, essendo allora tale città passata dal dominio sumero
a quello semitico (amorriti), doveva favorire la permanenza del
semita Abraamo. Anche la trasformazione di Abraamo dalla vita
cittadina (Ur) a quella seminomade costituisce un'ulteriore
difficoltà. Non si deve tuttavia pensare subito a creazioni
mitiche riguardanti il mito lunare (dio Sin o luna), corroborandole
con il fatto che molti nomi patriarcali sono epiteti lunari, come
Terach (luna), Sara (signora), Milca (regina), Laban (bianca) e
così via. Contro di ciò milita l'antichità del
racconto biblico, l'etimologia dei cui nomi non era già più
compresa dagli scrittori biblici. Perciò Isacco, che
significa "possa Dio sorridere" (ossia mostrarsi
favorevole, Ytzqàch), è inteso in modo assai vario e
inesatto quale sinonimo di "compiacersi" (Gn 17:17), di
"sorridere per incredulità" (Gn 18:12), di
"scherzare" (Gn 21:9) o infine di "divertirsi"
(Gn 26:8). Va poi notato che le città di Ur e di Harran
avevano tra loro rapporti religiosi, come appare dal fatto che
veneravano lo stesso dio "Luna" (Sin) e Ningal. Inoltre è
da prendere in seria considerazione il fatto che vicino a Harran
esisteva un'altra città, Ura (=Ur,) e che potrebbe anche
identificarsi con la Ur biblica (cfr. F. Vattioni, Nuovi aspetti
del problema dei Patriarchi, in Agostonianum 4, pagg. 331- 357,
specialmente pagg. 354- 357). Sarebbe così escluso lo
spostamento dal sud mesopotamico al settentrione e si
comprenderebbero meglio i nomi di Nahor, Serug, Terach, Haran. Si
capirebbe anche meglio il fatto che la Bibbia attribuisce ad
Abraamo due città originarie, vale a dire Ur (Gn 11:28-
31;15:7) e Harran (Gn 12:1- 4) perché sarebbero entrambe da
collocare nella stessa regione. Siccome i patriarchi sono dei
seminomadi in via di sedentarizzazione, se ne ricordano raramente i
cammelli; il loro patrimonio essenziale è costituito da
greggi di pecore (Labano) ai quali in Palestina si aggiungono le
mandrie spostabili con maggiore difficoltà. Nei loro
movimenti seguono una linea subdesertica che corre in vicinanza dei
centri abitati e, pur muovendosi, cominciano ad acquistare dei beni
immobili. - Gn 23, Macpela; 33:19, Sichem.
I
costumi patriarcali. I costumi patriarcali sono simili a quelli
esistenti all'inizio del secondo millennio a. E. V.. Vi è
infatti grande affinità tra le norme giuridiche patriarcali
e quelle indicate dai testi di Mari, di Nuzu e di Bogazköi. Ad
esempio, l'acquisto della grotta di Macpela con il campo attiguo
segue la norma ittita (Gn 23:9). La ragione del disaccordo tra
l'ittita che vende e l'acquirente Abraamo sta nei paragrafi 46 e 47
del codice ittita scoperto a Bogazköi, l'antica Hattusha,
capitale del loro impero dal 1800 al 1200: “Se uno in un
villaggio possiede per eredità dei campi soggetti a servitù,
se tutti i campi gli sono dati, egli stesso fornirà le
prestazioni; se i campi gli sono dati solo in parte non fornirà
le prestazioni; le forniranno quelli che sono della casa di suo
padre”. Da qui l'interesse dell'ittita di liberarsi di tutto
il campo, onde non avere più nulla da pagare, e il desiderio
di Abraamo di comprare solo la grotta per lasciare ogni onere
all'ittita.
Abramo credeva di dover lasciare tutto
al servo Eliezer, in quanto egli, privo com'era di figli, pensava
di adottarlo (Gn 15:1- 4). L'adozione, ignorata dal diritto
ebraico, era molto comune a Nuzu. In una tavoletta di Nuzu si legge
che un tale ha fatto adottare suo figlio Shennima da Shuriha- ilu,
che “di tutte le sue terre e di tutti i suoi guadagni ha dato
a Shennima una parte della sua proprietà. Se Shuriha- ilu
avrà un figlio proprio, questi, come figlio principale,
prenderà due parti dell'eredità. Shennima gli seguirà
e prenderà la sua parte propria . . . Quando Shuriha- ilu
morirà Shennima ne diverrà l'erede”. - HSS V,
67; cfr. Gn 15:2,4.
Anche i patriarchi attuarono
con frequenza l'adozione: i figli di Bilha sono adottati da Rachele
(Gn 30:3,8); i due ragazzi di Giuseppe sono adottati da Giacobbe
(Gn 48:5); i figli di Makir da Giuseppe che per questo se li pone
sulle ginocchia (Gn 50:23). L'adozione, non più praticata in
seguito dagli ebrei, prova l'antichità di questi
racconti.
I matrimoni di Abraamo con Agar, schiava
di Sara (Gn 16:1- 2), di Giacobbe con Bilha, schiava di Rachele (Gn
30:3), poi con Zilpa, schiava di Lia (Gn 30:9), corrispondono alle
leggi di Hammurabi e di Nuzu. Un contratto di Nuzu ne fa un obbligo
per la sposa sterile e osserva che la discendenza della concubina
non potrà essere scacciata. Si capisce quindi come Abraamo
allontani Agar a malincuore dopo la nascita di Isacco (Gn 21:10-
13), pur cedendo all'insistenza di Sara, poiché ciò
andava contro la legge normale. Secondo la già citata
tavoletta di Nuzu, Shennima sposa Kelim- ninu: “Se [questa]
gli partorirà dei figli Shennima non prenderà altra
moglie, ma se Kelim- ninu non gli partorirà figli, Kelim-
Ninu prenderà una donna della regione di Lullu, come sposa
di Shennima, e Kelim- ninu non potrà scacciare i figli della
nuova venuta”. - HSS V, 67.
Abramo diede i
suoi beni a Isacco, ma fece dei doni ai figli delle sue concubine
(Gn 25:5- 6) perché Sara, avendo riconosciuto come propri i
loro figli (Gn 16:2), aveva creato per essi un diritto all'eredità.
Gli "dèi" del padre adottivo
dovevano passare al figlio naturale o, in caso di mancanza, al
figlio adottivo. Erano gli dèi lari (terafìm o dèi;
cfr. Gn 31:30), una specie d’immagini divine destinate ad
allontanare il male o i demoni, che spettavano all'erede
principale; il loro possesso costituiva un titolo all'eredità.
In una tavoletta di adozione di Nuzu si legge che per avere Nashwi
adottato Wullu, alla sua morte “Wullu diventerà
l'erede. Se Nashwi avrà un figlio proprio, questo dividerà
la proprietà in parti uguali con Wullu, ma il figlio di
Nashwi prenderà lui gli dei di Nashwi. Però se Nashwi
non avrà un figlio proprio, allora sarà Wullu a
prendere gli dèi di Nashwi” (RA 23, 1926, pag. 126). È
per questo Rachele ruba tali "dèi" (Gn 31:19) e
Labano, pur essendo disposto a perdonare la fuga, non si dà
pace per il furto dei propri dèi che avrebbero potuto un
domani far accampare a Giacobbe dei diritti ereditari. - Gn
31:30.
Anche il caso di Tamar, che dopo la morte
di Onan attende invano di avere per sposo un altro fratello del
marito defunto e che a tal fine si unisce con frode al suocero
Giuda, si spiega con la legge assira (tavola A, par. 33): “Se,
mentre una donna vive ancora nella casa di suo padre, le muore il
marito senza darle figli, il suo suocero le darà in sposa a
un figlio di sua scelta . . . oppure se lei desidera, la si può
dare in sposa a suo suocero”. È appunto quanto tentò
di fare Tamar unendosi al suocero, e così farsi dare lo
sposo che non arrivava mai. Per questo Giuda afferma: “È
più giusta di me, perché non l'ho data a mio figlio
Sela”. - Gn 38:26.
L'alleanza di Abraamo con
Dio mediante il sezionamento di alcuni animali (Gn 15), si spiega
con simile usanza diffusa nell'antichità sia orientale sia
occidentale e che perdurava ancora sino a poco fa, presso gli arabi
di Moab. Gli animali uccisi simboleggiavano ciò che sarebbe
accaduto a coloro che avessero violato l'accordo (Tito Livio I, 24;
cfr. l’alleanza conclusa tra Assur- Nizari e il principe siro
Mati'ilu, Ger 34:18). - cfr. H. Cezelles, Connexions et
structure de Ge 15, in Rev. Bibl. 69 (1962), pag. 344 e sgg..
Cronologia. Per l'affinità culturale
dei patriarchi con le tavolette di Nuzu, alcuni studiosi vorrebbero
far scendere la loro esistenza al secolo 18° o 17°, in
coincidenza appunto con l'epoca di tali tavolette (cfr. A. Rasco,
Migratio Abramae circa annum 1650, in Verbum Domini 35, 1957, pagg.
143- 154; C.H. Gordon, Il V.T. e i popoli del Mediterraneo,
Brescia, 1959, pag. 108 e sgg.). Si tratta però di problemi
tuttora aperti e per ora è meglio supporre il secolo 19°
come data probabile della loro attività. La calata dei
patriarchi in Egitto si pone nel quadro degli spostamenti degli
Hiksos, semiti che, impadronitisi dell'Egitto, dovettero favorire
l'insediamento di Giuseppe, pur esso semita, a vice re dello stato
(fine secolo 18°). Le difficoltà incontrate dai
discendenti dei patriarchi coincidono senza dubbio con lo sforzo di
restaurazione nazionale attuato dall'energico Ramses II (1300-
1234). La data dell'esodo, pur non potendosi stabilire con
sicurezza, andrebbe posta probabilmente al 13° secolo.
Itinerario dell'esodo. L'archeologia ci spiega
pure come mai gli ebrei, uscendo dall'Egitto, non abbiano preso la
via diritta che conduceva alla Palestina, ma si siano stranamente
rivolti verso sud. Tale itinerario, che obbligò gli ebrei a
rimanere per una generazione (40 anni) nel deserto, si rese
provvidenziale perché creò nelle varie tribù
il concetto dell'unità nazionale. Ma tale diversione aveva
uno scopo ben preciso, come ci appare dal romanzo di Sinuhe
l'egizio, costretto a fuggire dalla valle del Nilo per evitare la
repressione di una congiura. Egli cercò rifugio nella
ospitale terra di Canaan; ma per andarvi non ci si recò
direttamente passando per il Neghev, ma attraverso un lungo giro
nella penisola sinaitica. Anziché andare a nord, si rivolge
proprio a sud e, quando invertì la marcia, ebbe cura di non
farsi notare dalle “sentinelle che stavano sul muro eretto
per resistere agli asiatici” (i primi manoscritti risalgono
al 19° secolo a. E. V. e sono di poco posteriori alla vicenda
che si svolge nel 20° secolo a. E. V.). Anche gli ebrei, per
non incappare nelle opere fortificate egizie poste nell'attuale
regione di Suez e per non trovarsi così presi tra due
fuochi, si diressero verso il Sinày, sfuggendo in tal modo
agli avamposti militari egizi.
Storia dei re. I re
di Ninive, vantandosi dei loro successi in Palestina, ricordano
alcuni re d'Israele e di Giuda: Salmanassar III (859- 824) afferma
di aver vinto nella battaglia di Qarqar (853) Achab e i suoi
alleati e dichiara: “Sgozzai quattordicimila suoi soldati.
Piombai su di essi come Adad [dio della tempesta] quando fa piovere
a dirotto. Ne sparsi dovunque i cadaveri . . . troppo piccola era
la pianura per permettere a tutte le anime di scendere nel mondo
sotterraneo. Mi servii dei loro cadaveri per attraversare
l'Oronte”. Questo stesso re fece raffigurare Ieu, re di
Israele, in ginocchio in atto di offrirgli un tributo (cfr. 2Re
17:3;9:2). Tiglat- Pileser III racconta come trattò Menhaem:
“Quanto a Menhaem, lo sopraffeci . . . Egli fuggì come
un uccello tutto solo e si prostrò ai miei piedi . . . Gli
imposi un tributo. Deportai i suoi abitanti e ne confiscai i beni”
(cfr. 2Re 15:19 e sgg.;16:7 e sgg.). E ancora: “Deportai in
Assiria il paese di Omri e tutti i suoi abitanti con quello che
possedevano. Essi destituirono il loro re Peqah e costituii su di
loro Osea. Ricevetti da loro come tributo 10 talenti d'oro, 1000
talenti d'argento e li trasportai in Assiria”. Sennacherib si
gloria di aver strappato quarantasei città al re Ezechia e
di aver fatto prigioniero il re nel suo palazzo “come un
uccello in gabbia”. “Ridussi il suo territorio ed
aumentai ancora il tributo che mi doveva versare ogni anno”
(cfr. Is 39). Il fatto che non si ricordi la capitolazione della
città, conferma la liberazione straordinaria di cui parla il
testo sacro. In conseguenza di tali conquiste Damasco cadde nel
732, Samaria 10 anni dopo, Asdod nel 711; Gerusalemme fu salvata in
extremis nel 702. Si spiega perciò l'odio di Israele contro
l'Assiria, bene espresso nella parabola di Giona e la gioia di Naum
quando essa cadde sotto i colpi dei Medi e dei Babilonesi. La
"cronaca di Ninive" conferma il dato prima discusso di
2Re 23:29 nel quale si legge che Neco attraversò la
Palestina per correre in aiuto del re assiro ("in favore",
non "contro"). I critici volevano correggere la
preposizione "verso" (ebraico el) in "contro"
(ebraico cal) il re assiro, ma le recenti scoperte confermarono la
verità della Bibbia. Il faraone Neco, nonostante la secolare
ostilità con l'Assiria, si recò in suo aiuto mentre
era oppresso dalla coalizione meda e neo- babilonese, forse perché
temeva l'espandersi di questo popolo più della stessa
potenza assira.
Anche la posizione di Daniele a
terzo del regno dopo Betshazar si spiega con il fatto che costui,
pur agendo da re, in realtà era il secondo, poiché il
vero re Nabonide era ancora vivente nell'oasi di Teima. - Cfr. Dn 5
e Cronaca di Nabonide.
Fiducia degli ebrei
moderni. Se la Bibbia ha detto il vero per quanto riguarda la
storia, perché non dovrebbe dire il vero per quanto riguarda
le risorse naturali della Palestina? Così ragionarono gli
esperti agricoli ed economici del nuovo stato di Israele fondato
nel 1948. Per secoli il paese era rimasto incolto e la terra
trascurata. Armati della fiducia nella Bibbia, i nuovi abitanti
d'Israele si misero alla ricostruzione economica del loro paese. I
risultati sono stati sensazionali. Hanno seminato grano dove un
giorno Sansone liberò gli sciacalli nei campi di grano dei
Filistei (Gdc 15:5) e piantato vigne là dove erano state una
volta piantate (Gdc 14:5). Tutt’e due i prodotti sono
cresciuti a meraviglia.
Seguendo l'esempio di
Abraamo (Gn 21:33), piantarono due milioni di alberi (tipo
tamarindo) presso Beer- Sheba. È uno dei rari tipi di albero
che può resistere in quella zona! Secondo Gs 17:17- 18, gli
alberi crescevano bene sulle montagne al nord di Gerusalemme fino
al Monte Gherizim. Oggi, infatti, vi sono stati ripiantati e
crescono ancora molto bene. Nella parte a sud, conosciuta come
Neghev, si è di fronte ad una vasta zona arida, senz'acqua
per bonificare. Secondo Gn 20:1, Abraamo passò da quelle
parti, nonostante avesse molto bestiame (Gn 13:2). Come poté
il bestiame attraversare quella zona se fosse stata senz'acqua?
Ovviamente doveva essercene! E, infatti, alla fine del 20° è
stata cercata e v'è stata trovata. È stato ripetuto
oggi ciò che Isacco fece alcuni millenni addietro (Gn 26:17-
18). Nel Neghev sono stati trovati migliaia di piccoli mucchi di
pietra. Demoliti questi e portata via la sabbia, si sono trovate le
radici di olivi e di vigne. I mucchi erano serviti per raccogliere
e conservare l'umidità dell'aria notturna. Queste
costruzioni hanno dimostrato che gli antichi ebrei ebbero una
comprensione esatta e sorprendente del processo di condensazione.
L'enigma di Dt 32:13 fu così risolto. Oggi, nella zona di
Etsion- Geber (1Re 9:26), dove Salomone aveva le sue miniere e
raffinerie di rame, gli esperti hanno installato impianti
d'estrazione lavorando la stessa zona con strumenti e mezzi
moderni. Non lontano da Beer- Sheba, dove abitavano i filistei (un
popolo del ferro), gli esperti calcolano che ci siano giacimenti di
ferro per circa 15 milioni di tonnellate. Il passo biblico che
parla di un “denso fumo” che “ ascendeva dal
paese come il denso fumo di una fornace” verso le parti di
Sodoma e Gomorra (Gn 19:28, TNM) continuava a tormentare un
industriale ebreo del 20° secolo. Forse dovevano esserci gas
naturali. Forse si trattava di petrolio. Infatti, il 3 novembre
1953, fu scoperto nel Mar Morto il primo pozzo petrolifero. Si
potrebbero moltiplicare questi esempi, ma essi bastano per
insegnarci come l'archeologia spesso (anche se non sempre) ha
confermato la Bibbia e ce ne ha reso più comprensibili gli
usi e i costumi. Ed è già una conquista
straordinaria.